fotografia

Artisti albanesi trasformano la migrazione in riflessione sull’identità

Recentemente, gli immigrati albanesi che vivono nel Regno Unito sono stati vittime di episodi di razzismo. Si tratta tuttavia di un fenomeno non nuovo le cui origini risalgono al periodo successivo al crollo del regime comunista. Se il fenomeno della migrazione albanese può essere considerato il risultato di politiche neoliberali, l’arte può offrire uno sguardo diretto sulle esperienze personali e dare visibilità alle storie più complesse. Attraverso infatti le opere degli artisti albanesi citati nell’articolo riusciamo a comprendere più da vicino aspetti della migrazione di cui non si parla quasi mai.

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La fotografa bambinaia che fermava la vita ma restò nell’ombra

Si chiamava Vivian Maier (1926-2009), nata da madre francese e padre austriaco nel Bronx di New York. Una vita che definiremmo solitaria la sua. Certamente eccentrica. Per vivere non fece altro che la tata, cambiando case e quartieri. E ogni volta “imponendo” ai datori di lavoro la presenza delle sue scatole, dove poi sono state ritrovate 100.000 fotografie, alcune ancora nei rullini. Ma non pensò mai di utilizzare la fotografia come mestiere. Nonostante libri, mostre e documentari sulla sua arte e vita, non sapremo mai davvero cosa la spingesse. Forse voleva semplicemente fotografare la vita: fermarla, goderne almeno per un attimo, per lasciarla poi al suo destino.

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La “normalità” di Gaza raccontata da Shareef Sarhan

Intervista al fotografo e artista palestinese tra gli autori di “Windows from Gaza”, progetto che documenta la vita nell’assedio. Macerie, spiagge, donne tra le case bombardate, pescatori e poi sorrisi. Volti di bambini che giocano tra la polvere di un edificio crollato e una normalità senza filtri. Sono i principali soggetti degli scatti che hanno fatto il giro del mondo da quando si iniziò a pubblicare le foto sui social. “Ci mostriamo sorridenti, nonostante i bombardamenti a pochi metri. In questo modo, tutti insieme, riduciamo le sensazioni di paura e spavento. Queste foto ci hanno regalato piccoli attimi di spensieratezza e ci siamo sentiti al sicuro, anche se per poco.”

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Una piattaforma online per i fotogiornalisti africani

Sta per nascere l’African Journalism Database, piattaforma aperta che mira ad accogliere e diffondere il meglio del fotogiornalismo del continente. L’iniziativa fa capo a World Press Photo ed Everyday Africa e permetterà di raccogliere in un unico luogo virtuale il meglio della “fotografia africana”. Un modo per diffondere un’altra Africa, a prescindere dai luoghi comuni con cui spesso la si conosce. Non guerre, malattie, povertà. O meglio, se questo ci sarà farà parte di un’enorme quantità di altro: tecnologia, sport, lotta per la salvaguardia dell’ambiente, arte, questioni sociali…

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Nona, la nudità nera per testimoniare la schiavitù

Nona Faustine è una donna. Una donna grassa e nera, newyorkese e nera. Nona Faustine, artista e fotografa afro-americana, ha fatto del suo corpo “potente” un medium per trasmettere un messaggio altrettanto potente: la denuncia del razzismo strutturale della società americana e il ricordo della schiavitù. Nelle sue performance live – che diventano poi mostre fotografiche – si presenta nuda solitamente in luoghi simbolo dello schiavismo. “White shoes” è una delle sue “esibizioni” più note: ne pubblichiamo alcune immagini su concessione dell’artista.

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Bangladesh, vita nel cerchio

La fotografia di Faisal Azim, premiata all’ “Atkins Ciwem environmental photographer of the year” 2014, ritrae senzatetto e vagabondi costretti a vivere in rifugi di fortuna a Chittagong, Bangladesh, ricavati entro condotti di cemento.

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“Refugee Hotel”, prima notte in America

Sette anni di scatti nel reportage fotografico di Gabriele Stabile sui rifugiati di tutto il mondo al loro ingresso negli USA, sette anni per raccontare il percorso – fisico ed emotivo – di chi ha lasciato le proprie radici per cercarne altre altrove. A Roma dal 18 giugno al 28 settembre 2014 un’importante mostra già presentata a New York.

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