La fruizione di arte e cultura è un’esperienza che appartiene a ciascuno. Quando però coinvolge le persone disabili, godere appieno della bellezza di questo patrimonio non è più così scontato.
Nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, accanto a principi come dignità, inclusione e parità compare l’accessibilità.
L’accessibilità all’arte e alla cultura, più precisamente, non è soltanto l’offerta di un servizio ma in presenza di persone con disabilità diventa la garanzia per l’esercizio di un diritto. Tuttavia, aprire le porte di un museo, assicurare l’assenza di barriere architettoniche non sempre basta.
Un’opera d’arte o un evento culturale hanno bisogno di essere visti e ascoltati, e nella fruizione di queste esperienze l’attenzione all’accessibilità, se non è intesa in senso ampio, rischia di tagliare fuori tantissime persone che hanno una disabilità sensoriale.
Secondo il Rapporto Istat “Conoscere la disabilità” del 2019 solo il 9% dei disabili nel nostro Paese va frequentemente al cinema, teatro o museo. Inoltre, i problemi di accessibilità riducono significativamente la partecipazione culturale.
Il dato si conferma anche guardando in generale al nostro Continente, dove l’87% delle istituzioni culturali non adegua i propri materiali di comunicazione e la stessa percentuale di disabili ha affermato di aver avuto difficoltà di accesso a eventi culturali.
Gli sforzi e l’impegno del settore turistico e delle istituzioni, in sempre più casi, si muovono verso la costruzione di un nuovo modo di fare e di godere dell’arte, che sia inclusivo e concentrato sulla persona più che sulle sue abilità.
Il contesto per eccellenza in cui si concentra l’arte è quello museale; anch’esso sta cercando di diventare uno spazio che non sia soltanto per gli occhi ma che possa accogliere il corpo come un intero.
Sulla scena internazionale diverse sono le realtà sia di singole strutture che di più ampio respiro che si occupano di trasformare in questo senso i musei: innanzitutto il progetto ToMiMEUs, si prefigge di accrescere la consapevolezza e la competenza degli operatori del settore per aumentare l’inclusività dei disabili sensoriali, attraverso l’utilizzo di nuove tecnologie e la promozione di collaborazioni tra enti.
Ancora, nei Paesi Bassi, il Van Abbemuseum ha implementato una serie di percorsi e programmi che comprendono tour multi-sensoriali per ciechi ed ipovedenti insieme a visite in linguaggio dei segni guidate da operatori non udenti.
Anche in Italia iniziative del genere sono promosse sia da piccoli musei dedicati – come il Museo Omero di Ancona – che grandi pietre miliari della nostra rete museale. Parliamo degli Uffizi.
A questo proposito il ministero della Cultura ha creato A.D Arte Beni culturali, strumento che permette di verificare le condizioni di accessibilità ai musei e alle aree archeologiche aperte al pubblico.
Nell’ambito museale Voci Globali ha accolto la testimonianza di Carmela Pacelli, responsabile del servizio disabili dell’Università Suor Orsola Benincasa, che insieme a Maria Grazia Gargiulo coordina la Rete Campania tra le Mani, oggi una realtà ben consolidata che coinvolge anche diverse associazioni e musei, rivolta a migliorare l’esperienza museale per le persone con disabilità, principalmente sensoriali.
Pacelli ci racconta come tutto sia nato all’interno del contesto universitario:
“Abbiamo verificato che spesso i disabili conoscono poco del proprio territorio e venire all’Università è l’unico modo di vedere la città. Da questo sono partite le prime sperimentazioni con piccole visite guidate, con i soli studenti con disabilità“.
In questo modo già dal 2010 sono partite le prime visite guidate, gestite dal personale dei musei come il museo di Capodimonte, le catacombe di San Gennaro e il Palazzo Reale di Napoli. Ogni museo offre una visita con caratteristiche diverse: nella Reggia di Caserta ad esempio, è stato realizzato un plastico consultabile da tutti prima della visita.
“Il più grande tabù è proprio questo: l’arte non si può toccare e si fruisce attraverso gli occhi. Questa era la nostra sfida, portare al museo chi gli occhi non ce l’ha, ma ha tutti gli altri sensi che possono fare le veci di quelli problematici“.
Insieme ai direttori e agli operatori di ogni museo viene formato il personale e costruito un itinerario di visita. Su quest’ultimo, Pacelli ci spiega che l’itinerario è realizzato in modo da essere rappresentativo del luogo visitato e che alle guide vengono spiegate anche le tecniche della narrazione accessibile, rendendo il più possibile interessante il racconto. Stimolante, ci spiega, è il primo incontro tra l’operatore e il visitante, nel momento in cui prima di rendere pubblico un percorso esso viene “collaudato” ed è frutto del confronto tra le diverse specialità.
Oggi la Rete è conosciuta a livello nazionale e si rinnova costantemente con nuove collaborazioni, senza alcun finanziamento. Al suo interno i musei stessi, in totale indipendenza, possono rispondere alle esigenze dei visitatori disabili, offrendo percorsi ad hoc ed esperienze significative dei luoghi d’arte campani.
L’esperta ci restituisce, inoltre, un importante messaggio:
“L’intervento che si fa per le persone con disabilità intercetta tante persone che una disabilità non ce l’hanno, ma che imparano a guardare all’altra da un altro punto di vista. Aiuta il vedente a cogliere i particolari che con la nostra percezione dell’occhio non abbiamo“.
Fuori dal contesto museale siamo di fronte a bellezza e arte anche in mezzo alla natura, immersi in percorsi che segnano nel nostro Paese, come altrove, tappe fondamentali della storia di ognuno. La difficoltà di camminare in sicurezza spesso, vincola le persone con disabilità sensoriali e li spinge a rinunciare a queste esperienze di contatto.
Sull’esperienza del cammino in natura Dario Sorgato, presidente dell’associazione Noisy Vision, ci racconta del progetto “In montagna siamo tutti uguali” realizzato insieme ad Appennino Slow.
“Tutto è cominciato quando nel 2016 come associazione abbiamo percorso la Via degli Dei con il progetto ‘Anche agli dei piace giallo‘ da cui è scaturito un breve film che trovate su YouTube. Il film è stato presentato in diverse città italiane e Appennino Slow ne ha preso ispirazione per la realizzazione del progetto“.
L’associazione, che oggi ha all’attivo diversi percorsi, si presenta con la sua bandiera gialla, colore simbolo sia perché è il colore che gli ipovedenti vedono meglio e nella degenerazione della vista sarebbe l’ultimo che smetteremmo di vedere, sia per il suo significato legato alla gioia e all’ottimismo. Organizza e gestisce i cammini in cui persone vedenti e non realizzano i percorsi, condividono l’esperienza del cammino e del riposo, stanno insieme come persone, lasciando da parte la disparità tra accompagnatori e accompagnati.
Dario, infatti, con entusiasmo specifica:
“Non vogliamo offrire un servizio ai non vedenti, nei nostri cammini si iscrivono persone. Siamo un po’ pionieri della rottura di questo concetto, noi cerchiamo di rompere questo schema di differenziazione“.
Prima di ciascun cammino, che ogni volta coinvolge una quindicina di persone su tappe di 15/18 Km ciascuna, l’associazione si occupa della formazione e della pianificazione dei percorsi, costruendo tragitti che concilino la passeggiata con la fruizione dello spettacolo offerto dalla natura.
Dario ci spiega che il cammino è già di per sé metafora della vita, in cui si parte tra sconosciuti e si arriva come una famiglia. La “formula” perfetta per far confrontare persone attente a particolari diversi, far incontrare la bellezza di un fiammante tramonto colto con gli occhi, con l’odore penetrante di mentuccia, raccolto con l’olfatto.
“Si dà al non vedente l’opportunità di capire come è fatto un ecosistema (toccando forse per la prima volta un determinato tipo di albero) e che nessuno gli racconta. Tu ti trovi a dover scegliere quale particolare raccontare durante un cammino. Questo pone più attenzione a quei particolari che anche chi vede dà per scontati. C’è una condivisione su tutti i livelli e spesso chi ritorna a vivere con gioia questa esperienza sono proprio i vedenti“.
Ma l’accesso all’arte non può non coinvolgere nella sua valutazione generale anche le arti sceniche. In questo senso negli ultimi anni la riflessione ha coinvolto non soltanto la possibilità per i disabili sensoriali di assistere agli spettacoli ma anche l’opportunità per artisti con disabilità di esprimersi in forme d’arte che di solito li escludono.
“Time to Act” è una ricerca condotta in 40 Paesi europei che evidenzia l’alta percentuale (87%) di sedi culturali e festival che non coinvolgono persone disabili nella propria gestione e implementazione.
Lo studio si colloca nel contesto di Europe Beyond Access (2018-2023), il più grande programma su arti e disabilità, che ha l’obiettivo di internazionalizzare le carriere degli artisti diversamente abili, per farne dei protagonisti della nuova creatività.
Voci Globali ha raccolto la testimonianza di Chez Actors e della sua direttrice Carolina Migli-Bateson, che si pongono come un ponte tra spettatori e protagonisti con disabilità.
“Per quanto riguarda l’accessibilità facciamo un lavoro che ci ha insegnato la collaborazione internazionale e parte da un bisogno che abbiamo avuto nella nostra compagnia” ci spiega Carolina, che ha dato inizio a questo circolo culturale circa sei anni fa e che oggi implementa diversi spettacoli che pongono un accento particolare, nella loro costruzione, alla piena fruibilità dei contenuti anche da parte delle persone con disabilità sensoriali e che offre anche corsi di formazione.
L’esigenza iniziale, data dalla presenza in compagnia di persone con disabilità, è stata il propulsore per una riflessione, un’idea e di un nuovo modo di pensare e realizzare uno spettacolo teatrale.
Sulle modalità di accesso agli spettacoli dice: “Abbiamo sviluppato progetti che parlano anche delle difficoltà uditive e ci preoccupiamo anche che i fruitori non vedenti abbiamo la possibilità di incontrare prima dello spettacolo gli attori e fare un tour tattile degli stessi per farsi un’idea di com’è la persona sulla scena. Si tratta di una cosa molto forte e anche a chi non ha una disabilità dà un senso di umanità profondo.Poi utilizziamo proiezioni e scene molto fisiche che possono descrivere quello che c’è in scena così da essere fruita anche da chi non sente“.
La compagnia ha realizzato due spettacoli, “Medusa” e “Atlantide”, puntando proprio al massimo dell’accessibilità, studiando a fondo le scene per renderle il più comprensibili possibile. E, ancora in produzione, c’è “Silence” che racconta di una donna con difficoltà uditive.
“Come esperienza è molto arricchente” ci dice. “Dobbiamo metterci in gioco, pensare in maniera diversa rispetto a quello che è più semplice e solito. Con il tempo abbiamo deciso di abbracciare questo tipo di filosofia, soprattutto perché collaborando a livello internazionale con il gruppo Global Hive di cui faccio parte, abbiamo capito che altrove si ha un occhio di riguardo verso queste diversità”.
E aggiunge: “Affrontiamo questo discorso in un’accezione positiva, cerchiamo di capire cosa può esserci di interessante e artistico anche nella diversità“.
La multi-sensorialità, dunque, si pone come chiave e valore aggiunto di una reale accessibilità all’arte per i disabili sensoriali. Un’arte, insomma, per tutti i sensi.