È il 1976, in Turchia un torneo di calcio amatoriale è appena terminato. Toma Kaleperoviç è il direttore tecnico del Fenerbahçe, una delle principali squadre di Istanbul vuole fare un contratto a uno dei giocatori in campo. Nonostante però i suoi numerosi tentativi, il giovane calciatore non riesce a strappare il consenso al padre: il figlio deve studiare e laurearsi, il calcio non rientra nei piani.
Se volessimo cercare un momento decisivo non solo per la vita di Erdoğan, ma anche per il destino della Turchia e dell’Europa, questo aneddoto della sua vita sarebbe quello adatto. In un certo senso, stiamo ancora scontando le conseguenze della decisione del padre (Marta Ottaviani, Il Reis, Textus edizioni).
La vita politica pubblica di Recep Tayyip Erdoğan inizia quasi due decenni dopo questo episodio, nel 1994 quando viene eletto sindaco di Istanbul. Nel 2003 diventa Primo ministro della Turchia, carica che ricoprirà fino al 2014 quando viene eletto presidente della Repubblica.
Ma ancora prima di diventare uno dei politici più conosciuti dei nostri giorni, Erdoğan era un giovane studente presso una İmam Hatip della città sul Bosforo, un tipo di scuola confessionale di secondo grado dove si educano giovani uomini alla religione per diventare imam e predicatori. È nelle aule di questa scuola che il giovane Erdoğan si forma e il suo pensiero si lega definitivamente alla religione. La vita pubblica del Reis nasce così, dall’unione di politica e religione. A fare da cornice, una qualità innata per la comunicazione.
Erdoğan dà prova del suo talento comunicativo fin dai primi anni della sua vita politica, quando il futuro presidente della Repubblica turca entra a far parte del Partito del Benessere (Refah Partisi), schieramento politico di ispirazione islamica.
È a partire da questa esperienza politica che Erdoğan inizia a comprendere l’importanza della comunicazione: il suo linguaggio e la sua mimica puntano ad attrarre un elettorato di base più vasto possibile. Per raggiungere questo obiettivo niente è lasciato al caso: persone distribuite su tutto il territorio nazionale vanno di porta in porta e fanno sentire la loro presenza: gli argomenti variano a seconda dell’interlocutore, ma la costante è adattare il messaggio al proprio interlocutore (testo citato).
Sono anni di formazione per Erdoğan che capisce fin da subito che per raggiungere il successo è necessario adattarsi ed essere affabili. Come sottolinea spesso Marta Ottaviani , “cittadino non sei solo” è la tecnica comunicativa di Erdoğan, una linea che farà parte anche del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Adalat ve Kalkinma Partisi o AKP), fondato dallo stesso Reis e che lo porterà a essere eletto Primo ministro nel 2003.
In questo periodo inizia a prendere forma un sistema economico sempre legato alla religione e alla presenza in loco di funzionari e autorità del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, così che questi possano sostenere impiegati e operai di una macchina il cui olio è l’appartenenza al credo islamico.
Questo si traduce in un numero sempre maggiore di moschee vicino a fabbriche e un’ampia presenza di donne velate, per le quali la stessa Emine Erdoğan, moglie del Reis, è un esempio. È importante, tuttavia, sottolineare che anche se l’incoraggiamento a valorizzare l’aspetto religioso nella vita pubblica è molto forte, non vi è alcuna spinta ufficiale in questa direzione.
Sono ancora gli anni in cui Erdoğan promuove un’idea più laica dell’arte del governo, parla di diritti delle donne, cerca dialoghi aperti con le minoranze e, soprattutto, l’entrata nell’Unione Europea sembra molto vicina. Idee che si tradurranno nel programma del Reis per la campagna elettorale delle elezioni del 2007 e che, poi, vincerà. Anche in questo caso, a fare gioco forza è la propaganda porta a porta, costante della strategia politica del presidente turco.
Le cose, però, sono destinate a cambiare repentinamente nel 2010, quando il focus sulla vita religiosa da latente diventa una priorità per Erdoğan: l’obiettivo del Reis è quello di creare non solo una nuova idea di collettività, ma anche e soprattutto un’identità collettiva basata sulla religione (il 98% dei cittadini turchi sono musulmani).
Non passa molto tempo e le proteste di Gezi Park iniziano a rivelare il malessere della popolazione nei confronti della politica, dell’Akp e di Erdoğan stesso. In questo momento l’apparato comunicativo e propagandistico di Erdoğan è fortissimo: vengono messe in circolo fake news create a tavolino per intimorire l’opposizione, convincere gli elettori, e i media controllati dallo Stato danno nuova forma ai fatti, creando una narrativa totalmente sfalsata rispetto a ciò che sta realmente succedendo.
Si tratta di una vera e propria macchina della propaganda che non si ferma ai confini nazionali, ma che va oltre e arriva a colpire anche Christiane Amanpour, famoso volto della CNN. In un’intervista mai avvenuta, infatti, la giornalista avrebbe confessato di aver “dato avvio alle proteste in cambio di denaro”. Ma c’è altro: a sconvolgere i turchi è la notizia (falsa) in cui si racconta di un gruppo di uomini che avrebbero urinato su una donna velata con in braccio il proprio figlio.
Ancora una volta, la religione viene sfruttata come argomento di battaglia: a rendere bene il concetto è Safak Pavey del partito di opposizione (il Partito Popolare Repubblicano, CHP) che nel 2015 ha detto: “Erdoğan sta vincendo grazie alla sua enorme forza che deriva da un’ideologia religiosa che controlla il passato e il futuro. Per Erdoğan il potere temporale è solo un accessorio. Lui crede di avere potere divino. La sua magia è la sua capacità di convincere gli elettori di essere il deputato di Dio in terra”.
Definito dalla BBC un presidente “intollerante del dissenso“, è proprio a partire dagli anni delle proteste di Gezi Park che Erdoğan non solo sfrutta le sue doti comunicative per convincere sempre di più l’elettorato, ma mette anche in atto una censura che colpisce giornalisti, avvocati, politici e intellettuali e che tocca l’apice nel periodo successivo al colpo di Stato del 2016. È dello scorso aprile la notizia che l’ufficio di comunicazione del Reis ha ottenuto il controllo dell’agenzia di stampa statale Anadolu, conquistando così il potere di eleggerne i vertici.
Ece Temelkuran, giornalista e attivista turca che da 5 anni vive in Croazia, sottolinea come a giocare un ruolo fondamentale nella comunicazione di Erdoğan in questo momento ci sia il nazionalismo, su cui il politico sta facendo leva più che mai. In modo particolare, Temelkuran insiste sulla bivalenza dell’argomento centrale della propaganda del presidente turco per la guerra in Siria: l’immigrazione.
Erdoğan è stato in grado di tenere con il fiato sospeso l’Europa, minacciata dalla possibilità di aprire le frontiere ai siriani che vivono in Turchia; ma anche lo stesso popolo turco, spinto a credere alla necessità di proseguire con la guerra così da creare aree cuscinetto dove rimandare i profughi siriani.
Prendendo in prestito le parole del giornalista turco Cengiz Aktar, Erdoğan “non parla altra lingua che un turco stentato. Lo stesso di milioni di turchi che, quindi, lo capiscono facilmente”. Quella del presidente turco è una comunicazione che si è modificata nel tempo, passando da linguaggio che guarda al mondo occidentale per poi arricchirsi sempre di più di significati religiosi, pur sempre mantenendo la costante della vicinanza alla popolazione.
L’ultima tendenza del Reis? Parlare di terrorismo riferendosi ai curdi, “elementi inusuali” che minacciano l’unità identitaria.