18 Aprile 2024

Artisti albanesi trasformano la migrazione in riflessione sull’identità

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Dimitra Gkitsa pubblicato su The Conversation]

Immagine del video lavoro di Adrian Paci Centro di Permanenza Temporanea. Ripresa da Flickr in licenza CC
Immagine del video lavoro di Adrian Paci “Centro di Permanenza Temporanea”. Da Flickr in licenza CC

Di recente sono stati tanti gli episodi di xenofobia nei confronti degli immigrati albanesi che vivono nel Regno Unito. Non è difficile capire che gli albanesi sono diventati i capri espiatori dell’attuale crisi del sistema migratorio britannico; in Europa, questi pregiudizi contro gli albanesi non sono nulla di nuovo.

Dopo il crollo del regime comunista nel 1990, la povertà, l’instabilità finanziaria e la disoccupazione costrinsero gli albanesi a emigrare, soprattutto in Grecia e in Italia. In questi due Paesi, gli albanesi sono stati costantemente vittime di discriminazione e hanno spesso subìto violenze razziste.

Successivamente, la crisi finanziaria del 2008 ha colpito più duramente sia l’Italia che la Grecia. Negli ultimi anni gli albanesi sono emigrati nei Paesi del Nord Europa, tra cui il Regno Unito dove, ancora una volta, hanno cominciato a subire forme di discriminazione simili.

Molti studiosi vedono il fenomeno della migrazione albanese come la diretta conseguenza delle politiche neoliberali attuate dopo il passaggio della Paese dalla dittatura alla democrazia, ma si racconta poco di cosa si prova a essere un immigrato albanese. Tuttavia, gli artisti hanno cercato di mostrare il proprio punto di vista, analizzando il concetto di confine e dando visibilità alle storie di migrazione più complesse.

Partenze forzate e territori di transizione

Uno dei primi artisti albanesi a confrontarsi con il tema della migrazione è stato Adrian Paci. La sua opera video Centro di Permanenza Temporanea (2007), che trae il titolo dai CPT italiani ora noti come Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), raffigura un gruppo di immigrati su una scaletta mentre aspettano di imbarcarsi su un aereo inesistente. Si tratta di un riferimento a tutti quei rifugiati il cui sogno di iniziare una nuova vita in un nuovo Paese non si realizza mai.

Paci è fuggito in Italia nel 1997 durante i disordini scoppiati in Albania dopo il crollo degli schemi piramidali da cui l’economia albanese dipendeva fortemente, situazione in cui il Paese perse metà del suo PIL . Durante la crisi il Governo rimase passivo, anche quando i disordini sociali furono sul punto di sfociare in una guerra civile – nel caos, migliaia di persone persero la vita.

Nella sua video “Intervista” (1998), Anri Sala, unisce i filmati degli eventi del 1997 con quelli del 1977, quando il Paese era ancora governato dall’autocrate di lunga data Enver Hoxha ed era sotto il sistema comunista. Il filmato del 1977 mostra la madre dell’artista, Valdete Sala, ex leader socialista, mentre partecipa a un congresso della Labour Youth Union [Unione dei Giovani Lavoratori d’Albania, NdT]. Nel filmato la donna indossa la sciarpa partigiana rossa e sta in piedi vicino a Hoxha.

I filmati del 1977 e del 1997 sono accompagnati da altri video di Sala che intervista sua madre sul passato comunista. Nelle sue opere troviamo sia il lato personale che quello politico, il passato comunista che ha sottratto le libertà umane fondamentali e la realtà post-socialista che ha portato ai disordini del 1997.

Gli artisti rimasti in Albania dopo l’esodo di massa degli anni Novanta hanno colto i cambiamenti avvenuti con il passaggio dal socialismo di Stato al capitalismo neoliberale, per esempio ritraendo città e villaggi vuoti, una scena tipica dell’Europa post-socialista.

Il vuoto di questi villaggi mette in risalto i fallimenti dell’ordine capitalista. La chiusura delle fabbriche statali che impiegavano ampie fasce della popolazione e il vasto processo di privatizzazione hanno portato al declino delle città, fenomeno che ha costretto molti a emigrare all’estero per lavoro.

Nei dipinti post-1990 di Edi Hila spicca la sensazione inquietante di un passato ormai lontano e di una transizione che non ha mai raggiunto una conclusione. La sua serie Migrations del 1997, dipinta in un colore grigio quasi luttuoso, è una commemorazione delle persone annegate nel marzo 1997 durante la traversata del Mare Adriatico, la maggior parte delle quali erano donne e bambini.

Il tragico evento è avvenuto quando la nave albanese Kateri i Radës è affondata dopo essersi scontrata con una corvetta italiana nel Canale di Otranto. Si trattava di una delle tante navi che partivano dalla città portuale di Valona con a bordo albanesi che cercavano di fuggire dai disordini del 1997. A quel tempo la marina italiana era stata incaricata di impedire ad ogni costo l’ingresso non autorizzato di immigrati albanesi in Italia.

La recente serie di Hila Paradox del 2005, contenente timide aggiunte di colori più caldi, rappresenta fotogrammi della vita quotidiana in un ambiente mutevole: edifici incompleti, persone che fanno il bagno davanti allo stesso mare dove un tempo si perdevano vite umane, bunker comunisti che rimangono ricordi di un passato traumatico. La vita continua ma è segnata dalle tragedie di coloro che hanno cercato di fuggire senza raggiungere lidi sicuri.

La ricerca della propria “casa” e il presente incerto

Molti immigrati albanesi che si sono costruiti nuove vite all’estero continuano a cercare un senso di appartenenza. Nella loro performance, Voyage Transparent del 2004, gli artisti canadesi The Two Gullivers (Flutura Preka e Besnik Haxhillari) trascinano una valigia trasparente, una metafora del bagaglio invisibile (come i ricordi e le emozioni) che gli immigrati portano con sé. Gli artisti hanno ottenuto questa valigia nella capitale albanese, Tirana nel 1994 e da allora si sono esibiti in tutto il mondo. A ogni esibizione tuttavia non è chiaro se la valigia arrivi o no a destinazione.

Per il fotografo Enri Canaj, cresciuto in Grecia, la ricerca sul concetto di casa lo ha riportato in Albania. L’opera In Albania – A Homecoming (2011–2015) usa la fotografia per catturare stralci di vita quotidiana nel Paese: donne in lutto a un funerale, bambini che giocano, persone che vanno al lavoro. Il progetto rappresenta un tentativo di conoscere il luogo che i suoi genitori hanno lasciato.

In molti casi, gli immigrati albanesi hanno dovuto nascondere la propria nazionalità una volta arrivati in un nuovo Paese. Ad esempio, in Grecia molti hanno adottato nuovi nomi greci, una strategia di sopravvivenza poiché essere invisibili significava meno possibilità di essere oggetto di razzismo.

Sebbene l’economia albanese si sia ripresa lentamente, il Paese rimane uno dei più poveri d’Europa. La crisi economica del 2008 e la recente pandemia hanno portato più disoccupazione e precarietà. Anche la corruzione ha fatto la sua parte nel perpetuare le disuguaglianze sociali.

 

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L’opera di Pleurad Xhafa 200 Million Euro del 2020, che è stata temporaneamente esposta al Teatro Nazionale di Tirana, è una risposta diretta alla normalizzazione della corruzione in Albania. L’installazione rappresenta 500 euro all’interno di un cubo di vetro. È stata infatti creata per protestare contro la mancanza di una ridistribuzione trasparente della ricchezza e le privatizzazioni illegali, tra cui quella che ironicamente ha portato alla demolizione dello stesso Teatro Nazionale.

La storia dell’immigrazione si ripete mentre le persone continuano a chiedere asilo in tutto il mondo, incluso il Regno Unito. Queste potenti opere d’arte sullo sradicamento continuano a essere profetiche perché per gli albanesi la storia non si è ancora conclusa e, tramite di esse, possiamo ancora comprenderne le esperienze.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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