15 Marzo 2024

Estremismo in Africa, decide la povertà più che la religione

Se c’era bisogno del sigillo delle Nazioni Unite e dei suoi esperti per spiegare le ovvie circostanze che portano molti giovani africani ad entrare a far parte di gruppi terroristici di matrice islamica, ora quel sigillo c’è.  Sta in Journey to extremism in Africa [Viaggio nell’estremismo in Africa], uno studio appena pubblicato a cura dell’UNDP (Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite) il quale afferma, in sintesi, che l’appartenenza religiosa rappresenta solo un corollario nella decisione di imbracciare un fucile o riempirsi di esplosivo.

Le ragioni di questa scelta sono, nello stesso tempo, più profonde e più banali, e si chiamano: povertà, deprivazione, abuso di potere da parte di Governi e autorità.

Attentato a Jos, Nigeria, foto Flickr su licenza CC, 20 maggio 2014.

La ricerca, la prima di questo tipo nel continente africano, consiste in una serie di interviste fatte a circa 500 volontari – 81% uomini, 19% donne tra i 17 e i 26 anni – che hanno fatto parte di gruppi estremisti come Boko Haram, al-Shabaab, ISIS., Al-Qaeda. Ai ragazzi sono state poste domande circa la famiglia di provenienza, la religione di appartenenza e le loro ideologie, la situazione economica.

Ne risulta che per il 71% di loro specifiche azioni del Governo (anche arresti e uccisioni di membri della famiglia) sono state l’elemento scatenante nella decisione di aderire a un gruppo terroristico; l’83% degli intervistati ritiene che il loro Governo “si occupa solo degli interessi di pochi” e oltre il 78% non ripone nessuna fiducia nell’apparato di sicurezza dello Stato – polizia e militari – nè nella politica. Anche la mancanza di cure parentali è un elemento importante scaturito dalle interviste.

Sei i Paesi di provenienza dei giovani intervistati: Nigeria, Kenya, Camerun, Niger, Somalia, Sudan. Tutti Paesi, ovviamente, dove operano i gruppi terroristici in questione. La metà degli intervistati – 51% – ha citato ragioni religiose per giustificare l’adesione ai gruppi, ma il 57% ha ammesso di “comprendere poco o nulla dell’interpretazione dei testi religiosi“. Secondo i ricercatori, al contrario, “ricevere almeno sei anni di scuola religiosa avrebbe la probabilità di ridurre almeno del 32% la possibilità di affiliazione“.

Un’idea largamente condivisa e inculcata tra i giovani intervistati è che “la loro religione sia minacciata“, nonostante la maggior parte di loro ha dichiarato di non essere mai stato fuori dal proprio villaggio o città o frequentato persone con un credo diverso. Questo può far pensare che l’argomento religioso possa essere sempre più sfruttato per il reclutamento contando sulla mancanza di conoscenza e di esperienza di molti di questi giovani. Alcuni di loro hanno infine dichiarato di ricevere una paga dal gruppo e solo il 35% ha detto di non ricevere soldi.

Uno schema con alcuni risultati del Report.

In ogni caso la povertà, aver lasciato la scuola troppo presto, nessuno sbocco lavorativo, sono ancora le condizioni molto più pregnanti che spingono questi giovani ad aderire a gruppi terroristici. Va ricordato che metà della popolazione del continente vive al di sotto della soglia di povertà e che il tasso di disoccupazione tra i giovani è altissimo. I dati dell’ILO non sono entusiasmanti e parlano chiaro, la popolazione giovane in Africa raddoppierà nei prossimi anni ma non sarà lo stesso per quanto riguarda l’offerta lavorativa. E se il 50% dei laureati in Africa non riesce a trovare lavoro cosa ne è degli altri che non hanno neanche un’istruzione adeguata?

Per molti giovani l’affiliazione a un gruppo terroristico è quindi una sorta di sirena incantatrice che promette potere, senso di appartenenza, soldi e donne assicurati dalle razzie e dalle violenze.

Secondo gli esperti delle Nazioni Unite il rischio di azioni terroristiche da parte di gruppi estremisti in Africa continua ad essere alto e va crescendo, e i motivi sono dunque evidenti.

Grafico tratto dal Report. Fonte: Global Terrorism Database (GTD), Università di Maryland (2000 – 2014) e Armed Conflict Location and Event Data Project (ACLED) (2015 e 2016). Solo casi confermati sono stati inseriti usando due classificazioni: “quelli associati a fondamentalismo religioso” e “altri”. Il grafico a barre mostra solo i Paesi che hanno avuto più di tre vittime nel periodo in questione.

Qualche parola va spesa sul modo in cui questi ragazzi vengono reclutati. Non attraverso Internet (solo il 3%) e canali della Rete – come avviene in altri contesti e nazioni – ma tramite l’amico o il parente (50%). Solo il 17% ha dichiarato di essere stato avvicinato da un leader religioso. In ogni caso, l’approccio è face-to-face anche se ci si aspetta che i social, anche per i giovani africani, in un futuro non lontano possano cominciare a giocare un ruolo maggiore per quanto riguarda la propaganda.

Secondo l’UNDP 33.300 persone in Africa hanno perso la vita a causa di attacchi terroristici nel periodo compreso tra il 2011 e il 2016. I più aggressivi sono stati quelli di Boko Haram che sarebbe responsabile, secondo i dati a disposizione, di 17.000 morti e di 2.8 milioni di sfollati nella regione del lago Chad. Senza contare i costi economici derivati da un’allerta costante e dal calo di investimenti e del turismo.

Il reclutamento è in corso, e lo sarà ancora molto a lungo se non ci si preoccuperà di cambiare le condizioni strutturali dei Paesi interessati. Non saranno né l’eccesso di sicurezza né le azioni di polizia ad arginare e ridurre il coinvolgimento dei giovani nelle azioni terroristiche in territorio africano. Solo essere e sentirsi davvero parte della società darà a queste giovani generazioni la voglia di migliorare e di vivere anzichè di uccidere.

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

3 thoughts on “Estremismo in Africa, decide la povertà più che la religione

  • Pingback: Estremismo in Africa, decide la povertà più che la religione – Articolo21

  • Questa ricerca mette in vera evidenza di cosa succede in Africa.
    Questo scritto e’ veramente prezioso e dovrebbe esse letto da tutti i potenti della terra che vogliono veramente la pace per questo continente cosi’ travagliato.
    Portare il benessere o anche solamente dare un po’ di speranza a questi popoli inibirebbe senza dubbio l’influenza di estremisti che trovano terreno fertile dove ci sono popolazioni che non hanno niente, nel significato ampio della parola, e che purtroppo non hanno neppure sogni.

    Dovremmo mettere ordine in questo continente cosi’ vasto iniziando da una parte come quando mettiamo ordine in una soffitta sistemando in modo ordinato un angolo e da li allineandosi a quella logica.

    tecnicamente il resto del mondo “civilizzato” lo potrebbe fare senza troppa fatica, dobbiamo solo mettere li l’idea che si puo’ fare ed iniziare a trovare i modi di operare, cosi si risolverebbe anche il problema delle persone che fuggono da i luoghi natii.

    Complimenti per questo canale informativo, bravi, grazie che ci siete.

    Risposta
    • Gentile Gianluigi, le sue sono parole molto sagge. Purtroppo non stiamo attraversando un periodo di saggezza e riflessione. Al contrario, prevalgono il caos e l’ignoranza.
      Noi di Voci Globali, a volte disperatamente, facciamo la nostra parte nel cercare di fare chiarezza e ampliare gli orizzonti di conoscenza.
      Grazie a lei, per leggerci.

      Risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *