L’Europa che fa scudo ai migranti con oltre mille chilometri di muri

Ottanta anni fa, dal confino di Ventotene, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi sognavano di “un’Europa libera e unita”. Scrivevano la prima pagina di una Storia nuova, da costruirsi sul cemento del reciproco riconoscimento e della solidarietà tra i popoli.

A guardare oggi la geografia dell’Europa moderna e murata, si scopre che quella rivoluzionaria visione che fu di chi visse il disastro del Continente travolto dai nazionalismi e dal protagonismo delle frontiere, sembra essere sul punto di sgretolarsi.

Dalla Marcia per la dignità a Ceuta, foto di Joanna Chichelnitzky/Fotomovimento, Flickr, licenza CC

Oltre mille chilometri di muri, fili spinati e recinzioni elettrificate segnano e sfregiano ormai i confini dei Paesi europei. Le barriere che blindano l’Europa sorgono ad ogni angolo, in fretta, nell’obiettivo – spesso a favore di campagne elettorali – di sbarrare la strada ai migranti nel nome di una presunta questione sicurezza. E restituiscono l’immagine di un’Unione che non c’è.

Le ultime dal securitarismo populista europeo arrivano sull’onda della crisi afghana e delle preoccupazioni per un atteso “nuovo 2015”.

Nel pieno della discussione europea sul da (non) farsi, Atene annuncia il completamento di 40 chilometri di barriera ad alta sorveglianza tecnologica alla frontiera settentrionale con la Turchia di Erdogan. L’ultimo muro d’Europa cammina lungo il fiume Evros, che è da anni via di passaggio e spesso di morte per chi tenta di incamminarsi sulla rotta balcanica.

Pare non bastassero i 400 agenti dell’Agenzia europea di guardia costiera e di frontiera (Frontex) già sul territorio, né il sistema di ultima generazione per la caccia all’uomo, fatto di decine di veicoli equipaggiati con videocamere termiche e cannoni sonori, di motovedette e di palloni aerostatici dotati di apparecchiature per l’identificazione automatica, di cui la regione è stata provvista.

“I nostri confini rimarranno inviolabili”, ha dichiarato Michalis Chrisochoidis, ministro per la Protezione dei cittadini di una Grecia ormai osannata come lo “scudo d’Europa”. A dispetto delle accuse per i metodi di gestione delle frontiere, dai respingimenti illegali in mare all’uso eccessivo della forza, che continuano a scagliarsi contro il Paese ellenico e la stessa Frontex.

Negli stessi giorni, Lituania e Polonia rivelano l’intenzione di serrare i valichi della rotta migratoria che passa dalla Bielorussia. Mentre il Governo della premier lituana Šimonytė mira ad ultimare quello che sarà il più lungo muro dell’Unione (508 chilometri) entro il settembre del 2022, Varsavia affida ad un tweet del ministro della Difesa, Mariusz Blaszczak, la notizia del progetto per 130 chilometri di recinzione sui due terzi dell’intero confine con l’ex Paese sovietico.

Le organizzazioni umanitarie sollevano ragionevoli preoccupazioni nel merito, rimarcando quanto non possa esser considerato Paese sicuro quello di Lukashenko, già colpito dalle sanzioni europee per le repressioni a danno dei dissidenti politici.

Il programma di costruzione delle staccionate incassa comunque la piena solidarietà dei ministri degli Esteri europei, e si apre così la strada alla possibilità di un finanziamento europeo (quantomeno in riferimento al già aperto cantiere lituano) per il rafforzamento dei controlli alla frontiera bielorussa.

Frontiera Serbo-croata, dell’utente Flickr BruAguiló/Fotomovimento su licenza CC

L’Europa dei fortini non è però un disegno nuovo. Già la crisi migratoria del 2015, che vide oltre un milione tra afghani, siriani, e iracheni tentare la risalita del crinale balcanico, era valsa a far riemergere fratture mal ricomposte nello scacchiere europeo. Quell’anno tracciava un punto di svolta e mostrava il volto dell’Europa della paura, della propaganda, e della remissione delle responsabilità.

Nell’Unione che avrebbe dovuto abbattere confini e barriere, si è fatta sempre più veloce la corsa ai muri. La giustificazione, per tutti, starebbe nella difesa di popoli e nazioni dai ricatti dei Paesi vicini sul tema immigrazione usato a esercitare pressione politica su altri fronti. La conseguenza, sempre, è la riduzione degli standard minimi dei diritti umani, di qua e di là delle recinzioni. Il costo umano, oltre che quello politico-sociale, troppo alto.

I “muri di Orban”, quei quasi 500 chilometri di filo spinato ed elettrico posati dapprima sulle linee di frontiera con Serbia (150 chilometri) e Croazia (il doppio) e poi estesi fino ai confini con Slovenia e Romania, hanno marchiato per primi il cuore dell’Europa unita.

Allora, la richiesta di finanziamenti per le muraglie realizzate “a protezione di tutti i cittadini europei dall’ondata di migranti illegali” era stata liquidata dalla portavoce della Commissione europea, Natasha Bertud, con un secco “in Europa i muri li abbiamo appena abbattuti, non intendiamo erigerne altri”.

Un lustro e poco più dopo, quasi la metà degli Stati membri ha alzato un muro sui suoi confini. L’Agenzia europea per i diritti fondamentali, alla fine del 2020, contava 12 sbarramenti alle frontiere europee con i Paesi fuori dall’area Schengen. Stando ad uno studio del novembre 2019 del Transnational Institute, per quanti sono i chilometri di muri e recinzioni che corazzano l’Europa e la fanno a pezzi, è come se l’Unione avesse ricostruito per sei volte quello demolito a Berlino oltre trent’anni fa.

Ci sono i 235 chilometri di muro che impediscono l’attraversamento dal territorio turco alla Bulgaria, e i 289 in costruzione dalla Lettonia per coprire il confine con la Russia. C’è l’espansione delle barriere di cui si sono circondate le storiche enclaves spagnole di Ceuta e Melilla sulla costa settentrionale del Marocco (che già negli anni ’90 avevano anticipato il modello esportato oggi in tutta Europa). Il “Great Wall” di Calais, nella Francia del Nord, sovvenzionato dal Regno Unito a “risolvere” il problema di “The Jungle” e a sigillare la Manica. E, ancora, l’Austria che si è fatta fortezza sul confine sloveno, in piena area Schengen, e la stessa Slovenia che ha piazzato la sua rete di 200 chilometri lungo il Kolpa, sulla linea croata. Per citarne solo alcuni.

Esistono anche muri europei fuori dall’Unione, come quelli in cui è chiusa la Macedonia del Nord sui fronti greco e serbo, e persino quelli dell’Unione fuori dall’Europa, come quello voluto a dividere per 800 chilometri Siria e Turchia e per cui sono stati stanziati 80 milioni di euro nel quadro dell’accordo euro-turco del 2016 per il contenimento dei flussi migratori.

Quelli che non scandalizzano più sono i tanti muri senza cemento né metallo, fatti di confini marittimi e di sistemi high-tech di monitoraggio e sorveglianza. Di abbandoni, di violenze, e di diritti negati, soprattutto.

Rotta balcanica, di Sandor Csudai, Behance.net/licenza CC

“Valori come la libertà, i diritti, la pace, la collaborazione internazionale, la coesione sociale non sono confinabili in un solo territorio ma appartengono all’intera umanità. [..] In questi giorni una cosa appare sconcertante e si registra nelle dichiarazioni di politici un po’ qua e là in Europa. Esprimono grande solidarietà agli afghani che perdono libertà e diritti, ma `che restino lì, non vengano qui perché non li accoglieremmo’. Questo non è all’altezza dei valori della Ue”.

Chiudiamo così, con le parole pronunciate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, proprio a Ventotene in occasione dell’anniversario di quel Manifesto che fece l’Europa. Sembrano scelte per lanciare un monito di risveglio all’Unione che torna a costruire muri e ad arroccarsi all’ombra dei sovranismi e che si lascia investire da quelle politiche di confinamento e (in)sicurezza che furono già ragione di un disastro.

Clara Geraci

Siciliana, classe 1993. Laureata in Giurisprudenza, ha recentemente conseguito il Diploma LL.M. in Transnational Crime and Justice all’Istituto di Ricerca delle Nazioni Unite. Si occupa di diritto internazionale, diritti umani, e migrazioni. Riassume le ragioni del suo impegno richiamando Angela Davis: “Devi comportarti come se fosse possibile cambiare radicalmente il mondo, e devi farlo costantemente”.

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