[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Edward Duncan e Isabelle Uny pubblicato su The Conversation]
Sebbene tutti sappiano che le strade sono pericolose, molti si sorprendono nel vedere quanto queste possano rivelarsi fatali. Ogni anno sulla strada si contano fino a 1,4 milioni di morti (circa uno ogni 23 secondi), mentre i feriti sopravvissuti (spesso con disabilità che cambiano la vita) vanno dai 20 ai 50 milioni. Attualmente, infatti, gli incidenti stradali rappresentano l’ottava causa di morte al mondo.
La stragrande maggioranza di questi decessi avviene in Paesi a medio e basso reddito, come quelli dell’Africa subsahariana. In questi luoghi, dove già gli abitanti lottano per le difficoltà quotidiane, eventi simili si ripercuotono sulla produttività, la vita familiare e il benessere generale. Ma la cosa più sorprendente è che queste nazioni registrano, a livello mondiale, le percentuali più basse in termini di veicoli posseduti per ogni abitante. Qui gli incidenti stradali hanno un impatto maggiore rispetto a malattie mortali come la malaria, la tubercolosi e – in alcune zone- l’HIV e l’AIDS. E nonostante numerose iniziative, come la quinta Settimana mondiale della Sicurezza Stradale, istituita dall’ONU e conclusasi pochi giorni fa, la situazione non sta migliorando.
La maggior parte delle vittime stradali in Africa sub-sahariana sono pedoni, ciclisti e motociclist, dato che per molti camminare e andare in bicicletta restano gli unici mezzi di trasporto a disposizione. È una cosa normale vedere bambini e adulti camminare lungo i bordi di strade estremamente trafficate, ma anche venditori ambulanti. Le strade sono spesso mal progettate e versano in cattivo stato; le barriere, le segnaletiche e i marciapiedi sono scarsi o inesistenti. I veicoli sono tenuti male e si riscontrano gravi problemi riguardo la formazione dei conducenti, la guida in stato di ebrezza e il controllo del rispetto del codice stradale da parte della polizia.
Quando medici e ricercatori riflettono sul fenomeno degli incidenti stradali, si parla, a volte, di “catena di sopravvivenza al trauma”, una procedura d’emergenza in grado di aumentare le possibilità di sopravvivenza delle vittime e assicurare una buona guarigione. Questa si costituisce di quattro anelli principali: chiamata d’emergenza, primo soccorso precoce, interventi immediati per limitare o riparare le lesioni, e prima riabilitazione.
Ma in Africa sub-sahariana, questa catena sembra mancare completamente. Quando avviene un incidente, spesso non ci sono servizi pubblici di ambulanze oppure numeri unici di emergenza come il 999 o il 991 [corrispondente al 118 italiano, NdT]. I soccorritori preparati sono pochi, e così i presenti sulla scena dell’incidente che forniscono assistenza pre-ospedaliera non hanno le conoscenze, la preparazione, le attrezzature, l’esperienza e i mezzi di trasporto a disposizione per prestare aiuto. Di conseguenza, le persone inevitabilmente muoiono.
Inoltre, spesso, gli ospedali mancano di attrezzature, personale e strutture indispensabili per assistere correttamente le vittime della strada. Non sono nemmeno in grado di fornire quel genere di riabilitazione precoce a beneficio dei superstiti. Tutto ciò si aggiunge a ciò che è definito problema perverso: una questione incredibilmente complessa in cui è difficile capire dove o quale sia il modo migliore per cominciare a risolverla.
L’iniziativa delle Nazioni Unite
Tali problemi richiedono di pensare in modo interdisciplinare proponendo molteplici soluzioni. A tal fine, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dal 2010, ha indetto un Decennio di Azione per la Sicurezza Stradale. Gestione della sicurezza stradale, sviluppo delle infrastrutture, aumento di veicoli sicuri, miglioramento del comportamento del conducente e sviluppo delle reazioni post incidente, sono i cinque pilastri alla base di questo Piano d’azione politica. Le Nazioni Unite hanno fissato quest’obiettivo globale di sviluppo sostenibile al fine di dimezzare il numero di morti e feriti stradali entro il 2020, ma, di questo passo, è molto improbabile che tale obiettivo venga raggiunto.
Di certo non è dovuto a mancanza di volontà. Oltre a questa campagna molti Paesi africani, stanno introducendo riforme. Da una campagna in Kenya volta a incoraggiare i passeggeri a monitorare quanto fossero guidati bene i mezzi su cui viaggiano a corsi sulla segnaletica stradale per i motociclisti in Nigeria, fino a un corso di formazione per il supporto vitale post trauma per infermieri e medici in Ruanda.
La Banca Mondiale, attraverso il programma Global Road Safety Facility (GRSF) istituito nel 2006, ha finanziato una vasta gamma di progetti di sicurezza stradale in oltre 35 Paesi in via di sviluppo. Nel 2016, ad esempio, il GRSF ha concesso un totale di 411 milioni di dollari da destinare agli investimenti stradali.
Un esempio recente riguarda il progetto pilota da 3,4 milioni di dollari volto a migliorare i servizi medici d’emergenza sulla Road M1 che collega Lilongwe a Blantyre in Malawi, uno dei Paesi più poveri al mondo. Il progetto prevede di disporre ambulanze lungo la strada, purtroppo rinomata per l’alto numero di incidenti, e formare le persone a gestirle. Ciò contribuirà allo sviluppo di un formale servizio medico di emergenza in tutta la nazione.
Eppure questo rappresenterà solo una parte del programma di supporto infrastrutturale necessario a cambiare un problema più ampio. Infatti, anche se le istituzioni mondiali stanno lavorando sodo per raggiungere l’obiettivo, nei Paesi più poveri le vittime stradali continuano ad aumentare troppo per poter ottenere un’inversione di rotta. E questa è senz’altro una grossa sfida.
Safe Roads Africa
È sempre più evidente che le piccole vittorie, rispetto alle azioni su vasta scala, sono quelle che ci permettono di affrontare meglio i problemi. Questo è l’approccio che abbiamo cercato di mettere in pratica partecipando a un progetto incentrato sui traumi causati dagli incidenti stradali in Malawi.
Il tasso di mortalità stradale nel Paese è di 35 morti ogni 100.000 abitanti, una cifra ben al di sopra della media regionale africana di 26,6 decessi e due volte superiore alla media globale di 17,4. Nel 2018, la polizia ha riferito un aumento del 35% degli incidenti stradali; ultimamente, ad esempio, il Distretto di Ntcheu (al centro del Malawi) si sta ancora riprendendo dopo che lo scorso marzo un camion si è schiantato sulla folla durante il mercato di Kampepuza causando la morte di 20 persone.
La nostra risposta si chiama Safe Roads Africa, un gruppo di sostegno interdisciplinare costituito da medici, ricercatori, ONG e operatori comunitari provenienti dalla Scozia e dal Malawi. Grazie a questo progetto, abbiamo organizzato iniziative temporanee e incontri comunitari in due zone del Paese. Attraverso i giochi di ruolo e il teatro comunitario abbiamo cercato di capire come le persone reagiscano agli incidenti stradali e come possa essere migliorata la situazione. Abbiamo avviato questi eventi anche nel vicino Zambia e i risultati ottenuti sono stati incoraggianti.
In entrambi i Paesi, nelle zone particolarmente a rischio, il progetto spera di poter avviare l’anno prossimo corsi di formazione per i locali affinché diventino esperti di sicurezza stradale. In questo modo, i cittadini promuoveranno le migliori pratiche e forniranno alle vittime stradali interventi di primo soccorso sostenibili.
L’obiettivo è quello di estendere questo programma a tutta la regione. Ma sicuramente interventi comunitari simili non sono altro che soluzioni parziali dinanzi a un problema più grande. Non esistono risposte facili, ma la speranza è che con il tempo attraverso continue azioni di sensibilizzazione ed essendo determinati a non perdere questo slancio (una volta conclusosi il decennio di azioni dell’ONU), questo grave problema possa finalmente fare marcia indietro.