Israele, il nuovo Governo di Netanyahu minaccia la democrazia

[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di Boaz Atzili pubblicato su The Conversation]

Manifestazione di protesta per l’uccisione della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh da parte dell’esercito israeliano (Londra, maggio 2022). Di Halisdare Hickson da Flickr con licenza CC

Democrazia non significa soltanto elezioni. È un sistema di istituzioni, idee e pratiche che consente in maniera continuativa ai cittadini di intervenire con decisione per orientare il Governo e le sue politiche.

Il nuovo Governo israeliano, guidato da Benjamin Netanyahu e insediatosi il 29 dicembre scorso, è costituito da una coalizione dei partiti più di estrema destra e religiosi nella storia del Paese. Tale Governo rappresenta un’enorme minaccia alla democrazia in Israele, e anche su più fronti.

Di seguito elenchiamo quattro ambiti in cui le istituzioni, le usanze e le pratiche democratiche del Paese sono minacciate dal nuovo Governo e da politiche e leggi che potrebbero essere promulgate o alle quali si sta lavorando.

1. Ostilità verso la libertà di parola e il dissenso

Il Primo ministro Netanyahu sta lavorando da anni per consolidare il suo controllo dei media israeliani. Il nuovo Governo intende accelerare la privatizzazione dei media per consegnarli nelle mani di soggetti interessati ed etichettare come anti-israeliani e sovversivi gli organi di stampa considerati ostili dai leader.

I segnali che questa delegittimazione è in atto sono già evidenti.

Già prima che Itamar Ben-Gvir, il nuovo ministro per la Sicurezza Nazionale, si insediasse, la polizia ha trattenuto brevemente e interrogato il giornalista Israel Frey che aveva pubblicato un tweet controverso in cui suggeriva che l’esercito israeliano potesse essere un legittimo obiettivo di eventuali attacchi palestinesi. La polizia ha affermato che il tweet incitasse al terrorismo e, tramite l’arresto, ha dimostrato che i giornalisti a favore di una stampa aperta e libera possono andare incontro a ritorsioni.

Ben-Gvir, capo del partito di estrema destra Otzma Yehudit e ora sovrintendente della polizia, è stato condannato in passato per aver sostenuto il terrorismo ebraico e per incitazione razziale contro la minoranza araba in Israele.

Durante il discorso inaugurale del 1 gennaio, il nuovo ministro ha bollato gli “anarchici ebrei” – un nome da lui utilizzato spesso per riferirsi alla sinistra e alle organizzazioni per i diritti umani – come minacce di cui “è necessario occuparsi”.

2. Indebolimento della parità di diritti

Il Governo Netanyahu sembra propenso a consentire la discriminazione nei confronti della comunità LGBTQ e delle donne, indebolendo il fondamentale principio democratico di eguaglianza davanti alla legge.

Il nuovo ministro per le Missioni Nazionali Orit Strock ha dichiarato in un’intervista a fine dicembre che “se a un medico è richiesto di fornire un tipo di assistenza che viola la sua fede religiosa non può essere obbligato a farlo, se c’è un altro medico che può intervenire”.

Netanyahu ha condannato Strock e altri membri della coalizione che avevano dichiarato che fosse lecito rifiutarsi di offrire un servizio a una persona omosessuale in caso il servizio in questione fosse in contrasto con le credenze religiose del gestore.

Eppure, alcuni giornalisti hanno riportato che il Likud e altri membri della coalizione hanno deciso di comune accordo di emendare la legge contro la discriminazione per consentire esattamente l’attuazione di tale norma.

Durante le prime negoziazioni in seno alla coalizione, i partiti ultra-ortodossi hanno chiesto con insistenza una nuova legge che consentisse la segregazione di genere negli spazi ed eventi pubblici. Pare che Netanyahu sia d’accordo, il che significa che tali leggi dovrebbero passare alla Knesset.

La segregazione nell’ambito dell’istruzione, sui mezzi di trasporto e duranti gli eventi pubblici si traduce spesso nell’esclusione delle donne e nell’indebolimento della loro voce, e quindi contraddice principi democratici di base come la libertà e l’uguaglianza.

3. L’annessione della Cisgiordania e l’apartheid

L’intenzione del nuovo Governo di annettere de facto la Cisgiordania vanificherà tutte le affermazioni di Israele di essere l’unica democrazia del Medio Oriente.

In un tweet del 28 dicembre Netanyahu ha annunciato che le linee guida del suo Governo includeranno il principio in base al quale “il popolo ebraico detiene il diritto esclusivo e indiscutibile su tutti i territori della Terra di Israele” tra cui la Cisgiordania, occupata da Israele dal 1967 e abitata da una maggioranza palestinese.

Tali linee guida, insieme alle nuove nomine del politico di estrema destra, Bezalel Smotrich, a ministro responsabile degli insediamenti ebraici e di Ben-Gvir a ministro in carico della polizia di confine, sembrano giustificare un’eventuale annessione dei territori occupati dai palestinesi.

Stando alla retorica di leader di destra come Smotrich, i residenti palestinesi di quelle terre non godrebbero di pari diritti né del diritto di voto. Questo è apartheid, non democrazia.

4. Cancellazione della separazione dei poteri

Nel sistema israeliano, il sistema esecutivo e quello legislativo sono sempre controllati dalla stessa coalizione. I tribunali costituiscono l’unica istituzione che può controllare il potere dei partiti di Governo e difendere le Leggi Fondamentali, fonti di diritto in caso di assenza di una Costituzione formale.

Però, il nuovo Governo intende cancellare questa separazione dei poteri e mira esplicitamente a indebolire i tribunali.

Il 4 gennaio, dopo meno di una settimana come ministro della Giustizia, Yariv Levin ha annunciato il piano del Governo per una riforma radicale della giustizia che includerà la “clausola di annullamento”. Quest’ultima permetterà alla semplice maggioranza nella Knesset di mettere nuovamente in vigore qualsiasi legge bocciata dalla Corte Suprema come incostituzionale.

Tutto ciò, di fatto, priverebbe di ogni limite il potere della maggioranza. La coalizione potrebbe legiferare e adottare politiche non soltanto incostituzionali ma in aperta contraddizione con i concetti di diritti umani e uguaglianza racchiusi nella Dichiarazione d’Indipendenza di Israele.

Il piano del Governo prevede anche riforme che permetteranno alla coalizione il controllo delle nomine dei giudici. In un piccolo Paese privo di una Costituzione forte e in cui non vige la separazione dei poteri esecutivo e legislativo, questa mossa indebolirebbe ancora una vota l’autorità dei tribunali e porrebbe i giudici nella condizione di sentirsi in obbligo verso i politici.

Queste cosiddette riforme “minacciano di distruggere l’intera struttura costituzionale dello Stato di Israele” ha dichiarato Yair Lapid, capo dell’opposizione ed ex Primo ministro.

I guai di Netanyahu e ciò che ne consegue

Le probabilità che tutte queste minacce alla democrazia del Paese si concretizzino sono ancora maggiori a causa degli attuali problemi personali di Netanyahu.

Netanyahu è un politico di lungo corso che in passato è riuscito a domare i più estremisti tra i suoi partner di coalizione e all’interno del suo partito Likud, accordando il suo favore a parole ma dimostrandosi nei fatti più cauto rispetto alle politiche adottate.

Molti analisti non credono che accadrà la stessa cosa anche stavolta.

Il Primo ministro è imputato di corruzione e frode in tre processi diversi ed è quindi determinato a proteggere se stesso con tutto il potere legislativo ed esecutivo che riuscirà a ottenere.

Rispetto a questo obiettivo, Netanyahu è in debito verso la sua coalizione e ricattabile riguardo all’agenda degli ultra-ortodossi e alle loro richieste di emanare leggi che perpetuino la supremazia degli ebrei.

Uno qualsiasi di questi cambiamenti rappresenta una seria erosione della democrazia. Tutti insieme, costituiscono una chiara minaccia all’esistenza stessa della democrazia in Israele.

Il Paese continuerà a indire le elezioni in futuro, ma ci domandiamo se si tratterà di elezioni libere e giuste. Senza alcun controllo giudiziario, nel totale spregio dei diritti umani, con l’annessione delle terre palestinesi e la privazione del diritto del voto ai suoi residenti, e con dei media che normalizzano tutto ciò, la risposta è probabilmente no.

Come la Turchia, l’Ungheria o anche la Russia, Israele potrebbe diventare una democrazia solo a livello formale, svuotata di tutte le idee e le istituzioni che sorreggono un Governo che sia davvero del popolo ed eletto dal popolo.

Gaia Resta

Traduttrice, editor e sottotitolista dall'inglese e dallo spagnolo in ambito culturale, in particolare il cinema e il teatro. L'interesse per un'analisi critica dell'attualità e per i diritti umani l'ha avvicinata al giornalismo di approfondimento e partecipativo.

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