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LGBTQI, diffuse in tutto il mondo le “terapie di conversione”

[Traduzione a cura di Sharon Grillotti dall’articolo originale di Nandini Archer pubblicato su openDemocracy]

Un nuovo rapporto dipinge un quadro agghiacciante su come la  “terapia di conversione” – tentativi di cambiare l’orientamento sessuale o identità di genere di una persona – sia diffusa in almeno 80 Paesi a livello mondiale.

Il primo studio globale di questo tipo mostra come queste pratiche siano spesso presenti dietro casi americani ben documentati – che vanno da servizi di sanità mentale a preghiere e gruppi di ‘auto-aiuto’.

Ben lontana dall’essere un’attività fuori moda, la terapia di conversione è “un problema globale assolutamente attuale, ha detto Marija Sjodin, vicedirettore esecutivo del gruppo per i diritti degli LGBTQI, Outright International, che ha pubblicato lo studio.

Parlando a OpenDemocracy, Sjodin ha segnalato come queste pratiche possano diventare sempre più diffuse in quanto “il mondo sta diventando, a livello generale, più consapevole delle identità LGBTQI” e le persone promuovono la ‘terapia’ in risposta.

Sjodin ha definito questa conseguenza un “enorme rischio” per i diritti delle persone LGBTQI e ha sottolineato l’urgenza di far crescere la consapevolezza riguardo queste pratiche e il “danno irreparabile” che possono causare, “prima che sia troppo tardi”.

Queste pratiche non funzionano, “non è conversione. E non è terapia”, ha affermato. Tra le testimonianze più allarmanti ci sono quelle di violenza fisica, digiuno forzato ed esorcismo.

Le 81 pagine di studio esaminano le leggi esistenti e raccolgono i risultati di un nuovo sondaggio su più di 500 persone LGBTQI in 80 Paesi, insieme ad una serie di interviste approfondite e di testimonianze.

Amie Bishop, la ricercatrice che ha scritto il rapporto, ha raccontato ad OpenDemocracy che molte delle persone LGBTQI che ha intervistato hanno trovato estremamente doloroso ricordare la loro esperienza, ma “volevano che le loro storie fossero pubblicate” per presentarle come vere e proprie pratiche di “abuso fisico, sessuale e psicologico”.

Solo 4 Paesi nel mondo hanno completamente vietato la terapia di conversione – Taiwan 2018, Malta 2015, Ecuador 2014, Brasile (dove la legge è stata introdotta nel 1999, abrogata nel 2017 e di nuovo presentata l’anno scorso) – anche se alcuni divieti parziali sono stati introdotti in altri Paesi.

La relazione osserva che le pratiche sono state descritte come “immorali– non scientifiche – inefficaci e, in alcuni casi, equivalenti a torture” dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, e dice che sono state “condannate” dalle principali associazioni di salute mentale negli Stati Uniti, Canada, Australia e Europa.

Bishop e Sjodin hanno sollecitato l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad unirsi ad altri corpi internazionali nel condannare ‘la terapia di conversione’. Ma Bishop ha fatto notare che il tentativo di far rispettare questi divieti viene reso difficile dal fatto che “non c’è una forma univoca di terapia di conversione”.

Mentre approssimativamente due terzi degli intervistati soggetti alla terapia di conversione affermano di essere stati ‘costretti’ a queste attività, gli altri hanno detto che vi si sono volontariamente sottoposti. Per Bishop, questi risultati riflettono il profondo effetto dell’omofobia e transfobia radicate “quando la tua famiglia, la tua fede e la tua comunità ti condannano”.

Continuo a pensare ad un intervistato dall’Algeria che ha tentato vari approcci per cambiare”, ha affermato, ricordando come questa persona abbia più volte detto “volevo solo essere accettato”.

Protesta LGBT contro la True Freedom Trust che offre terapie di conversione a Belfast, Irlanda del Nord, 2019.

Le leggi sono importanti e possono sicuramente aiutare”, continua Bishop, ma queste pratiche possono comprendere una vasta quantità di forme e ultimamente sono molto alimentate da “omofobia e transfobia sociale e radicata” e dall’idea che “essere LGBTQI sia patologico, sbagliato e inaccettabile”.

Secondo il rapporto, queste pratiche risalgono “ai primi studi sessuali” della metà del XIX secolo, concetti freudiani e teorie che attribuiscono all’omosessualità la colpa di “arrestare lo sviluppo psico-sessuale”.

Negli anni ’70, quando la sessualità fu declassificata come “disturbo mentale” dalle associazioni mediche di molti Paesi, movimenti di “ex-gay” organizzati emersero in USA, Canada e Australia.

A questo punto nacquero nuove organizzazioni come Love in Action, Exodus International e Restoration Ministries che promuovevano la terapia di conversione. Nel 2002, Exodus International aveva 250 ‘ministri locali’ in Nord America, e più di 150 affiliati in tutto il mondo.

Oggi, segnala il rapporto, molti gruppi di terapia di conversione hanno ribattezzato le loro attività, ad esempio utilizzando linguaggi scientifici e relativi ai diritti umani nei loro documenti pubblici. Nuove tecnologie, incluse le app dei social media, hanno reso più semplice puntare direttamente verso giovani LGBTQI, aggiunge.

Un esempio è un gruppo chiamato 3:16 Church che promuove la terapia di conversione online. Il loro sito Truelove.is “è immerso nei colori dell’arcobaleno ha un linguaggio rassicurante”, e invita i visitatori a “fare coming out e tornare a casa”.

In Africa Bishop si sofferma sul ruolo della colonizzazione europea nel XIX e XX secolo nel promuovere comportamenti anti-LGBTQI – e sulle legislazioni.

Più di recente ha affermato che, “dato che la destra religiosa sta perdendo terreno” nella lotta contro le persone LGBTQI in Europa, Nord America e Australia, anche per quanto riguarda l’uguaglianza dei matrimoni omosessuali, “si sono diretti principalmente in Paesi dove credono che i loro programmi saranno maggiormente ascoltati”.

L’accademico zambiano e prete anglicano Kapya Kaoma ha citato una conferenza del 1998 ospitata dall’Arcivescovo di Canterbury in Gran Bretagna – dove, afferma, “ai vescovi africani e ad altri leader venne detto che l’omosessualità poteva essere curata”  – in un momento cruciale nella divulgazioni di queste pratiche.

Sjodin sostiene che “sono chiari i segni della presenza degli Stati Uniti” nelle terapie di conversione in tutto il mondo. Comunque, dice, queste attività “richiedono ulteriori studi” e “non sono interamente guidate dalle chiese americane”.

Le chiese White Garmen in Nigeria, per esempio, sembrerebbero esportare e divulgare le tattiche di terapia di conversione nel resto dell’Africa, afferma Bishop. Il rapporto rivela anche l’utilizzo di simili tattiche di divulgazione della terapia di conversione in Cina, non connesse all’influenza degli Stati Uniti e dei gruppi religiosi.

In Cina, queste pratiche sono avvenute in almeno 134 luoghi, inclusi ospedali, cliniche, strutture psichiatriche e di sanità pubblica, secondo uno studio condotto da LBGT Rights Advocacy Group China agli inizi dell’anno. In realtà i ricercatori si aspettano numeri effettivi più alti.

Altri studi sostengono che tutti gli intervistati cinesi a questo sondaggio hanno attribuito il loro “trattamento” alla pressione sociale e familiare, più che alla religione.

Questo suggerisce che la politica nazionale del figlio unico, combinata alle intense pressioni da parte dei genitori perché i figli si sposino, alimentino queste pratiche – insieme alla continua classificazione dell’orientamento sessuale come disturbo nelle guide cliniche usate dai medici nel diagnosticare problemi di malattia mentale.

Mentre in maggio i legislatori di Taiwan hanno approvato una legge che autorizza i matrimoni dello stesso sesso, questa settimana un rappresentante del Parlamento cinese ha detto che la legge consente solo il matrimonio tra un uomo e una donna, che “combaci con le condizioni nazionali e le tradizioni storiche e culturali del nostro Paese”.

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