Recep Tayyip Erdoğan

Turchia al voto, lo sguardo del mondo e l’autoritarismo di Erdoğan

Si accendono i riflettori sulla chiamata alle urne per scegliere il presidente turco: l’evento politico ha una risonanza globale, considerando l’importanza del Paese a livello geopolitico. Lo scontro, dall’esito incerto, è tra Erdoğan e il leader dell’opposizione Kılıçdaroğlu. Al centro della contesa c’è la guida di una nazione indebolita sul fronte delle istituzioni democratiche, dei diritti umani e delle libertà civili. Con una crisi economica pesante e l’ambizione di avere un ruolo da protagonista nel Mediterraneo, in Siria e come membro Nato, lo Stato turco affronta una tornata elettorale cruciale e complessa.

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La Turchia neo-ottomana e autoritaria di Erdoğan verso le elezioni

A un mese dall’attentato che ha sconvolto la città di Istanbul, messo in seria difficoltà dall’inflazione e dalla crisi economica, il Paese si prepara a rinnovare le massime cariche dello stato nell’estate 2023. Oltre all’economia, sulla situazione interna pesano le spinte illiberali che da anni colpiscono la società civile e la stampa. In più, le operazioni militari nel Nord della Siria e in Iraq non accennano a fermarsi. Per la prima volta dopo vent’anni l’AKP sembra in difficoltà e ciò potrebbe aprire uno spiraglio per i partiti dell’opposizione.

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I curdi vittime sacrificali dell’allargamento dell’Alleanza Atlantica

Il conflitto tra la Turchia e la regione del Kurdistan si protrae ormai da decenni e, nonostante le diverse condanne al Governo turco, la popolazione curda continua a essere oggetto di persecuzione e abuso di diritti umani, civili e politici. Malgrado ciò, la Turchia gode di una posizione privilegiata all’interno del sistema internazionale; ad aprile 2022 viene riconosciuta mediatrice tra Russia e Ucraina e il suo ruolo all’interno della NATO ha dato la possibilità al Paese di contrattare l’entrata di Svezia e Finlandia nell’organizzazione di difesa militare. Nel mirino ancora una volta il Kurdistan.

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Turchia, quel mondo femminile tra maschilismo e patriarcato

Lottare per il riconoscimento dei propri diritti è ancora una priorità per le donne turche. Attiviste e associazioni si battono da anni per garantire indipendenza economica, protezione dalla violenza degli uomini e libertà di decidere della propria vita senza tabù. Ma in un Paese dove solo nel 2020 ci sono stati 300 femminicidi e la retorica di Erdoğan esalta sempre di più la maternità come unica espressione femminile, l’emancipazione è molto difficile. E nell’anno nero della pandemia la situazione è ulteriormente degradata.

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Erdoğan, il linguaggio autarchico e i giochi di comunicazione

Leader politico e abile comunicatore, il presidente della Turchia è riuscito negli anni ad adattare il proprio modo di esprimere le sue idee non solo a seconda dell’interlocutore, ma anche del periodo storico. Inizialmente liberale e attento ai diritti, con il tempo l’ex studente di una scuola religiosa “Imam Hatip” ha concentrato il suo programma elettorale sulla religione, per poi passare a una forte censura che ha seguito il periodo delle rivolte del 2013 e del golpe del 2016. L’ultima tendenza del politico? Parlare di terrorismo riferendosi ai curdi, che minacciano l’unità identitaria.

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