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Mine anti-uomo, dai pappagalli verdi a quelle costruite in casa

Il 4 aprile è la Giornata mondiale contro le mine, istituita dalle Nazioni Unite nel 2005.

Quest’anno ricordiamo questa giornata assieme a un triste anniversario, quello della guerra civile siriana, che ormai si protrae da 10 colpevoli anni (15 marzo 2011). Colpevoli in termini di vittime, devastazione ma anche, certamente, per le profonde ingerenze dell’Occidente invocate e sostenute apertamente da personalità come Hillary Clinton, posizioni che la fecero confliggere persino con l’allora presidente Barack Obama.

Nel 2018, in occasione della medesima Giornata, l’UNICEF denunciava come 8 milioni di persone fossero esposte ai rischi di incorrere in esplosivi in Siria, fra cui oltre 3 milioni di bambini. Nel 2017, in questo Paese, almeno 910 bambini sono stati uccisi e 361 sono rimasti mutilati, anche a causa di residuati bellici esplosivi e ordigni esplosivi improvvisati attivati dalle vittime. Nello stesso anno, l’OMS e l’UNICEF invocavano sulla questione un’azione internazionale.

È del 1999 “Pappagalli Verdi. Cronache di un chirurgo di guerra”, scritto da Gino Strada, fondatore di Emergency. Un libro, che all’epoca provocò scalpore, anche perché aveva messo nero su bianco una vergogna italiana. In quel breve saggio documentaristico, l’autore raccontava quello che aveva visto nei contesti di guerra in cui ha operato: dieci anni di lavoro in Afghanistan, Somalia, Ruanda, Bosnia a fianco delle vittime delle guerre e dei mutilati dalle mine, appunto.

L’autore raccontava in particolare l’atroce storia e il funzionamento di alcuni di queste, utilizzate in tutto il mondo, di cui l’Italia è stata tra i maggiori produttori: i cosiddetti “pappagalli verdi” così chiamati perché di un colore verde acceso, molto simili a giocattoli dalla forma di uccello. Non sarebbe neanche propriamente corretto definire i “pappagalli verdi” mine anti-uomo perché questi ordigni sono stati pensati, confezionati e venduti per un target specifico: i bambini. Toccanti le parole di Strada: mine giocattolo studiate per mutilare bambini. Ho dovuto crederci, anche se ancora oggi ho difficoltà a capire.

Oggi, dopo la sottoscrizione della Convenzione di Ottawa del 1997, nell’Unione Europea non si producono più questi “giocattoli-bomba”, ma nel 2015 veniva denunciato il persistente utilizzo nel mondo di questi strumenti di morte. Soprattutto da parte dei Paesi non firmatari della Convenzione: Usa, Russia, Cina, India e Pakistan. Sotto la neve del Donbass ucraino filorusso e nella giungla cambogiana i “pappagalli verdi” nel 2015 uccidevano ancora.

Voci Globali ha intervistato Emanuele Nannini che ricopre l’incarico di Director Emergency and Development Area – field operations department, l’ufficio che segue i progetti in contesti di emergenza all’estero e in Italia per Emergency. Emanuele ha operato in Paesi come Afghanistan, Iraq, Yemen e Sierra Leone, aree in conflitto o in ex conflitto che continuano a subire le conseguenze devastanti dell’utilizzo delle mine antiuomo.

Emanuele Nannini incontra gli anziani del villaggio di Lashkargah, nel sud dell’Afghanistan, dove Emergency ha aperto una clinica.

Emanuele, cosa significa oggi dover curare una persona che sia incappata in una mina?

Nei centri di riabilitazione in cui realizziamo protesi – penso all’Iraq – continuiamo a vedere quotidianamente tantissime vittime di mine. Mentre in passato eravamo di fronte a mine costruite ad hoc dalle aziende, negli utimi anni si è passato a fabbricare e produrre mine fai da te, costruite in maniera rudimentale, “in-house” per così dire. Vengono definiti “improvised explosive devices” e creano conseguenze ancora più devastanti di quelle realizzate in fabbrica. Le mine disseminate in Iraq sono quelle installate nell’arco di 30 anni, sin dal conflitto con Saddam Hussein fino alle più recenti diffuse dall’ISIS. Le ferite poi sono anche quelle di lungo periodo che restano nella società, nella mente, nell’economia.

In Italia qual è la situazione riguardo alla vendita di mine?

Emergency ha realizzato una campagna molto importante a partire dalla fine degli anni ’90 per riuscire a mettere al bando le mine antiuomo, con grande riscontro e partecipazione da parte della società civile e della cittadinanza. Anche grazie a questa campagna, il Parlamento italiano ha messo al bando la produzione di queste mine, ma resta il fatto che purtroppo esistono ancora delle scappatoie. Sebbene sia vietato per l’Italia vendere armamenti a Paesi in conflitto, sappiamo che molte armi prodotte in Sardegna o in altre parti di Italia sono finite in contesti di guerra – in un modo o nell’altro. Emblematico il caso dello Yemen.

Cosa si può fare per contrastare il fenomeno?

Noi negli ultimi anni abbiamo sviluppato una narrativa e un processo di consapevolezza ben preciso: le mine sono uno dei tanti strumenti utilizzati in guerra in maniera casuale con vittime indiscriminate; va detto che, finché ci saranno guerre, si produrranno e si svilupperanno strumenti nuovi di sterminio a danno di molti civili e innocenti. Il messaggio chiaro da diffondere è che tutte le guerre sono sbagliate; dobbiamo dire chiaramente che non c’è un modo giusto o equo per fare la guerra. Il pensiero diffuso è invece che la guerra sia normale, scontata e ineludibile; una forma di risposta ad alcuni problemi.

Esistono le armi perché esiste la guerra o esiste la guerra perché esistono le armi?

Esistono le armi perché esiste la guerra, la tecnologia viene dopo e le armi più sofisticate vengono sviluppate per la necessità di utilizzarle. Soltanto in seguito diviene un circolo malato per cui la diffusione e la circolazione di armi e ordigni promuove nuove guerre. Quello che ci insegna la Storia è che non solo la guerra è lo strumento più degradante e orribile ma soprattutto non funziona, non è uno strumento risolutivo. Stiamo parlando di Paesi come l’Afghanistan e l’Iraq che stanno vivendo guerre su guerre iniziate 30 o 40 anni fa, guerre nelle quali la maggior parte delle vittime – come sempre – sono civili.

La testimonianza di Emanuele Nannini della sua esperienza in Afghanistan

 

Produrre mine in Italia oggi è un’attività illegale perseguibile penalmente ai sensi della legge 374/97. In base a questa legge e alla Convenzione di Ottawa, anche l’arsenale in possesso alle Forze Armate è stato distrutto; ma le scappatoie di cui ci parla Emanuele sono, purtroppo, una dura realtà. L’osservatorio LUISS sulla sicurezza internazionale riporta i contenuti della 197esima seduta pubblica della Camera dei deputati del 26 giugno 2019, durante la quale si è discusso proprio il tema della crisi in Yemen grazie ad alcune mozioni presentate. Dal sito dell’Osservatorio:

Il documento presentato alla Camera specifica che l’esportazione di armi in Yemen si verifica in violazione della legge n. 185 del 1990, che afferma che la vendita ed il transito di materiali di armamento è proibita verso i Paesi in stato di conflitto armato. L’esportazione italiana verso gli Stati coinvolti nel conflitto in Yemen sono anche in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite e le prescrizioni contenute nel Trattato internazionale sul commercio delle armi.

E ancora estrapoliamo questa parte:

Il testo della mozione alla Camera sottolinea, inoltre, che in Italia, a Domusnovas, in provincia di Cagliari, è operante uno stabilimento della Rwm Italia spa, una società controllata dal produttore tedesco di armi Rheinmetall AG, che produce bombe d’aereo General Purpose e da penetrazione, caricamento di munizioni e spolette, sviluppo e produzione di teste in guerra per missili, siluri, mine marine, cariche di demolizione e controminamento. Tale azienda ha verosimilmente esportato armi in Yemen. Secondo il testo approvato alla Camera il 26 giugno i resti di alcune bombe fabbricate da tale produttore, recanti la scritta Rwm Italia spa, sono stati rinvenuti sui luoghi di attacchi che hanno causato la morte di una famiglia, l’8 ottobre 2016, a seguito di un raid aereo verosimilmente condotto dalla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, nel villaggio di Deir Al-Hajari, situato nello Yemen nord-occidentale.

Abbiamo raccolto anche la testimonianza di Tibisay Ambrosini, Responsabile delle Relazioni Istituzionali per la Campagna Italiana contro le mine. Le abbiamo chiesto di raccontarci la nascita della campagna e le loro attività:

La Campagna Italiana contro le mine è nata nel dicembre ‘93 da un piccolo gruppo di organismi non governativi, associazioni ambientaliste e pacifiste. È membro della International Campaign to Ban Landmines (ICBL) colaureata Premio Nobel per la Pace 1997 e membro della Cluster Munition Coalition (CMC).

Ha partecipato attivamente al processo di messa al bando delle mine contribuendo all’adesione del nostro Paese alla Convenzione per la messa al bando delle mine anti-persona aperta alla firma nel 1997. In seguito, ha preso parte ai lavori relativi al processo di Oslo per la messa al bando delle munizioni cluster che ha condotto all’adozione della Convenzione sulle Munizioni Cluster (CCM) nel 2008.

Alla base dell’impegno della Campagna Mine c’è la ferma convinzione che le azioni contro le mine rappresentino un elemento fondamentale per la pacificazione e lo sviluppo dei Paesi che escono da un conflitto, e uno strumento indispensabile per garantire il ritorno in sicurezza di tutte quelle persone che sono costrette a lasciare il proprio Paese contro la loro volontà e sotto la minaccia della violenza come rifugiati, profughi e sfollati.

Tibisay Ambrosini – Campagna Italiana contro le mine

Quali le responsabilità e il ruolo dell’Italia?

Fino al 1992 il nostro Paese, insieme a Cina e Unione Sovietica, era leader mondiale nella produzione ed esportazione di questi ordigni. Quelle italiane erano conosciute come le “Ferrari delle mine” per la loro efficacia. Sul nostro territorio erano presenti tre fabbriche in cui si producevano mine antipersona: la Valsella, Misar e Tecnovar, oggi riconvertite o chiuse.

L’Italia è passata dall’essere uno dei maggiori produttori di questi ordigni indiscriminati, ad essere leader nell’impegno nella Mine Action, attività di rilievo umanitario sia di emergenza che di medio e lungo termine, fondamentale per la ricostruzione e lo sviluppo dei Paesi colpiti con questo sistema d’arma. Quando parliamo di Mine Action ci riferiamo a 5 pilastri fondamentali di attività: bonifica umanitaria, educazione al rischio, assistenza alle vittime e loro reinserimento socioeconomico, distruzione delle scorte e promozione dell’universalizzazione del Trattato.

L’Italia ha già adempiuto a tutti gli obblighi previsti dal Trattato di messa al bando delle mine, distruggendo anche quelle presenti nei propri arsenali. Inoltre, il nostro Paese ha messo a disposizione la propria esperienza e il know how maturato sia nell’ambito della bonifica sia per la distruzione delle scorte a favore di altri Paesi, basti pensare al lavoro di formazione svolto dal Centro di Eccellenza C-IED.

Il nostro Paese si è anche dotato di un Fondo per lo Sminamento Umanitario e la bonifica da ordigni bellici inesplosi con la legge 58 del 7 marzo 2001.

Il fondo rappresenta una buona pratica riconosciuta a livello internazionale così come il Comitato Nazionale per l’Azione Umanitaria contro le Mine Antipersona (CNAUMA), istituito presso il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), al quale partecipano i principali soggetti della società civile attivi nel campo dello sminamento umanitario. Sia il Fondo sia il CNAUMA sono risultati ottenuti grazie anche al lavoro della Campagna Italiana contro le mine.

Presenza di mine nel mondo al 2019

Quali sono i prossimi obiettivi?

Uno degli obiettivi principali perseguito dalla Campagna Mine, in questo momento, è la rapida e definitiva approvazione del disegno di leggeMisure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo” attualmente in discussione alla Camera. Si tratta di un’iniziativa legislativa, che ha iniziato il suo iter nel 2010 ed è volta ad impedire che gli operatori finanziari autorizzati possano investire in aziende produttrici di mine anti-persona e bombe a grappolo.

Il nostro intento è riuscire a presentare la legge in occasione della seconda parte della seconda Conferenza di Revisione delle Convenzioni sulle Munizioni Cluster prevista per il 2-3 giugno 2021, continuando così la serie di buone pratiche che il nostro Paese può condividere con la comunità internazionale impegnata nella Mine Action.

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