minoranze etniche

Tigray, minoranze etniche a rischio nonostante gli accordi di pace

A più di 24 mesi dallo scoppio della guerra nel Tigray, il futuro dei rifugiati che sono stati costretti con la forza a fuggire è ancora incerto. Essi non credono più nella sicurezza, nella protezione e nella rappresentanza politica una volta rientrati nel loro Paese. Il timore inoltre è che la vicina Eritrea continui la sua occupazione e cancelli le comunità minoritarie tramite l’istituzione di una zona cuscinetto militare sugli altipiani strategici. Pertanto, alcuni gruppi politici minoritari si sono uniti in una coalizione federalista insieme al TPLF al fine di proteggere le loro diversità.

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UE-Turchia, il terribile impatto umano di un accordo illegittimo

Espulsioni collettive verso la Turchia previste per chi scappa da Afghanistan, Siria, Somalia, Bangladesh, Pakistan e arriva – via mare – sulle isole greche del Mar Egeo. Questo è quanto è stabilito da una Dichiarazione tra Unione Europea e Turchia del 2016 e una Decisione ministeriale adottata in Grecia a giugno di quest’anno. Una disciplina che non tiene conto della tutela dei diritti umani e delle violazioni perpetrate in Turchia contro i richiedenti asilo, dettagliatamente documentate da un rapporto pubblicato dalla Commissione europea e riportate in questo articolo.

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Iran, non si fermano le persecuzioni contro minoranze religiose

Non si fermano le pratiche violente di repressione del Governo iraniano nei confronti di dissidenti e minoranze. Sono ancora tanti, infatti, i gruppi etnici e religiosi non riconosciuti come degni per godere dei principali diritti e non tutelati dai principi costituzionali. In particolare Baha’i e sunniti, sistematicamente perseguitati, arrestati e spesso anche giustiziati solo per aver praticato la propria fede. A capo di tale sistema di disumana repressione ci sono il regime iraniano e il Corpo delle Guardie della Rivoluzione, che eseguono brutali condanne a morte di curdi, minoranze religiose, dissidenti del potere, oppositori in protesta. Compiendo crimini che restano impuniti.

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Fatimah, l’artista irachena che insegna la libertà alle donne

Come si vive in Iraq nel 2019? Uno sguardo alla vita di tutti i giorni – quella della gente comune – filtrata attraverso gli occhi di un’artista ventiseienne nata in una delle città più conservatrici del Paese. Al di là del conflitto e dello Stato Islamico rimangono altri problemi irrisolti: dispotiche società tribali, oppressione delle donne, settarismo, acqua contaminata, navi che affondano e anarchia generale, situazioni che tengono la vita degli Iracheni continuamente appesa ad un filo.

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I vertici militari birmani dietro gli stupri etnici delle Rohingya

In Myanmar (ex Birmania) lo stupro delle donne Rohingya – minoranza musulmana in un Paese buddista – viene utilizzato dai militari birmani come strumento di “pulizia etnica”. Donne violate dal nemico e marginalizzate dalla propria comunità di appartenenza. Costrette a vivere nella vergogna e a partorire i figli della violenza nei campi profughi bengalesi. L’ONU accusa i vertici militari birmani di genocidio e crimini contro l’umanità. Il Governo di Naypyidaw nega ogni accusa ma impedisce l’accesso alle organizzazioni internazionali sul territorio interessato e rifiuta la giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

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Impegno armato e petrolio, la forza dei curdi indipendentisti

Determinanti nella guerra aI califfato nero, i curdi iracheni e siriani sono al centro della geopolitica del Medio Oriente e il ridisegno dei suoi confini, tra nuove e vecchie alleanze e inveterati interessi economici. Le aspirazioni di autonomia in Siria e il recente referendum in Iraq, sulla scia del sacrificio di tanti miliziani e miliziane, pongono alla comunità internazionale, Italia compresa, una questione di ordine etico. Intanto, negli ultimi anni il loro ruolo nello scacchiere mediorientale si è rinforzato.

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Rohingya, le tracce storiche di un genocidio annunciato

In Myanmar, la minoranza più perseguitata al mondo è vittima di genocidio e di crimini contro l’umanità. La persecuzione avviene da 40 anni, portata avanti attraverso le bugie e la negazione di ciò che sta avvenendo. Ogni giorno circa 200.000 persone cercano la salvezza al di là del confine in Bangladesh, persino camminando su campi minati. La stessa Aung San Suu Kyi è riluttante a parlare di questa situazione. Il mondo è testimone ma sembra non avere il coraggio di guardare, di riconoscere quello che sta accadendo da molti anni. L’analisi del direttore dell’Istituto su Apolidia e Inclusione di Eindhoven.

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Kosovo, enclavi, ponti e treni carichi di tensione

Il lungometraggio “Enclave” del regista serbo Goran Radovanović offre un’immagine verosimile delle tensioni etniche nel Kosovo post-conflitto del 1999. Il film è un punto di partenza per capire le dinamiche attuali dei rapporti tra serbi e albanesi nelle aree contese, come la città kosovara Mitrovica. Tra sovranità nazionali non riconosciute, rivendicazioni territoriali, prove di normalizzazione e convivenza civile all’insegna dell’UE, Serbia e Kosovo non riescono ancora a superare vecchi rancori e nazionalismi mai sopiti.

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Sei più istruito? Non per questo sei più tollerante

È opinione comune che il grado di tolleranza di un individuo auomenti con il suo livello d’istruzione. I recenti avvenimenti politici suggeriscono tuttavia che questa linea di ragionamento è troppo semplicistica. I sentimenti contrari agli immigrati – sia nel voto per la Brexit che nell’elezione di Trump – sono risultati evidenti nonostante i crescenti livelli d’istruzione dei cittadini britannici e americani. Nostra traduzione di un’analisi sociologica da The Conversation, che indaga sugli effetti dell’aumentata competitività nel mercato del lavoro e sull’insicurezza economica.

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India, nazionalismo e discriminazione di casta nelle Università

Nel 2016 la politica indiana è stata caratterizzata da un aumento delle proteste studentesche e le principali Università del Paese sono diventate terreno di scontro politico. Il partito nazionalista al potere ha permesso agli attivisti indù di acquisire il controllo dei movimenti politici studenteschi. E l’etichetta ‘anti-nazionale’ è stata usata per frenare gli studenti più preparati politicamente che hanno cercato di confrontarsi pubblicamente sulle questioni sensibili per l’attuale governo di Delhi. Intenso il dibattito ma pochi progressi dopo il suicidio di uno studente dalit che svela complicità tra docenti, polizia e governanti.

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