A circa un mese dal disastro delle alluvioni in Libia dell’11 settembre, i territori colpiti sono ancora in piena emergenza.
I numeri ci aiutano a capire l’entità delle inondazioni di Derna: 4.200 morti, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità e oltre 40.000 sfollati per l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Circa 10.000 persone risultano ancora disperse e tra gli sfollati si contano oltre 16.000 bambini.
Secondo l’Onu, il numero dei bambini tra le vittime non è ancora confermato, ma il timore è che ne siano morti a centinaia, dato che rappresentano circa il 40% della popolazione.
Danni ingenti alle infrastrutture sanitarie ed educative significano inoltre che i bambini, ancora una volta, rischiano ulteriori interruzioni della scuola e l’epidemia di malattie mortali. Nella regione colpita, su 117 scuole, quattro sono state distrutte e 80 parzialmente danneggiate.
C’è inoltre un’emergenza che riguarda la salute mentale. Molti bambini coinvolti nelle devastazioni soffrono ora di depressione e perdita della parola, mentre alcuni hanno addirittura tentato il suicidio, stando a quanto raccontato dalla psichiatra libica Shaheen Al-Zayani.
“Questa situazione purtroppo getterà un’ombra sul futuro dell’intero Paese… Alcuni bambini sono rimasti intrappolati nelle loro case con corpi ammassati o privi di vita davanti a loro finché non sono stati salvati”, ha spiegato la dottoressa. La durata delle inondazioni successive all’inondaziine, secondo Al-Zayani, è stata di oltre 15 ore, durante le quali diversi bambini sono rimasti sotto le macerie delle loro case, oppure sono stati trascinati via dall’acqua.
Il disastro ha lasciato un trauma di non facile superamento. L’agenzia Onu OCHA (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) ha messo in guardia su un peggioramento delle condizioni psicologiche nelle settimane dopo la tempesta. I bisogni di salute mentale e di supporto psicosociale delle persone colpite si intensificherà a causa del notevole disagio e degli effetti socioeconomici che si protrarranno, con un effetto sproporzionato sui gruppi vulnerabili della popolazione.
Suscita particolare preoccupazione la salute mentale di migranti, rifugiati e i gruppi minori di sfollati interni come persone con disabilità, bambini e giovani, donne e ragazze, e gli operatori sanitari sottoposti a stress e a condizioni di vita già molto difficili prima delle inondazioni.
La tempesta Daniel è stata particolarmente violenta, causando distruzioni diffuse non solo a Derna, ma anche in altri centri come Albayda, Soussa, Al-Marj, Shahat, Taknis, Battah, Tolmeita, Bersis, Tokra e Al-Abyar. Le piogge torrenziali e il crollo di due dighe hanno allagato la città costiera, trascinando interi quartieri nel Mar Mediterraneo.
La tragedia non ha fatto altro che aggravare le condizioni di vita in quello che è da tempo considerato uno Stato fallito, con due Governi a spartirsi il potere e gli strascichi di guerre e rivalità tra fazioni armate.
L’OCHA stima che 884.000 persone, distribuite sul territorio di cinque province, vivano in aree che sono state direttamente colpite dalla tempesta e dalle inondazioni improvvise. Qui, i bisogni umanitari emersi con il disastro si aggiungono a quelli già esistenti. Le condizioni sociali erano infatti già difficili e 300.000 persone in Libia risultavano bisognose di assistenza umanitaria prima del disastro.
La situazione è quindi solo peggiorata su diversi fronti. L’ospedale di Albayda, che serve l’intera regione delle Green Mountain, si è allagato, costringendo l’evacuazione dei pazienti in terapia intensiva a privati ospedali e cliniche e al trasferimento di altri malati in strutture provvisorie. Secondo l’Oms, come risulta da un ultimo report del 3 ottobre, il 63% degli ospedali e il 52% delle strutture sanitarie primarie risultano inagibili o solo parzialmente funzionanti.
C’è inoltre carenza di medicinali necessari per il trattamento di malattie croniche. La maggior parte dei rischi per la salute dei sopravvissuti alle inondazioni sono legati alle fonti d’acqua contaminate e a strutture igienico-sanitarie inadeguate. Queste condizioni aumentano le probabilità di epidemie di malattie trasmesse dall’acqua, come diarrea acuta, colera e anche tifo, dengue, malaria e febbre gialla.
Drammatico è anche il bilancio per le case, gli edifici pubblici e il tessuto urbano in generale. Derna, per esempio, un tempo era soprannominata la perla del Mediterraneo, “famosa in tutta la Libia per la sua anima creativa, la sua impareggiabile eredità ottomana e andalusa, la sua poesia e musica”, ha affermato Anas El Gomati, direttore del Sadeq Institute, un think tank libico.
La città, si può dire, non esiste più visto che il crollo delle due dighe l’ha letteralmente sommersa. Secondo il ministro dell’Aviazione civile e membro del comitato di emergenza per l’amministrazione della Libia orientale, il 25% della città è scomparso. I rapporti più recenti parlano di 3.979 edifici colpiti (non più abitabili o bisognosi di interventi).
Anche a Bengasi la distruzione è stata pesante, con un totale stimato di 13.947 immobili coinvolti nella furia della tempesta. Altre aree gravemente danneggiate, dove si è proceduto a numerosi sfollamenti, sono le città di Albayda, Sousa e Almarj. Qui si contano oltre 12.000 edifici colpiti dall’uragano e dal successivo allagamento.
Questi numeri si traducono in persone in cerca di una casa, o di un semplice riparo. La maggior parte delle famiglie colpite dalle inondazioni, anche se possiedono ancora un’abitazione, hanno perso tutto, dai vestiti alle coperte ai materassi e non saranno in grado di recuperarli o acquistarli nuovi.
L’arrivo della nuova stagione nel distretto di Derna e dintorni potrebbe inoltre aggravare la situazione degli sfollati che non hanno riparo. Le temperature notturne possono scendere sotto i 15° C da novembre a marzo, aumentando la necessità di alloggi adeguati.
Anche l’allerta ambientale è altissima. C’è molta preoccupazione per l’acqua contaminata e l’aumento di quella stagnante. La presenza di rifiuti tossici e la conseguente contaminazione del suolo sono problemi urgenti da affrontare. In alcune località sono stati colpiti impianti di produzione, industriali e di trattamento dei rifiuti, nonché industrie chimiche, ma non sono ancora stati valutati i relativi rischi ambientali per scorie e sostanze nocive riversate senza controllo.
Secondo l’UNDP (United Nations Development Programme), sono stati colpiti la centrale elettrica di Albayda, un sito minerario e un impianto industriale a Sousa, il porto di Derna, nonché serbatoi d’acqua, silos e magazzini in diverse località. Sempre a Derna, oltre 8,7 milioni di tonnellate di detriti provenienti da edifici distrutti e danneggiati necessitano di essere rimossi. Sono in corso le valutazioni dei danni alle strade e alle linee elettriche.
La tempesta Daniel è stata di portata epocale secondo tutte le valutazioni di climatologi ed esperti. Le due dighe crollate hanno liberato un canale d’acqua largo 100 m con una forza distruttiva impetuosa. Nonostante l’eccezionalità del fenomeno sia stato attribuito al cambiamento climatico, si ritiene che le dighe di Abu Mansour e Al-Bilad abbiano ceduto non solo a causa del volume delle precipitazioni, ma anche a causa di decenni di negligenza nella manutenzione. Pertanto, ci sono serie preoccupazioni riguardo alla sicurezza di altre dighe nella regione.
C’è allerta in particolare per la diga di Al-Qattarah, a monte di Bengasi. Sebbene le autorità abbiano riferito che è in buone condizioni, rapporti non confermati indicano che presenta delle perdite. Se dovesse crollare in seguito a piogge estreme, Bengasi sarebbe esposta a un disastro simile a quello di Derna.
Ci sono seri timori anche per la diga di Al-Jaza, che potrebbe aver evitato il collasso solo perché le autorità hanno installato pompe dell’acqua per alleviare la pressione. Ma l’arrivo dell’inverno e di probabili piogge in maggiore quantità sta aumentando l’allarme.
I sopravvissuti sono alla ricerca di diverse risposte, come quella cruciale alla domanda chi, in quanto autorità o responsabile politico, si deve – o doveva – occupare della manutenzione di infrastrutture così importanti? I riflettori non possono che accendersi sulla estrema precarietà dello Stato libico, che de jure non esiste più come entità unita e riconosciuta su tutto il territorio.
A testimonianza di come la crisi profonda della nazione a livello politico abbia lasciato il segno anche nel dramma delle inondazioni, il 2 ottobre l’inviato Onu per la Libia, Abdoulaye Bathily si è detto molto preoccupato per l’emergere di accordi unilaterali e iniziative concorrenti di vari attori e istituzioni libiche sulla ricostruzione del territorio distrutto, sottolineando in una nota:
Questi sforzi unilaterali sono controproducenti, approfondiscono le divisioni esistenti nel Paese, ostacolano gli sforzi di ricostruzione e sono in contrasto con l’effusione di solidarietà, sostegno e unità nazionale mostrata dal popolo libico da ogni angolo del Paese in risposta alla crisi. È necessario un meccanismo nazionale unificato per portare avanti in modo efficace ed efficiente gli sforzi di ricostruzione nelle aree colpite dalle inondazioni.
Domenica 1 ottobre l’amministrazione orientale aveva dichiarato che avrebbe rinviato una conferenza internazionale sulla ricostruzione di Derna. Intanto, anche il Governo riconosciuto a livello internazionale di Tripoli, a Ovest, aveva affermato di voler tenere un vertice per pianificare l’assistenza post-inondazioni.
Gli analisti concordano sul fatto che il controllo sulla ricostruzione di Derna, che potrebbe portare ingenti somme in finanziamenti e coordinamento con le potenze straniere, può diventare una nuova importante arena di conflitto tra le fazioni libiche. Finora, proprio in nome di questa rivalità, le parti hanno dato priorità alla costruzione di eserciti e milizie piuttosto che alla gestione di infrastrutture e servizi.
Derna, inoltre, è stata protagonista della guerra civile e dei conflitti della nazione. La città è sempre stata un focolaio di dissenso politico e nel 2014 è stata dichiarata parte del califfato dello Stato Islamico. Haftar l’ha poi assediata dal 2015 fino alla sua caduta nel 2018. Da quando ha ripreso il potere è stato accusato di ritorsioni contro civili e oppositori politici.
Il dramma è doppio in questi posti e svela tutta la complessità della situazione libica. A Derna, infatti, gli edifici bombardati con segni di schegge si trovano accanto alle rovine di case spazzate via da valanghe di acqua, fango e detriti. Come osservato da cronisti sul posto, una distruzione rispecchia l’altra: pezzi di armamenti spuntano dai pilastri di cemento crollati, mentre giocattoli, vestiti e fotografie dei bambini giacciono a terra.