21 Novembre 2024

Giornata della pace, ma nel mondo impazzano guerre e conflitti

Palazzo delle Nazioni Unite a New York. Foto dell’utente Horizon206 da Wikimedia Commons con Licenza Creative Commons

Il 21 settembre si celebra la Giornata Internazionale della Pace. Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 30 novembre del 1981, dal 2001 è fissata al 21 di ogni mese di settembre. Dopo 42 anni, è possibile affermare senza alcun equivoco, che il diritto alla pace non è un valore condiviso dalla comunità internazionale.

A inizio anno, il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres aveva affermato: “Nel 2023 abbiamo bisogno di pace, ora più che mai“. Attualmente, nessun continente è estraneo a conflitti armati e violenze. Nel 2022, l’ONU ha riportato come circa 2 miliardi di persone vivano attualmente in aree interessate da conflitti. Inoltre, tra il 2022 e il 2023 è stato raggiunto il numero più alto di conflitti armati attivi dal 1945.

Nonostante obblighi internazionali e agende multilaterali, il 2023 segna un primato in negativo nel campo dell’eradicazione dei conflitti armati e della promozione pace. Per la Giornata Internazionale della Pace, Voci Globali propone una panoramica critica su alcuni dei conflitti in corso.

La lista di guerre e conflitti armati attualmente in corso è assai più lunga. La nostra redazione ha deciso di approfondire alcune di queste realtà, per tenere accesi i riflettori su quanto avvenuto finora e sulla vita di coloro che ne subiscono le conseguenze.

Ucraina

L’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Federazione Russa del 24 febbraio 2022 ha riportato la guerra in Europa. È necessario sottolineare però, come in Ucraina gli oblast di Donec’k e Luhans’k sono interessati da un conflitto ad alta intensità dal 2014 a causa dell’autoproclamazione delle Repubbliche Popolari. Già prima dell’invasione del 2022, erano state stimate perdite intorno alle 14.000 vittime.

Dal 24 febbraio le perdite umane sono salite in maniera esponenziale. In un dato aggiornato al 19 luglio le Nazioni Unite ritengono che le vittime civili in 500 giorni di guerra sarebbero più di 24.000. In più, Save the Children sottolinea come dall’inizio dell’invasione, ogni giorno sono circa tre i bambini vittime dei combattimenti. Il proseguimento della guerra comporta inoltre devastazioni incalcolabili alle infrastrutture e al territorio ucraino. Ciò impedisce alla popolazione di condurre una vita normale e di accedere ai servizi di base.

Oggi, il numero di rifugiati che hanno fatto ingresso nell’UE è di 4,8 milioni.

Protesta contro la guerra in Ucraina, 2022. Foto di Amaury Laporte da Wikimedia Commons con licenza Creative Commons

Nagorno-Karabakh

Nel Caucaso, è di estrema attualità l’innalzamento di tensioni tra Azerbaijan e Armenia in merito alla regione contesa del Nagorno-Karabakh.

Nel 2020 l’Azerbaijan aveva dichiarato guerra all’Armenia riconquistando ampie porzioni di territorio all’interno dell’area contesa. Il cessate il fuoco, garantito dalla presenza di soldati russi, non ha sopito le tensioni. Recentemente, l’Azerbaijan ha chiuso il cosiddetto “Corridoio di Lachin” (unica via d’accesso per la Valle del Nagorno-Karabakh), accusando l’Armenia di sfruttarlo per introdurre armi.

Negli ultimi giorni è stato rinegoziato un nuovo accordo per la circolazione. Tuttavia, nella mattinata del 19 settembre 2023 l’Azerbaijan ha lanciato nuove operazioni militari contro le posizioni armene nella regione. L’Armenia ha accusato le forze azere di aver violato il cessate il fuoco e ha invocato l’intervento delle Nazioni Unite. Sono state riportate vittime tra civili e militari, mentre in tutte le città principali del Nagorno-Karabakh sono risuonate le sirene antiaeree e sono stati registrati pesanti bombardamenti sugli obiettivi militari armeni.

Siria

Nel 2023 la Siria è entrata nel dodicesimo anno di guerra civile. Dal 2011, oltre 600.000 persone hanno perso la vita e oggi, a causa del collasso economico del Paese assieme al terremoto di febbraio, il 50% dei siriani è esposto a carenza alimentare.

In aggiunta, il terremoto dello scorso febbraio ha causato circa 5 milioni di sfollati. Questi vanno ad aggiungersi ai 15 milioni di persone che dipendono completamente dagli aiuti umanitari, in quanto il 90% della popolazione siriana vive al disotto della soglia di povertà.

All’interno del conflitto siriano si inserisce la situazione del Rojava. Il Governo dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est fronteggia dal 2016 la pressione militare turca con bombardamenti indiscriminati e danni ambientali dovuti al controllo turco delle dighe sul Tigri.

Sudan

In Sudan è in corso una guerra civile che finora ha causato vittime e una situazione umanitaria drammatica. Nel 2019, il popolo sudanese aveva deposto Omar al-Bashir, autocrate al potere dal 1989. La rivoluzione, guidata dalle forze della società civile raccolte intorno alle Forze per la Libertà e il Cambiamento (FFC), è stata poi infranta dal colpo di Stato del 25 ottobre 2021.

Dopo due anni di repressione e violenze su attivisti e giornalisti, il 15 aprile 2023, le forze del generale Fattah al-Burhan e le milizie di Mohamed Hamdan Dagalo (detto Hemeti) hanno scatenato degli scontri violenti nella capitale. Oggi, lo scontro rischia di cristallizzare la situazione in uno scenario da guerra civile.

A causa delle violenze, la  situazione umanitaria è allarmante. Dal 15 aprile 2023, circa un milione di persone hanno lasciato il Paese, mentre il numero degli sfollati interni è di circa 5 milioni. Le vittime accertate al momento sono 7.500 e la popolazione da mesi non riceve cure e assistenza medica, poiché l’80% degli ospedali del Paese sono chiusi o danneggiati. Finora, la mediazione di Stati Uniti e Arabia Saudita non ha portato alcun tipo di risvolto verso la pace.

Territori Palestinesi Occupati

L’utilizzo delle risorse naturali è uno degli strumenti di violenza del sistema di apartheid in atto nei Territori Palestinesi Occupati.

Da diversi anni la demolizione di uliveti, abitazioni e infrastrutture civili da parte del Governo israeliano, è divenuta una violazione quotidiana e sistematica dei diritti della popolazione palestinese.

Nel corso del 2023, Israele ha intensificato le operazioni militari in Cisgiordania. Nel mese di agosto si sono verificati violenti scontri a sud di Jenin dove un ragazzo di palestinese di 17 ha perso la vita.

Yemen

Dal 2014 il Yemen è scivolato in una violenta guerra civile che vede fronteggiarsi le milizie Houti e il Governo centrale yemenita.

Lo Stato arabo è anche luogo di scontro di due potenze regionali, l’Arabia Saudita e l’Iran, impegnate a sostenere sul campo con equipaggiamento e supporto aereo le due fazioni in lotta.  Le vittime stimate dall’ONU nel 2021 erano circa 377.000.

Oggi, la maggior parte della popolazione non ha accesso ad alcun tipo di servizio ed è esposta a fenomeni di malnutrizione ed epidemie.

Sebbene vi sia stata una tregua, negoziata ad aprile 2022 da Iran e Arabia Saudita con la mediazione cinese, questa si è esaurita nell’ottobre dello scorso anno. Infine, la riapertura di un canale diplomatico tra Riad e Teheran dello scorso aprile non sembra poter grantiere una soluzione pacifica di lungo periodo.

Due attiviste protestano di fronte a Downing Street contro il supporto inglese alla coalizione saudita in Yemen. Foto di Hands Off Yemen da Wikimedia Commons con Licenza Creative Commons

Libia

La Libia è in uno stato di violenza cronica  dalla guerra civile, iniziata nel 2011 con la deposizione di Muhammar Gheddafi.

Da dodici anni il Paese è ostaggio di milizie e gruppi armati in lotta per il controllo del territorio e dello sfruttamento del traffico di esseri umani. Oggi, oltre alle continue perdite dovute alla violenza armata, la Libia è alle prese con le conseguenze della tempesta Daniel.

Le inondazioni hanno colpito la città di Derna e causato circa 6.000 vittime e 10.000 dispersi. Al momento, nel Paese non esiste alcun tipo di autorità che garantisca ai propri cittadini accesso a beni primari come cibo trattamenti sanitari. La rivalità tra il Governo di Tripoli e quello di Tobruk (Parlamento dell’Est), inoltre,  rischia di ostacolare qualsiasi azione concreta per assistere la popolazione.

Sahel

Da diversi anni, l’area saheliana è interessata da intensi conflitti armati tra i Governi dell’area e diverse formazioni ribelli jihadiste.

Queste detengono il controllo delle forze su ampie porzioni di territorio, principalmente in Mali, Burkina Faso e Niger.

Tutti e tre i Paesi sono governati da giunte militari che hanno preso il potere estromettendo i governi civili. L’ultimo ad aver seguito questo percorso è stato il Niger con il colpo di stato del 26 luglio.

Gli scontri tra forze governative e gruppi armati si ripercuotono sulla popolazione civile con arruolamenti forzati, abusi e uccisioni sommarie. Difatti, i dati raccolti parlano di 9.818 vittime dal 2021, concentrate soprattutto in Burkina Faso e Mali. In aggiunta, le violenze rischiano di coinvolgere altri Stati del Golfo di Guinea come Ghana, Benin, Togo e Costa d’Avorio, che registrano in maniera sempre più frequente incursioni armate lungo i propri confini settentrionali.

Repubblica Democratica del Congo

La guerra che devasta la Repubblica Democratica del Congo è una realtà dimenticata che si protrae dal 1996.

Lo scontro tra le forze governative, il gruppo ribelle M23 e le milizie islamiste hanno provocato 33.000 sfollati soltanto nel marzo 2023.  Ad oggi, gli scontri hanno causato circa 6 milioni di vittime in 27 anni.

Gli interessi stranieri di Cina, Russia, Stati Uniti e altri Paesi per le risorse minerarie della RDC alimentano la spirale di violenza. La situazione è aggravata ulterioremente dall’annuncio del ritiro della  missione ONU MONUSCO e dai venti di guerra con il Ruanda.

Peacekeepers della missione MONUSCO osservano dei combattimenti nei pressi della città di Goma, 2013. Foto di MONUSCO da Wikimedia Commons con Licenza Creative Commons

Myanmar

Nella regione del Pacifico, il Myanmar ha subito un colpo di Stato nel 2021 da parte di una giunta militare. A ciò, sono seguite mobilitazioni a favore della democrazia organizzate  dalle opposizioni e dagli studenti.

La repressione dell’Esercito Birmano (Tatmadaw) ha spinto diversi gruppi etnici ad entrare in conflitto contro l’esercito. A questi si sono uniti attivisti e giovani volontari, uniti dalla volontà i rovesciare i militari.  L’opposizione militare si è raggruppata intorno al Governo di Unità Nazionale, che porta avanti le proprie azioni assieme ai vari gruppi etnici nelle zone rurali del Paese.

Il numero di sfollati interni dal 2021 ha raggiunto il milione di persone. La giunta militare è responsabile di bombardamenti iniscriminati sulla popolazione nelle regioni controllate dall’opposizione. L’utilizzo di mine causa un pericolo costante per i civili e per i minori. Dall’inizio della guerra civile sono 382 i bambini uccisi .

Inoltre, è cruciale ricordare come all’interno della guerra civile birmana sia tutt’ora attiva la campagna di apartheid e repressione nei confronti della minoranza musulmana dei Rohingya.

Il quadro attuale al livello globale dimostra come l’impegno della comunità internazionale nel promuovere la pace in quanto diritto universale di ogni individuo sia assolutamente inefficace.

Il 21 settembre 2023 fotografa una realtà drammatica con una società globale in guerra.

Alessandro Cinciripini

Laureato in Studi dell’Africa e dell’Asia presso l’Università di Pavia, interessato a Vicino Oriente, Balcani e diritti umani. Attualmente a Sarajevo dove si occupa di progetti di promozione sociale e interculturale.

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