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India e crisi ambientale, informazione soffocata dalla censura

Andare sul campo per fare ricerca significa spesso confrontarsi con una serie di difficoltà che possono essere legate al territorio stesso, agli argomenti che si è deciso di trattare, al rapporto con le persone del posto.

Il mio recente viaggio in India, più precisamente nel Sud, in Tamil Nadu, mi ha resa molto consapevole di ciò. I miei ospiti mi hanno da subito avvertita: meglio non lasciar trapelare il motivo della tua visita, poiché questo avrebbe potuto creare problemi. La questione ambientale, infatti, è diventata da tempo un argomento delicato, soprattutto per il modo in cui si era conclusa la manifestazione di protesta a Thootukudi nel maggio precedente.

Delle preoccupazione dei miei ospiti ho avuto poi la dimostrazione pratica: sebbene, formalmente, non fossi altro che una turista, non sono mancate occasioni in cui i poliziotti mi hanno fermata chiedendomi il motivo della mia permanenza, facendomi domande pressanti su cosa facessi e perché proprio in quei luoghi. Un paio di volte ho anche ricevuto visite a casa, con la scusa che gli ufficiali dovevano accertarsi della mia sicurezza. Ma poi invece finivano per porre domande senza fine sulle mie attività giornaliere.

Quest’esperienza mi ha fatto riflettere sulle modalità usate da uno “Stato democratico” per mantenere uno stretto controllo sulla circolazione delle informazioni. Lasciando da parte la questione del sospetto con cui vengono visti gli stranieri, parlando con contadini e attivisti mi è sembrato chiaro che vi fossero delle evidenti mancanze da parte della stampa locale, in parte silenziata da Governo, in parte della malavita locale. Ecco perché ho cercato di andare più a fondo della questione.

Nel database di Freedom House, l’India viene classificata nel 2019 come “Stato libero”. Su questa piattaforma vengono raccolti passi avanti e inciampi della democrazia nel mondo, e a quanto pare la Repubblica Federale dell’India si merita un buon punteggio, pari a 75 su 100. Tuttavia, anche se gli indicatori sembrano favorevoli, andando a scorrere le singole voci che compongono il rapporto, ci si rende conto che esistono molti “se” e numerosissimi “ma” sui presupposti democratici in India.

Sotto le “libertà civili” troviamo la voce D1, che pone la seguente domanda: “esistono media liberi e indipendenti in India?“. E per quanto in un primo momento si affermi che vi sia una grande varietà di fonti mediatiche rigorose, che spesso indagano soprattutto in ambito politico, subito di seguito invece viene sottolineato come le campagne di nazionalismo hindu hanno spesso portato alla censura di fonti considerate anti-patriottiche.

Nel paragrafo successivo si afferma che, secondo i dati raccolti dall’organizzazione di Reporters Without Borders (RPS), sono state identificate quattro occasioni in cui la polizia ha attaccato giornalisti nel marzo 2018, e in ogni caso si trattava di professionisti che tentavano di riportare notizie su azioni di protesta. Facendo riferimento invece a quanto riportato dal Commettee to Protect Journalists (CPJ), cinque giornalisti sarebbero stati uccisi in India sempre nel corso del 2018, quattro di questi assassinati a sangue freddo, l’ultimo coinvolto in una sparatoria durante gli scontri tra militanti maoisti e la polizia.

Si comprende, dunque, che la situazione non è chiara, e i media sembrano subire fortissime pressioni se non vere e proprie rappresaglie da parte delle forze dell’ordine. Tutto questo accade in un Paese formalmente libero, che anzi figura quasi come un modello da imitare per molti altri Stati in preda al caos.

Ricordiamo che, sempre secondo Freedom House, in tutto il mondo la democrazia sta retrocedendo ed è in pericolo. Le derive nazionaliste che stanno prendendo piede in molti Paesi sembrano rispondere a una forte crisi identitaria. Come possono i media gestire una situazione così critica? Tornerà a galla la censura in Paesi insospettabili e democratici da molti anni? L’India in questo rappresenta un campanello d’allarme.

Volendo approfondire la questione, nel sito di RSF, in cui troviamo il World Press Freedom Index 2019, è riportato che 140 giornalisti abbiano subito attacchi fisici o su Internet, e si tratterebbe di un trend in ascesa. Invece il sito del CPJ riporta che dal 1992 nel Paese sono stati uccisi 50 giornalisti. Sono anche segnalati numerosi casi di pressioni esercitate dalle forze dell’ordine, l’ultima delle quali sembra risalire al 20 novembre scorso. È il caso di Nellutla Velugopal è stato accusato di far parte di un complotto contro lo Stato ordito dai militanti maoisti.

Nellutla Venugopal, giornalista che ha subito forti intimidazioni per il suo lavoro. Foto ripresa dal sito del Committee to Protect Journalists

Parlando però sempre dei media e della loro efficacia, bisogna considerare anche la poca copertura di casi che non vengono considerati interessanti per un vasto pubblico. Venendo a contatto con informatori sul territorio emerge molto spesso che i media non coprono molti argomenti, soprattutto in campo ambientale, finché non accade qualche scandalo o qualche tragedia.

L’India ha un territorio di 3.3 milioni di km, con una popolazione di quasi due miliardi di persone, ma si finisce per coprire informazioni solo su ciò che accade in città, soprattutto quelle più grandi e popolose. Lo riporta il Center for Media Studies: tra il 2014 e il 2015 il 67% dei quotidiani nazionali riporta notizie su Nuova Delhi, coprendo città come Mumbai, Chennai e Kolkata solo per un misero 9%. È facile allora comprendere come poco si parli delle realtà dei villaggi, proprio quelli che si ritrovano a fronteggiare l’avanzare sfrontato del progresso. E senza alcun sostegno mediatico.

Anche il cinema sta mettendo in luce la questione. Specialmente quanto sta accadendo nel Tamil Nadu. Nel film “Kaththi” del regista Murugadoss, una parte centrale della trama è dedicata al problema della mancanza di acqua nei villaggi e a come ci si debba destreggiare tra mille difficoltà  anche soltanto per mantenere il controllo delle proprie risorse idriche. Ovviamente non tutto ciò che accade è ripreso da fatti reali, ma in particolar modo una scena ricorda avvenimenti che purtroppo sono molto comuni oggi: sei anziani del villaggio decidono di suicidarsi per attirare l’attenzione dei media, che altrimenti non sarebbero accorsi a documentare i soprusi in atto.

Immagine dal film “Kaththi” di Murugadoss

Lo stesso fenomeno dei suicidi in India, in aumento negli ultimi anni, è mal documentato, a volte persino dalle fonti ufficiali. Ad esempio, le statistiche non riportano i casi di donne impiegate in agricoltura, perché spesso vengono considerate solo come mogli di agricoltori. Comunque sia, anche se sottostimati, i numeri di riferimento sono allarmanti: tra il 1991 e il 2015 il National Crime Records Bureau segnala oltre 3.100.000 casi. Molti tra questi sono agricoltori che ogni giorni vedono le proprie terre espropriate, l’accesso a risorse naturali limitato e una dilagante povertà invadere le proprie terre.

Da Al-Jazeera, dati ripresi dal National Crime Records Bureau che mostra il tasso dei suicidi in India

Citiamo come esempio il caso della costruzione dell’autostrada a otto corsie tra Salem e Chennai, in cui le terre di agricoltori sono state acquisite e requisite per fare spazio al progetto. I primi suicidi hanno dovuto verificarsi prima che la stampa fosse richiamata sul territorio dal dramma in corso. Si tratta di persone che ormai non hanno più nulla di cui vivere, una zona di villaggi e templi che verrà spianata per fare spazio ad un’infrastruttura che molti non ritengono necessaria. Ormai che si cerchi di accelerare il ritmo dei lavori è palese, e già da mesi ci sono pressioni affinché il progetto si concluda il più velocemente possibile. Tutto questo non tenendo conto degli appelli dei contadini alla Corte Suprema.

Foto tratta dal sito Enviromental Justice Atlas

In risposta a questa complessiva crisi dei media ufficiali stanno nascendo una serie di iniziative volte a diffondere correttamente i fatti, in particolar modo in ambito ambientale. Fanno uso di varie strategie comunicative, che sembrano più immediate e di facile ricezione da coloro che si interessano all’argomento.

Operano a livello internazionali i creatori di Enviromental Justice Atlas , sito che permette di risalire a problematiche ambientali sul territorio di vari Paesi, compresa l’India, mettendone in luce gli elementi fondamentali e facendo affidamento su voci diffuse in loco, desiderose di collaborare e offrire il proprio contributo ad un panorama che va sempre più rimpicciolendo: paradossalmente, parliamo di ecologia.

Su territorio indiano troviamo il lavoro di Radical Ecological Democracy, piattaforma nata nel 2017, fondata dal Kalpavriksh Enviromental Action Group, basato in Maharashtra. Si occupano di diffondere una corretta informazione trattando problematiche che i media ufficiali solitamente evitano.

Volendo invece trattare almeno in parte delle iniziative nate in Tamil Nadu, all’estremo Sud del continente indiano, è necessario citare il Nellai Press Club, fondato formalmente nel marzo 2019, attualmente dedicato alla diffusione di notizie interne che normalmente non verrebbero riportate.

Ormai inoltre i social network rivestono una nuova importanza anche nelle regioni indiane per riportare fatti poco noti e mettere in campo azioni alternative. Ha un suo ruolo, in questo senso, il gruppo Facebook Save Thamirabarani River. Ha una retorica molto cruda, ma di fatto questo è quello che serve per fare arrivare dritto il messaggio: l’unico fiume perenne del Tamil Nadu, che si trova a vivere una crisi idrica drammatica, viene sfruttato da organizzazioni multinazionali, che ne prelevano l’acqua e la sabbia in ingenti quantità, scaricando poi nel suo corso le proprie sostanze di scarto, inquinando un fiume da cui decide di villaggi dipendono quasi interamente.

Foto della campagna Save Thamirabarani River

La diffusione di informazioni corrette e valide è alla base della democrazia. Possiamo quindi dedurre che l’India ha cessato di essere una grande democrazia? Certo in un Paese democratico l’informazione non dovrebbe essere censurata alla radice. I media alternativi si stanno intanto facendo spazio, trovando un modo per emanciparsi dalle fonti ufficiali,. Ma esisterà poi una vera distinzione con le fonti non-ufficiali in futuro? O non finiranno con essere censurato anche loro? Di fatto è un tempo di confusione mediatica: nessuno è più certo di dove trovare le giuste informazioni.

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