21 Novembre 2024

ISIS

Siria, nessuno sta vincendo una guerra destinata a continuare

Mentre il conflitto sta per entrare nell’ottavo anno molti commentatori, tra cui leader di governo, vogliono far passare il messaggio che la guerra stia volgendo al termine. Queste indicazioni sono fuorvianti. La guerra in Siria – di fatto – continua, nonostante la sconfitta territoriale dello Stato Islamico. Centinaia di migliaia di persone continuano a subire la fame e la guerra e la situazione di questa nazione divisa sembra essere bloccata in una sanguinosa violenza che probabilmente andrà avanti anche nel 2018. Più la situazione cambia più sembra rimanere la stessa.

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Kabul, il respiro del sangue e le urla del dolore e della morte

È blindata Kabul, c’è un check point quasi ogni 500 metri, posti di blocco, barriere di cemento, filo spinato, hummer e mitragliatrici a tagliare in due le strade. In Occidente arriva una piccolissima percentuale di notizie, ma qui c’è un attentato in media ogni tre giorni, le vittime sempre e solo afghane, una strage che porta via ogni speranza. Le forze internazionali si occupano solo di determinate missioni, e di fornire addestramento, ma nelle strade ci sono sempre e solo loro, gli Afghani, ancora una volta soli contro il terrore e a respirare sangue.

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Impegno armato e petrolio, la forza dei curdi indipendentisti

Determinanti nella guerra aI califfato nero, i curdi iracheni e siriani sono al centro della geopolitica del Medio Oriente e il ridisegno dei suoi confini, tra nuove e vecchie alleanze e inveterati interessi economici. Le aspirazioni di autonomia in Siria e il recente referendum in Iraq, sulla scia del sacrificio di tanti miliziani e miliziane, pongono alla comunità internazionale, Italia compresa, una questione di ordine etico. Intanto, negli ultimi anni il loro ruolo nello scacchiere mediorientale si è rinforzato.

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Estremismo in Africa, decide la povertà più che la religione

Lo dice un Rapporto ONU basato su interviste a circa 500 ex affiliati – giovani tra i 17 e i 26 anni – all’ISIS, Boko Haram, Al-Shabaab, Al-Qaeda. I fattori principali a favorire il reclutamento sono povertà, scarsa scolarizzazione, assenza di lavoro e comportamenti dei Governi. Il 57% ha ammesso di “comprendere poco o nulla dell’interpretazione dei testi religiosi”. “Dove c’è ingiustizia e deprivazione le ideologie estremiste si presentano come una scappatoia e una sfida allo status quo” si legge nel Report. Il rischio di azioni violente da parte di gruppi estremisti è alto e va crescendo ulteriormente e i motivi sono dunque evidenti, e stanno meno nell’appartenenza religiosa che nei fattori socio-economici.

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Mappa della jihad in Africa: chi sono e dove seminano terrore

Secondo un recente Report gli attacchi terroristici nel continente africano nell’ultimo decennio sono aumentati del 1000%. E cresce anche il numero delle vittime tra i civili. Le organizzazioni più violente si confermano Boko Haram e al-Shabaab, ma non sono le uniche. In sostanza è in corso una battaglia per guadagnarsi i cuori e le menti dei fondamentalisti islamici. Una battaglia combattuta tra l’ISIS (attivo soprattutto in Nigeria, Niger, Egitto, Libia e Tunisia) e Al Qaeda (che mantiene salda la sua presenza in Somalia, Kenya, Uganda, Costa d’Avorio, Burkina Faso e Mali).

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Storie, voci e volti per raccontare il Kurdistan che resiste

Alcuni documentari ci consentono di conoscere ciò che è successo in quella vasta regione tra Siria, Turchia, Iraq e Iran dall’inizio della guerra civile siriana a oggi, passando per le discriminazioni e i massacri operati dai miliziani dell’ISIS. Il reportage in video è uno strumento molto efficace per mostrare quanto accade nella regione perché ci consente di confrontarci faccia a faccia con un popolo a cui spesso non viene data voce e che, invece, è in prima linea contro la minaccia jihadista che allunga le sue radici fino in Europa.

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Copti in Egitto, non solo pedine politiche per ISIS e al-Sisi

I recenti attacchi non possono essere visti solo come mera resistenza militare all’autoritarismo del Governo egiziano. Quando, lo scorso aprile, l’ISIS ha rivendicato il doppio attentato alle due chiese copte indicando i nomi degli attentatori suicidi, ha anche lanciato un altro avvertimento ai “crociati”. “Il conto tra noi e loro è davvero alto e i miscredenti devono capire che pagheranno ancora con il sangue dei loro figli, che scorrerà a fiumi, se Allah vorrà.” Ma di che “conto” si tratta? Un’analisi tradotta da openDemocracy.

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Guerra, armi e tax march, gli USA anti-Trump fanno scudo

I due imprevisti interventi bellici all’estero vengono definiti da più parti “armi di distrazione di massa”, usati cioè per far dimenticare all’opinione pubblica il “Russiagate”, i dissidi istituzionali e i ritardi amministrativi, nonché per risollevare la popolarità di Trump. Intanto perfino nella base elettorale del presidente c’è chi storce il naso, perché non starebbe facendo granché per imporre il programma “America First”. Proseguendo nei tagli ai programmi sociali di base, arriva poi una risoluzione appena firmata che consente ai singoli Stati di negare i fondi per Planned Parenthood e altre cliniche che offrono servizi sanitari per le donne a basso costo, pillola e aborto inclusi. E fervono gli ultimi preparativi per la #TaxMarch di sabato: Obiettivi primari, la trasparenza sui conflitti d’interessi di Trump e la diffusione della sua dichiarazione dei redditi.

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L’Isis ha i giorni contati. Ma forse no, grazie anche all’Europa

L’inasprirsi della situazione sociale e politica in Europa, insieme all’approccio iniziale espresso da Donald Trump sembrano rafforzare il concetto utile all’Islam radicale di un’imminente crociata dell’Occidente, con l’effetto di attirare nuove reclute che giureranno fede alla causa dello Stato Islamico. Sono dinamiche che richiedono molto tempo per realizzarsi ma per un movimento come l’Isis, che guarda ad obiettivi a lunghissimo termine, momenti migliori sono senza dubbio all’orizzonte. Nostra traduzione dell’analisi di Paul Rogers su openDemocracy.

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Turchia, tra dittatura, caos e voglia di scappare

Abbiamo lavorato a questa traduzione da openDemocracy prima del tentato colpo di stato del 15 luglio. La nostra attenzione era già puntata sulla Turchia e riteniamo che le riflessioni contenute in questo articolo aiutino a capire la situazione nel Paese. Un tempo ancora di salvezza della democrazia turca, l’influenza dell’UE sta affondando, mentre il Paese è simbolo di disgregazione. Intanto la popolazione è sempre più isolata, alla mercè degli abusi e delle epurazioni del dittatore Erdogan, con l’Europa – appunto – e il resto del mondo che stanno a guardare.

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