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Iraq, uniti nella Rivolta di Ottobre al grido “vogliamo una Patria”

Manifestanti a Babilonia, sotto ponte Thaura
Manifestanti a Babilonia, sotto ponte Thaura (“Rivoluzione”)

Mentre l’Italia è presa, quotidianamente, dalle sue tre quattro notizie del giorno, ci sono Paesi nel mondo che stanno cambiando la loro sorte. Eppure nessuno ne sa nulla, o quasi. Io faccio la mia parte, e informo sulla situazione che succede in Iraq. Inizio con questo retroscena, per capire bene il motivo delle manifestazioni.

Quando il carro armato americano, nell’aprile del 2003, ha abbattuto la statua del dittatore Saddam Hussein, l’Iraq era uscito da una delle sue epoche più buie. A maggio 2003 Paul Bremer è diventato il “governatore” dell’Iraq, incaricato dallo stesso Bush. Insieme a lui c’era il Consiglio Governativo; alcuni politici iracheni (all’inizio 7 poi diventano 25), che hanno, insieme ai loro partiti, tuttora il controllo dell’Iraq.

Tutti questi politici venivano dall’estero, nessuno di loro sapeva nulla di quello che gli iracheni hanno visto, vissuto e subito nei 25 anni della dittatura di Saddam Hussein. E seppure erano oppositori al regime di Saddam per lunghi anni, dai Paesi in cui si sono rifugiati, soprattutto quelli europei, paradossalmente hanno portato avanti ciò che aveva fatto Saddam.

Saddam Hussein ha iniziato il suo mandato, nel 1979, uccidendo i suoi compagni di lotta, per togliere la voglia a chiunque di concorre con lui. Da questo massacro si è creata una scia di sangue lungo gli anni del suo governato, fino a sfociare nel mare di sangue del dopo 2003. Infatti, nel 1980 inizia la sua interminabile guerra con l’Iran, finita soltanto nel 1988. Ricordo ancora le Jeep militari che portavano le bare avvolte nella bandiera irachena. Il risultato della guerra: 700 mila morti iracheni e milioni di mutilati e feriti.

Nemmeno due anni dopo, le donne non avevano ancora tolto il nero per i morti della guerra, invade il Kuwait, distruggendolo totalmente. A causa dell’invasione del Kuwait scoppia la seconda guerra del Golfo: altre centinaia di migliaia di morti, e un embargo durato ben 12 anni, dal 1991 al 2003. Durante l’embargo sono morte centinaia di migliaia di persone; di soli bambini si contano 500 mila, morti per mancanza di cibo e medicine. Sono stati anni bui, in cui il popolo iracheno ha patito la fame e la miseria, mentre Saddam Hussein e il suo seguito vivevano in un lusso sfrenato.

Gli iracheni, a causa dell’embargo e delle guerre, erano stremati, così la caduta del regime di Saddam, che doveva essere l’ancora di salvezza dal dittatore, si è rivelata il colpo di grazia.
Arrivano i carri armati dagli Stati Uniti e da tutto il mondo, inclusi quelli italiani. Insieme a loro entrano i politici che avrebbero governato l’Iraq. L’unica cosa che gli americani hanno protetto erano i pozzi di petrolio, il resto è stato lasciato al proprio destino. Nasce il Consiglio Governativo sopracitato, gestisce il Paese fino al 2005: nel frattempo si scrive la Costituzione, e nel 2005 si svolgono le prime elezioni. Fiorisce la speranza per il popolo: dopo anni di dittatura, finalmente elezioni democratiche.

Il sistema governativo, però, è costruito su divisioni settarie ed etniche: ai curdi spetta la presidenza della repubblica, ai sciiti l’incarico del primo ministro, ai sunniti la presidenza del Parlamento. Ma non si ferma qui: la divisione riguarda anche i vice premier, i vice presidente del Parlamento, i ministeri, e via dicendo fino agli incarichi più piccoli.

Divisione micidiale. Nessuna meritocrazia, gli incarichi venivano divisi tra i partiti, e all’interno dello stesso partito tra i suoi componenti. Accade che alcuni comprano gli incarichi, con centinaia di migliaia di dollari, o con milioni, dipende dell’importanza dell’incarico. L’incarico era quindi una merce, la si compra per guadagnare.

In 16 anni (dal 2003 fino a oggi) questi partiti non hanno fatto altro che ingannare il popolo, seminare e incoraggiare l’odio settario tra la popolazione, per perpetuare i loro governi. Così succedeva che sciiti eleggevano sciiti, i sunniti eleggevano i sunniti e i curdi lo stesso, e tutte le altre etnie e religioni, perché ognuno deve avere i suoi rappresentanti in parlamento. Non vi era più popolo, non vi era più unità.

Il risultato peggiore dei 25 anni di Saddam Hussein è stato uccidere la patria e l’appartenenza a questa; i governi successivi a lui hanno reso questo distacco tra popolo e patria ancora più forte e profondo. Ma hanno anche portato avanti l’opera di distruzione del Paese che aveva iniziato Saddam: non vi è stato costruzione, sviluppo, investimenti. Niente di niente. Anzi, hanno rubato tutte le risorse del Paese. Le banche svizzere ed europee sono piene dei loro soldi. Ministri e personaggi di spicco nel Governo rubavano i soldi poi se la svignavano, tornando in qualche Paese europeo, o in America.

Tra il 2005 e il 2008 l’Iraq ha vissuto una guerra civile o settaria, mietendo migliaia e migliaia di innocenti. Sono nate milizie che governano più dello stesso Governo. Si sono creati diversi Stati nello stesso Stato. Si tira avanti così fino all’arrivo del sedicente Stato Islamico (ISIS) nel 2014.

Anche per l’ingresso di ISIS in Iraq sono accusati i politici, anzi l’uno accusa l’altro. Non si è tuttora scoperta la verità, ma è sicuro che membri del Governo sono implicati nella questione. Ovviamente non bisogna neanche ignorare alcuni fattori sociali e divisioni settarie, di cui si è parlato sopra, che hanno favorito il domino di ISIS, nonché i giochi internazionali.

Dopo tutti questi fattori, e questi lunghi decenni, il risultato è: un Paese in ginocchio, distrutto e privo dei minimi servizi, sempre più disoccupati, più corruzione. E un popolo stremato dalle guerre con il mondo, dalle guerre civili, disperato e avvilito.

Ma ecco che rinasce la fenice, dalla distruzione si alza il popolo, con una coscienza da far paura: rivendica tutto quello che gli è stato sottratto.

Nel corso degli anni ci sono state diverse manifestazioni, alcuni hanno quasi abbattuto il Governo, e i manifestanti hanno fatto irruzione nel Parlamento, e i parlamentari sono fuggiti. Ma tutte quelle manifestazioni non hanno portato a nulla, perché hanno avuto sempre un leader con cui contrattare.

Foto di un’edificio occupato, chiamato dai manifestanti “Giabal Uhud” (Montagna di Uhud). È un luogo strategico, ed è diventato un punto fondamentale per i ribelli.

Ecco cosa distingue le proteste attuali o “la rivolta di ottobre”: non vi è nessun leader. Se c’è un leader è proprio il popolo, tutto il popolo. Per cui non c’è nessuno con cui contrattare, ma ci sono richieste del popolo, a cui il Governo deve rispondere. Ma quali sono le richieste del popolo?

Se è vero che i moventi principali delle proteste sono varie: corruzione del Governo, mancanza di servizi, mancanza di lavoro, il caro vita ecc. le manifestazioni hanno ben presto avuto un’altra richiesta principale: la patria. Non a caso la richiesta che tutti chiedono è quella: “vogliamo una patria“. Quella di adesso non è più questione di richieste varie, ma di aver una patria. Una cosa che implica richieste che il Governo non può più soddisfare.

Il popolo non vuole più questo Governo, e non solo, la cosa principale è che non vuole affatto i partiti. Quindi non c’è nessun rimedio, né nelle dimissioni di questo Governo, né tanto meno nella formazione di uno nuovo. Perché a formare il nuovo Governo saranno sempre gli stessi partiti esistenti adesso in Iraq. Ma per il popolo sono loro il cancro della patria. E loro vogliono una patria sana, senza tumore. Il popolo, dunque, vuole smontare il Governo e tutti i partiti. Ma questi, che dispongono di varie milizie, non potranno mai accettare una cosa simile. Non accetterà nemmeno l’Iran, che ha man forte in Iraq. Le proteste quindi sono una questione di esistenza, sia per il popolo sia per il Governo e i partiti. Per questo le proteste continuano, e continueranno.

Ci sono però diversi risultati della manifestazione: risultati negativi, come la morte di 250 persone, uccise dalle milizie del Governo, nonché decine di migliaia di feriti. Sono stati utilizzati lacrimogeni scaduti anni fa, e lacrimogeni molto particolari, particolarmente forti. Il problema è che venivano sparati direttamente sui manifestanti, perforavano la testa e il corpo, esplodevano e causavano danni. Hanno usato armi da fuoco, uccidendo diversi manifestanti. E anche i manganelli.

Il lato positivo è che l’esercito e le forze dell’ordine non sono implicati nelle violenze. Naturalmente ci sono le eccezioni, ma in generale non sono implicati. Ci sono invece le milizie dei partiti, che reprimono e uccidono.

Un altro lato positivo e fondamentale è l’unità: adesso c’è un popolo, un popolo vero e proprio, unito. Gli iracheni hanno superato le divisioni settarie ed etniche: sunniti, sciiti, cristiani, yezidi, curdi, tutti uniti. Le chiese cristiane cucinano e mandano cibo ai manifestanti, e partecipano anche alle manifestazioni. Curdi e yezidi mandano la loro solidarietà ai manifestanti dalle loro città distrutte. Le bambine nelle scuole raccolgono i soldi che i propri genitori danno per la scuola e li mandano ai manifestanti. Donne nelle piazze fanno il cibo e il pane per i manifestanti, persone che girano e distribuiscono acqua, bevande, frutta.

Nelle piazze e nelle strade delle maggior parte delle città irachene manifestano piccoli e grandi, uomini e donne, disoccupati, studenti, lavoratori, medici, avvocati, ingeneri, insegnanti ecc. La presenza delle donne è fortissima, è la prima manifestazione con una partecipazione così elevata di donne. Giovani ragazze che manifestano e gridano, soccorrono i manifestanti, portano il cibo, puliscono le strade e le piazze. Sono fianco a fianco con i ragazzi, nessuno le sfiora.

In Iraq tutte le categorie del popolo manifestano, chiedendo patria. Anzi, direi che stanno proprio facendo la patria.

L’Iraq non sarà mai più lo stesso dopo queste manifestazione. Se volessi fare un riferimento di cambiamento italiano, potrei riferirmi al suo ’68.

In tutte le piazze dell’Iraq, come in piazza Tahrir (piazza della liberazione) a Baghdad, vi è una piccola patria, una patria vera e propria in cui c’è un unico popolo, solidale e collaborativo. Gli iracheni volevano una patria, e nel volerlo l’hanno realizzata, proprio nelle piazze dove manifestano.

Un manifestante cristiano. Si presenta in piazza Tahrir, a Baghdad, ogni giorno. Nella sinistra regge la Croce, con un rosario e un ramo di mirto, mentre nella destra porta il Corano

[Tutte le foto sono dell’autore dell’articolo]

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