Le popolazioni rom, sinti e le comunità viaggianti sono particolarmente soggette a pregiudizi e stereotipi estremamente radicati, nel mondo e specialmente in Italia. L’immaginario collettivo tende a rappresentare queste comunità come minoranze marginali e poco integrate, non inclini allo stile di vita comune e dominante.
I media giocano un ruolo cruciale nella diffusione e nella perpetuazione di luoghi comuni e narrazioni banali, spesso legittimando forme di “anti-zingarismo”, utilissime alle campagne politiche che giocano sull'”alterità” e sui timori ad essa accostati.
Le comunità si trovano quindi in mezzo ad un vortice di razzismo di Stato, isolamento sociale e discriminazione da parte della società civile.
Lo status attuale di queste popolazioni apre a diversi interrogativi, soprattutto se si pensa alla lunghezza della loro permanenza e della loro storia nel territorio europeo. Ripercorrerne interamente il processo storico ci è qui impossibile, basta ricordare però che queste comunità sono presenti in Italia dal 14° Secolo, con un successivo incremento durante il ‘900, prima tra gli anni ’50 e ’60, poi durante tutti gli anni ’90 – periodo di grandi migrazioni dovute alle guerre balcaniche – e dopo l’entrata della Romania nell’Unione Europea (2007).
Il processo storico di marginalizzazione di queste popolazioni ha diverse sfaccettature ed è spesso effetto di politiche e azioni discriminanti da parte dei Governi e delle Nazioni, con conseguenze traumatiche per la comunità e per gli individui.
L’isolamento – che produce vulnerabilità e problemi identitari – contribuisce a creare quel circolo di situazioni complesse e proprie delle popolazioni e delle identità ai margini, discriminate e idealizzate, di cui si ha spesso la presunzione di scriverne e raccontarne la storia.
L’universo femminile è ancora una volta quello più toccato da tali dinamiche: le donne infatti si trovano ad affrontare discriminazioni multiple – perché donne, perché rom, perché straniere – facendo i conti con la propria identità etnica e le tradizioni patriarcali interne alla comunità, quelle esterne alla comunità e il razzismo. Su questo tema si consiglia la lettura del libro di Laura Corradi, Il femminismo delle Zingare (2018), che compie un’analisi storica e attuale delle comunità viaggianti, soffermandosi sulle sfide e sulle prospettive delle donne Zingare.
Come spesso accade tra le popolazioni “ai margini”, le comunità viaggianti nel mondo mettono in atto pratiche di organizzazione e resistenza in grado di screditare i rapporti di potere tipici della nostra società. Negli ultimi vent’anni, la partecipazione attiva delle donne è aumentata, diventando sempre più importante: sono le donne infatti le protagoniste e agenti principali di pratiche comunitarie, movimenti e attivismo di genere in Europa, mettendo in discussione razzismo, sessismo, esclusione e povertà.
Abbiamo parlato con l’attivista rom Saska Jovanovic, una tra i numerosi esempi di attivismo e di cooperazione nel contesto italiano ed europeo. Dieci anni fa Saska ha fondato ROMNI Onlus, un’associazione volta a promuovere “l’integrazione della popolazione rom e delle altre comunità viaggianti nella società italiana ed europea, contro ogni tipo di pregiudizio e discriminazione”.
Nel panorama rom italiano, ROMNI Onlus è la prima fondata da una donna rom, con collaboratrici rom e gagé – vale a dire le persone non rom. L’associazione si connota per una forte presenza di donne, come agenti, interlocutrici e riferimenti dei progetti, attuati sempre con un’ottica intersezionale.
Tra le varie attività portate avanti citiamo la campagna Marry When You Are Ready, rivolta alle giovani donne rom. Il progetto ha avuto risonanza mondiale e ha messo in discussione la prospettiva di quella corrente di femminismo “bianco” a volte poco consapevole della diversità di desideri e di vedute all’interno del complesso e multietnico universo femminile.
Come e perché nasce ROMNI Onlus?
Durante lo smantellamento del “campo nomade” Casilino 900 nel 2010, mi sono rivolta al vice-sindaco di Roma per sapere quali fossero le ragioni dello sgombero e dove sarebbero andate le famiglie. Mi è stato detto che per avere una risposta alle mie domande, avrei dovuto rappresentare un’associazione. Così decido di creare ROMNI Onlus, con l’intento di sostenere le comunità rom (e viaggianti) in un momento così critico. Dietro agli sgomberi, come ormai sappiamo, c’è un sistema mafioso di corruzione con cui è molto difficile avere a che fare. Ad oggi portiamo avanti diversi progetti e collaboriamo con numerosi enti e associazioni, in Italia e all’estero. L’intento è quello di creare una rete di sostegno e di servizi alle comunità rom e viaggianti del territorio, nel rispetto dell’autonomia personale e delle diverse identità.
Oltre alle attività ordinarie e quotidiane, sono molto orgogliosa delle particolari iniziative che abbiamo portato avanti fino ad ora. Tra i vari progetti, Discrikamira è un esempio di cooperazione tra associazioni europee con l’appoggio di un’istituzione giuridica. Con l’intento di sensibilizzare la popolazione su stereotipi negativi e dare assistenza alle vittime che subiscono discriminazioni, dall’iniziativa nasce l’app Kamira SOS,ideata per denunciare atti discriminatori e trovare il sostegno offerto dalla Federación de associaciones de mujeres gitanas – i vari gruppi di donne che hanno partecipato al progetto e che sono presenti nei diversi territori. Anche Intersect Voices è un progetto per me molto importante: nasce con l’intenzione di fare luce e sensibilizzare rispetto alle dinamiche intersezionali vissute dalle donne rom (e non solo) in Italia e supportare la creazione di leggi e politiche che abbiano un approccio intersezionale.
Quali sono le emergenze più forti che riscontrate nel corso delle vostre attività?
L’emergenza principale è la mancanza di documenti: spesso i rom non hanno la carta d’identità. Esistono enormi problemi burocratici per accedere e sistemare la documentazione e i permessi di soggiorno. I rom non possono avere un passaporto e non sono considerati cittadini italiani. Le cause si ritrovano nelle leggi inadeguate e discriminanti, e nelle situazioni dei Paesi di provenienza, spesso contesti di guerre da cui sono dovuti scappare. La maggior parte possiede solo il certificato di nascita.
Lo Stato è assente su tutti i fronti e l’informazione banale dei media non aiuta. Per esempio, le persone rom e sinti che vivono nei “campi nomadi” sono molte meno rispetto a quelle che vivono nelle case – delle quali spesso non si conosce la vera etnia. Non viene mai fatto un censimento e non si parla mai dell’integrazione reale di queste persone. Si parla di circa 150.000 rom e sinti che vivono nelle case, ma secondo i nostri calcoli sono almeno il triplo. Esistono quindi bisogni che non sono legati strettamente ai “campi nomadi”, ma che differiscono a seconda dei contesti e delle differenze tra le varie etnie – rom, sinti e altre comunità.
Tra le emergenze più forti riscontriamo la discriminazione della società civile e delle istituzioni. Io stessa ho subito discriminazioni in varie occasioni, tra cui in ospedale, tra i dipendenti e i pazienti. A livello mediatico sembra che si voglia fomentare la paura: non si parla mai delle iniziative positive che si organizzano (nonostante gli inviti e le proposte).
Esistono enormi lacune a livello politico, giuridico e sociale. In Italia si nota la differenza con altri Stati, in cui spesso esiste molta collaborazione tra associazioni rom, polizia, tribunali, assistenti sociali. Qui questo tipo di collaborazione spesso manca.
I nostri progetti sono spesso rivolti ai bambini e ai giovani, per sostenerli nello studio e aiutarli a inserirsi nella società.
Quali sono i pregiudizi più difficili da scardinare? E come si potrebbe promuoverne il contrasto?
Tra i pregiudizi più profondi troviamo quelli classici, ad esempio quello di essere zingari ladri, che rubano anche i bambini, o quello di essere poveri e senza voglia di integrarci e collaborare. Sarebbe veramente utile fare delle campagne positive di contrasto al pregiudizio in collaborazione coi media, ma ad ora ci sono pochissime occasioni.
ROMNI Onlus è tra le associazioni e tra i gruppi che portano avanti reclami e attività anche da una prospettiva di genere. Cosa ci può dire a riguardo? Che rapporti ci sono con i movimenti femministi in Italia e nel mondo?
Nel panorama italiano ROMNI Onlus è stato il primo esempio di attivismo femminile. Nel tempo mi sono accorta della mancanza di una rete di donne in Italia e per questo nel 2014 ho creato la Rowni-Roma Women Network, in collaborazione con donne provenienti da tutta Europa. All’inizio eravamo in cinque e siamo arrivate ad organizzare in Italia il primo convegno internazionale di donne rom, con l’aiuto di due amiche di origine croata e senza l’intervento di gagé italiani. Purtroppo, non c’è stata alcuna risonanza mediatica.
Dal 2016 partecipiamo attivamente ad attività e manifestazioni con Non Una Di Meno: all’inizio partecipavamo soltanto, ma è da due anni che facciamo parte delle organizzatrici. È un esempio reale di rete femminista.
Inoltre, quest’anno è stato creato il primo partito politico rom in Italia, promosso dall’attivista rom Giulia Rocco e di cui fanno parte Concetta Sarachella – attivista e stilista rom molisana – e Virginia Morello – attivista rom abruzzese.
Le donne rom – come altre donne appartenenti a etnie “diverse” – vivono varie discriminazioni. Quali benefici apporta o potrebbe apportare un approccio intersezionale adottato dalle politiche sociali e dai media?
La condizione delle donne rom da un punto di vista intersezionale è qualcosa di molto complesso. La consapevolezza delle molteplici discriminazioni vissute dalle donne rom, sinti e viaggianti è stata tra le ragioni per le quali ho fondato ROMNI Onlus.
Io solitamente non indosso abiti tradizionali e sono stata comunque discriminata per la mia etnia. Immagina invece chi si veste in modo tradizionale: le donne che indossano abiti tipici della cultura gipsy subiscono insulti per strada e discriminazioni molto esplicite. In Italia particolarmente: una collaboratrice del Rowni-Roma Women Network ha raccontato che camminando per le strade di Roma vestita con abiti tradizionali molti turisti si sono fermati facendole i complimenti e chiedendole di fare una foto insieme, al contrario di alcune persone italiane che le hanno sputato, insultandola. Riguardo alla cultura rom i media potrebbero coprire un ruolo positivo cruciale, dando spazio alle donne e proponendo ad esempio la moda gipsy come tendenza fashion e non come qualcosa di negativo. Lo stile gipsy è famoso ed apprezzato in tutto il mondo.
Le politiche sociali dovrebbero coinvolgere comunità e famiglie rom, proporre attività di incontro nei quartieri e nelle scuole, invitando i genitori e gli adulti gagé a contribuire e cercare di evitare esclusione sociale e vulnerabilità. L’emarginazione sociale contribuisce a fomentare reazioni identitarie che spesso sfociano nel mantenimento di alcune pratiche patriarcali svantaggiose per le donne e per le bambine.
Ci sono persone non-rom che collaborano con la vostra associazione? Quali benefici apporta la collaborazione tra persone rom e gagè?
Persone rom e gagé lavorano insieme nell’associazione. La collaborazione con persone gagé è fondamentale soprattutto per la divulgazione di ricerche, manifesti e progetti che devono essere presentati in italiano perfetto. Spesso le persone non-rom hanno iniziato come volontarie e quando ci sono capitati progetti di finanziamento sono state assunte per lavorare con noi. Abbiamo rapporti di amicizia molto stretti e duraturi.
Cosa si augura per il futuro? Quali nuovi obiettivi si propone la vostra associazione?
A differenza della cultura gagé, la cultura rom è concentrata nel presente e non si presta a progetti futuri. Il momento presente e la provvisorietà sono caratteristiche culturali rom. Ad ora spero di incontrare nuovamente dal vivo le ragazze e le persone con cui collaboro, per lavorare insieme e creare nuovi progetti Erasmus con giovani gagé e rom.
Tra gli obiettivi più importanti c’è l’intenzione – in collaborazione con un’associazione bosniaca – di mandare una lettera ai Paesi dell’ex-Jugoslavia e al Governo italiano, per fare luce sulle difficoltà che i rom continuano ad avere nell’acquisizione di documenti di identità e soggiorno, e per facilitare le procedure. La questione dei documenti è un nodo cruciale, la base per il benessere e per aprirsi a nuove possibilità.