Se la transizione energetica è il più ambizioso e necessario obiettivo per salvare il mondo, sapere quanto costa davvero la sua realizzazione potrebbe smorzare i più convinti entusiasmi. Ogni medaglia ha il suo rovescio e alla base del passaggio alle energie rinnovabili si scoprono storie di violazioni di diritti, sfruttamento, distruzione dell’ecosistema.
Come è possibile? Per produrre in modo intenso pannelli solari, pale eoliche, automobili elettriche servono risorse minerarie e materie prime in quantità sempre maggiore. La responsabilità nella loro estrazione, trasformazione e produzione farà davvero la differenza su quanto sostenibile diventerà il mondo. Il rischio, invece, è di danneggiare ulteriormente la natura e privare comunità locali di diritti e mezzi di sussistenza.
La Banca Mondiale ha messo in evidenza quanto, con gli impegni dei Governi mondiali verso l’azzeramento delle emissioni di carbonio, ci sarà sempre più bisogno di risorse quali alluminio (incluso il suo costituente chiave, la bauxite), cobalto, rame, minerale di ferro, piombo, litio, nichel, manganese, il gruppo dei metalli del platino, le terre rare, argento, acciaio, titanio e zinco. I territori dei Paesi in via di sviluppo ne sono ricchi e già ne stanno pagando le conseguenze.
Un esempio per capire il delicato equilibrio tra maggiore produzione di energia verde e più sfruttamento di materie prime è quello dell’alluminio. La sua produzione è un processo in più fasi che trasforma la bauxite scavata nel terreno prima in allumina mediante frantumazione, lavaggio, trattamento e cottura della bauxite (processo Bayer), e poi in alluminio tramite elettrolisi (processo Hall-Héroult).
Questo metallo leggero è molto richiesto innanzitutto dal settore auto, che solo nel 2019 ne ha impiegato il 19% di tutto quello utilizzato nel mondo. Con l’aumento della domanda di veicoli elettrici, l’International Aluminium Institute prevede che entro il 2050 il metallo vedrà raddoppiare le sue richieste.
Inoltre, l’alluminio è impiegato per le tecnologie dell’eolico ed è considerato un elemento efficace e importante per la produzione di energia solare tramite i pannelli fotovoltaici. Non solo, il metallo è in grado di riflettere più di acciaio e ferro i raggi infrarossi (calore) del sole. I tetti in alluminio adeguatamente rivestiti possono assorbire fino al 95% dell’energia solare, migliorando notevolmente l’efficienza energetica e per questo esso è un componente chiave negli edifici verdi certificati.
Si prevede, quindi, un forte aumento della domanda di questo metallo, che rischia di avere impatti devastanti. Poiché la bauxite viene estratta a livello superficiale, le miniere spesso si estendono su aree molto vaste, distruggendo i terreni agricoli che sono alla base dei mezzi di sussistenza delle comunità locali. Inoltre, esse danneggiano le acque di fiumi, torrenti e fonti sotterranee su cui le popolazioni fanno affidamento per il consumo domestico e l’irrigazione.
La Guinea è testimone diretta di questo impatto distruttivo. Il Paese africano è secondo soltanto all’Australia come produzione di bauxite e nel 2020 ne ha estratta una quantità pari a 80.000 tonnellate. La nazione ha i più grandi giacimenti di bauxite del mondo e ha rapidamente ampliato la produzione, aumentando la sua quota di mercato globale dal 4% nel 2014 al 22% nel 2020. Oggi la bauxite della Guinea è diretta principalmente verso le raffinerie in Cina, che produce la maggior parte dell’alluminio mondiale.
Uno studio del Governo guineano prevede che nei prossimi 20 anni ci sarà un boom di estrazione di bauxite che rimuoverà 858 chilometri quadrati di terreno agricolo e distruggerà più di 4.700 chilometri quadrati di habitat naturale, uno spazio sei volte più grande di New York City. Circa l’80% dei residenti nella regione mineraria della Guinea fa affidamento sull’agricoltura per il proprio sostentamento e queste previsioni suonano come un allarme per la loro sopravvivenza.
In realtà, le comunità locali già soffrono a causa dell’intensa attività estrattiva sulle loro terre. Nella nazione guineana tutto è cambiato nel 2016, quando la Société Minière de Boké (SMB), la più grande compagnia mineraria di bauxite del Paese, ha iniziato a sgomberare centinaia di ettari di terreno intorno a Diakhabia per far posto a un porto industriale. Dal 2017 da lì vengono spedite ogni anno milioni di tonnellate di bauxite alle raffinerie appartenenti soprattutto alla China Hongqiao, il più grande produttore di alluminio al mondo. Tutta la regione di Boké è ormai circondata da una cintura di miniere.
Prima di questa intensa attività estrattiva, intere famiglie facevano affidamento sull’agricoltura per il cibo e il reddito, piantando riso e altre colture sulla terra fertile lungo le rive del vicino fiume Rio Nunez. In generale, c’erano alimenti sufficienti per i nuclei familiari e si potevano guadagnare fino a 1,5 milioni di franchi guineani ($ 152) a settimana durante una buona stagione del raccolto, portandone a casa circa 10 milioni all’anno.
Poi tutto è cambiato e dozzine di famiglie hanno perso la terra a causa della costruzione del porto, diminuendo i loro pasti quotidiani. Altre comunità si sono improvvisamente ritrovate senza acqua, poiché i sedimenti provenienti dalle miniere hanno bloccato corsi di ruscelli e fiumi. Promesse mai mantenute di risarcimento o indennizzi irrisori da parte delle compagnie minerarie si sono aggiunti alle frustrazioni delle popolazioni locali.
La raffinazione della bauxite in allumina produce grandi quantità di fango rosso, un materiale altamente pericoloso che, se non trattato e immagazzinato adeguatamente, può inquinare i corsi d’acqua e danneggiare le persone che ne entrano in contatto. Nello Stato brasiliano del Pará, un’organizzazione non governativa che rappresenta oltre 11.000 persone ha citato in giudizio una miniera di bauxite, una raffineria e una fonderia di alluminio per la presunta contaminazione dei corsi d’acqua nel bacino amazzonico.
In Ghana, una coalizione di società civile e gruppi di cittadini locali afferma che una miniera di bauxite progettata nella foresta pluviale di Atewa minaccia di contaminare i fiumi che forniscono acqua potabile a milioni di persone. E la preoccupazione sta salendo anche in Indonesia.
Le foreste e le fattorie del Borneo indonesiano sono piene di crateri con pozzi acquitrinosi lasciati dagli anni del boom dell’estrazione del minerale di bauxite. I metalli pesanti depositati nel suolo continuano a disperdersi nell’aria e nei corsi d’acqua. A meno che non venga sostituito il terreno a livello superficiale, esso non potrà essere utilizzato per l’agricoltura. I coltivatori locali, che non possono più piantare riso in questa area, chiedono da tempo – invano – l’intervento del Governo per non cadere nell’insicurezza alimentare.
Meno di dieci anni fa, la maggior parte della bauxite indonesiana veniva esportata in Cina. Dai primi anni Duemila, l’aumento della domanda cinese ha visto un’esplosione di attività minerarie in tutto il Kalimantan occidentale. Tutto questo si è fermato nel 2014, quando la nazione ha vietato le esportazioni del suo minerale grezzo per incentivare piuttosto l’industria locale e sostenere la raffinazione in loco.
Ora una serie di nuove leggi favorevoli all’estrazione mineraria mirano a far rivivere quei pozzi abbandonati e a riportare a pieno ritmo l’estrazione anche con l’intento di esportare. Molti vincoli prima imposti alle compagnie minerarie sono stati allentati, compresi i rigidi limiti di tempo sui permessi di esercizio delle miniere. E a ottobre il Parlamento è andato oltre nel ridisegnare il panorama normativo, approvando la cosiddetta “legge omnibus” nella quale viene disciplinato anche il settore minerario, a tutto vantaggio di una intensa attività estrattiva. Le nuove leggi limitano i reclami formali e le azioni legali dei residenti delle zone occupate dalle miniere e il compito di rilasciare i permessi ambientali sarà affidato al Governo centrale, con l’impossibilità di impugnarli da parte delle comunità.
Anche gli investitori internazionali e la Banca mondiale si sono opposti a questa legislazione. Un gruppo di 35 multinazionali ha firmato una lettera in cui avverte che la deforestazione guidata dalle miniere mette a rischio gli impegni per combattere il riscaldamento globale.
Intanto, però, le attività estrattive di bauxite stanno riprendendo. I timori per quello che accadrà nel medio-lungo periodo sono molti tra le comunità locali. Se la politica del Governo di trasformare l’Indonesia in una centrale elettrica per la raffinazione del minerale avrà successo, i locali sono convinti che più agricoltori saranno sfollati e che il terreno fertile si perderà nei corsi d’acqua. Se fallisce, le miniere possono essere abbandonate con pochi benefici trasferiti alle comunità.
L’estrazione di bauxite avviene spesso vicino a fattorie e aree residenziali e quando la terra viene disboscata, la polvere può diffondersi nell’aria e nell’acqua poiché il vento raccoglie particelle dalle miniere e dai camion che viaggiano con il minerale.
In Malesia, dove l’estrazione di bauxite è un settore importante, i funzionari della sanità pubblica hanno riferito che l’industria è stata associata a un aumento delle visite ospedaliere per infezioni respiratorie e all’incremento dei livelli di ferro e alluminio nei fiumi.
Nel Kalimantan occidentale, la polvere di bauxite ha ricominciato ad accumularsi sui bordi delle strade. Alcune persone, in particolare i bambini, hanno sviluppato eruzioni cutanee attribuite ai metalli pesanti che inquinano fiumi e torrenti. Inoltre, il deflusso ricco di sedimenti dalle miniere sta innalzando i livelli dell’acqua e aumentando la gravità delle inondazioni. Il governatore Sutarmidji ha accusato proprio l’attività estrattiva di aver causato le inondazioni mortali nel giugno scorso. Nonostante ciò, la “legge omnibus” di ottobre ha abolito i regolamenti che avevano protetto fiumi e suoli fino a quel momento.
Cosa fare per evitare una ennesima catastrofe ambientale e, allo stesso tempo, rispondere al fabbisogno di materie prime per la transizione energetica? Un report di Human Rights Watch ha indicato la strada nel suo studio sull’impatto delle aziende automobilistiche nell’estrazione di bauxite: è necessario ogni sforzo per una produzione responsabile certificata, mappando le catene di approvvigionamenti di alluminio e facendo in modo che esse rispondano rigorosamente a standard ambientali e di rispetto dei diritti umani.
Identificare specificatamente quali miniere e fonderie forniscono il minerale o il metallo deve essere prioritario, in modo da risalire alla qualità dell’estrazione. I grandi gruppi automobilistici devono inoltre garantire che le comunità locali private delle loro terre siano equamente e prontamente risarcite, dando loro denaro ma anche nuove aree fertili da abitare.
Alcuni passi in avanti sono stati compiuti. Per esempio, nel report si legge che Drive Sustainability, una coalizione di 11 aziende automobilistiche che include BMW, Daimler, Ford, Toyota, Volkswagen e Volvo, nel maggio 2021 ha avviato un progetto per valutare i rischi per i diritti umani inerenti alle catene di approvvigionamento dell’alluminio e quelli di altre nove materie prime.
Nel gennaio 2021, l’organizzazione ha scritto anche a The Aluminium Association, un’associazione di decine di produttori di alluminio, per esprimere preoccupazione per la situazione in Guinea e per dare sostegno a una mediazione in corso tra una società mineraria guineana e 13 comunità danneggiate.
Nel novembre 2020, il BMW Group ha dichiarato che, se l’estrazione di bauxite nella foresta di Atewa in Ghana avesse violato gli impegni del Governo per combattere i cambiamenti climatici e proteggere la biodiversità, BMW non avrebbe accettato l’alluminio proveniente dalla foresta nella sua catena di approvvigionamento.
Sono, queste, piccole gocce in un mare di ingiustizie e soprusi ancora troppo marcati e poco disciplinati. La corsa all’energia rinnovabile, così urgente per evitare la catastrofe climatica, rischia di creare danni ulteriori al mondo già in sofferenza. L’unica soluzione è la severa regolamentazione dell’intensa attività estrattiva, in nome di una responsabilità produttiva finora quasi assente.