La crisi umanitaria causata dai lunghi e drammatici otto anni di guerra siriana è ben visibile nel vicino Libano. Qui, infatti, vivono circa 1,5 milioni di rifugiati non ufficiali, dei quali 929.624 registrati dall’Unchr nel giugno 2019.
I numeri aiutano a capire la portata e la gravità di questo fenomeno ormai ben radicato in Libano, Paese che registra la più alta concentrazione di rifugiati pro capite al mondo. Supera il 69% la popolazione siriana sfollata che vive al di sotto della soglia di povertà e ammonta al 51% la percentuale delle famiglie profughe che non riesce a spendere nemmeno il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Circa un terzo dei siriani rifugiati soffre per moderata o grave insicurezza alimentare e il 54% dei bambini sfollati non frequenta la scuola. Le famiglie provenienti dalla Siria hanno un carico di debito sempre più alto e insostenibile, per una media di 1.016 dollari a nucleo familiare.
In condizioni così precarie, nelle quali mancano il lavoro e l’assistenza primaria, il degrado si trasforma facilmente in violenza. I maltrattamenti verbali riguardano circa il 30% degli sfollati siriani e le spose costrette al matrimonio tra le rifugiate – dai 15 ai 19 anni – sono il 22%. A questo spesso si aggiungono lo sfruttamento minorile nel lavoro ed episodi di violenza di genere soprattutto nei confronti delle donne.
Inoltre, accade di frequente che i profughi non riescano a registrarsi legalmente e, quindi, ad ottenere la documentazione necessaria per essere riconosciuti come portatori di diritti. Il 73% degli sfollati dall’età di 15 anni in su risulta non ufficialmente registrato. Solo il 18% delle famiglie rifugiate dichiara di possedere documenti legali, mentre il 61% di queste – percentuale in rialzo – è formata da membri senza residenza ufficiale. Questa mancanza di regolarità si traduce in maggiore rischio di molestie e detenzione per gli sfollati, minore capacità di viaggiare e spostarsi all’interno del Libano e difficoltà nell’usufruire di servizi fondamentali quali istruzione e sanità.
Anche nella registrazione delle nascite ci sono carenze. Si stima che il 79% dei bambini siriani nati in Libano non abbiano completato il processo di documentazione legale della nascita. A monte di questa situazione ci sarebbero i costi richiesti per la registrazione, troppo alti per le misere economie degli sfollati.
La presenza dei siriani in Libano, ormai massiccia e duratura negli anni, non è stata mai convogliata in campi di accoglienza ufficiali e comunitari. I numerosi profughi, quindi, vivono in città, villaggi, sistemazioni informali con tende di fortuna sparse un po’ in tutto il territorio libanese. Le condizioni di alloggio, però, non sono sempre accoglienti e adeguate. Il 36% delle famiglie siriane, per esempio, possiede un riparo precario e pericoloso e il 34% degli sfollati vive in condizioni di disumano sovraffollamento.
Degrado abitativo, quindi, che si aggiunge alla citata precarietà economico-sociale. La presenza in queste condizioni dei rifugiati siriani in Libano sta diventando sempre più scomoda. Se, infatti, all’inizio la popolazione e la politica di Beirut si erano dimostrate piuttosto accoglienti, oggi la situazione sta precipitando verso l’intolleranza.
L’endemica crisi siriana sta esasperando tutti, anche i libanesi. La politica di Beirut, quindi, si sta sempre più concentrando sulla retorica anti-rifugiati e sulla pressione nei confronti dei siriani a ritornare nel loro Paese. I mezzi utilizzati per allontanarli non sono sempre leciti. La popolazione siriana, infatti, lamenta negli ultimi tempi raid, incursioni dell’esercito, coprifuoco, sfratti forzati negli alloggi e nei villaggi finora abitati in relativa pace, arresti arbitrari, chiusura di negozi di proprietari siriani, ritardi nella consegna di documenti.
Ne è un esempio l’attacco avvenuto i primi giorni di giugno nel campo di Deir al-Ahmar, che ospita circa 600 rifugiati siriani. Durante la notte almeno 50 uomini hanno iniziato ad incendiare le tende degli sfollati e a demolirne altre con un bulldozer. Si sono susseguite minacce nei confronti della popolazione spaventata. Il giorno dopo, le autorità locali hanno ordinato l’evacuazione del villaggio per motivi di protezione. Forze di sicurezza e pompieri, quella notte, sono arrivati in ritardo, quando ormai il disastro era compiuto.
Lo stesso accordo che il Governo libanese ha stipulato nel luglio 2018 con i politici siriani per favorire il ritorno in patria delle famiglie sfollate, è criticato da più parti perché non garantirebbe la libera scelta di partire da parte dei siriani. Costringerli a tornare nel Paese d’origine, attraverso forme indirette come l’esasperazione delle condizioni di vita in Libano, sarebbe la strategia di Beirut. Che violerebbe diritti umani e il principio del non refoulement.
In questo scenario di intolleranza, l’ultima decisione governativa di Beirut è stata quella di ordinare la demolizione di tutti i ripari o gli alloggi costruiti con materiali diversi da legname e teli in plastica. L’obbligo di smantellamento, dunque, riguarda le sistemazioni abitative in cemento, che violerebbero i codici abitativi in vigore nel territorio libanese.
Alcune famiglie hanno dovuto distruggere la propria abitazione. Come il 63enne di Aqaba, ad Arsal, costretto a demolire a mano il suo riparo e obbligato a rimettere in piedi un alloggio per non restare senza tetto. Non avendo ricevuto materiali adeguati e non disponendo di risorse finanziarie sufficienti per un’altra casa, l’uomo è stato costretto ad attaccare delle coperte a dei travi – con funzione di pareti – e a rivestire il tetto in compensato già ammuffito.
Questa imposizione da parte del governo libanese interessa innanzitutto 3600 famiglie siriane stanziate ad Arsal e comprende circa 15.000 bambini che vivono in questo territorio. Proprio qui, infatti, il 1 luglio, alle ore 4.30 del mattino, le unità militari libanesi hanno fatto incursione nel villaggio e hanno demolito 20 alloggi considerati fuori legge. Militari e mezzi pesanti all’opera per la distruzione delle case hanno traumatizzato la popolazione, oltre a lasciarla senza riparo.
L’obbligo di utilizzare specifici materiali – come legno, plastica e compensato – per costruire il proprio riparo significa per le famiglie affrontare l’inverno rigido in modo inadeguato, aumentando degrado e povertà tra i rifugiati già stremati. Ad Arsal, per esempio, inondazioni e temperature molto basse sono consuete. I rischi per la salute e la sicurezza dei siriani e di tutto il Libano, quindi, aumenteranno.
La comunità internazionale è chiamata a rispondere anche di questi fatti. Garantire assistenza adeguata ai rifugiati siriani è un richiamo alla dignità umana. Aiutare il Libano ad affrontare questa emergenza significa evitare ulteriori violenze, usurpazioni, frustrazioni.