L’umanità dilapidata, la speranza sta nei “giusti”

Quest’anno, ormai concluso, si sono celebrati i 70 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ma il verbo celebrare non è adeguato. Penso che questa parola debba esprimere non solo l’ufficialità di un evento ma anche la gioia e la partecipazione che dovrebbero accompagnarlo. Invece, non c’è molto da gioire.

L’erosione dei diritti è costante e sempre più rapida. Ovunque. Non solo in continenti storicamente critici, come l’Africa. Se c’è una cosa che accomuna molti Stati, Governi, Istituzioni è oggi la degenerazione della giustizia sociale.

In fase di sgretolamento – per esempio – il diritto al lavoro e dei lavoratori.

Il tasso di disoccupazione in Europa è del 6.8% (in Italia del 9.7%). Ma poi c’è la società dei consumi e del benessere i cui risultati portano a situazioni esplosive. Guardiamo a quanto sta accadendo in Ungheria, per stare a questioni recenti, dove è stata emanata una nuova legge che impone 400 ore extra di lavoro annuali al posto delle precedenti 250.

Gli oppositori parlano di “schiavitù” anche se la vera schiavitù è quella delle spose bambine, delle vittime di tratta, dei bambini impegnati nelle miniere (cito a caso).

Restando nella nostra Europa, dalla Francia sono arrivate proprio in questi giorni – grazie ai social più che ai media ufficiali – immagini che fanno rabbrividire. Di forze dell’ordine scatenate contro civili che esercitano un diritto, quello di protestare. Nota da tempo è la violenza brutale della polizia americana ed è assodato che sia legata a una componente razziale. Neri, soprattutto, e ispanici, pur essendo la percentuale più bassa della popolazione rappresentano invece quella più alta in termini di vittime, spesso a sangue freddo.

Manifestazione di protesta in USA. Foto dell’utente Flickr The All-Nite Images, rilasciata in licenza CC

E abbiamo imparato a conoscere anche il dark side, l’aspetto buio delle nostre forze dell’ordine. Bolzaneto. Stefano Cucchi, Federico Aldovrandi, violenze sessuali con indosso la divisa… Le violazioni dei diritti non si contano, anche nel nostro Paese, appunto. In ogni ambito, in ogni luogo. Particolarmente vergognoso è stato il caso del rifiuto del cibo nelle mense scolastiche per i figli di immigrati. Bambini poi riammessi alla mensa grazie a una raccolta fondi da parte degli italiani e non certo per volere del Comune di Lodi e della sindaca leghista. (Registriamo con sollievo che la giustizia in questo caso ha fatto il suo corso)

La violenza sessuale e i femminicidi, le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, la violenza psicologica e fisica generata da discorsi d’odio e discriminazione razziale. Ma anche le azioni che mettono in gioco il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, le condizioni di detenzione e, appunto, l’uso eccessivo della forza e maltrattamenti. Sono alcuni dei temi su cui ha lavorato il Centro diritti umani dell’Università di Padova che nell’Annuario 2018 individua carenze e violazioni del nostro Paese. “Si assiste a politiche regressive da parte dell’Italia” si afferma. E a proposito dei femminicidi è impressionante il dato ufficiale delle Nazioni Unite: nel solo 2017 sono state uccise 87mila donne in tutto il mondo. Nel 60% dei casi l’omicida era un partner o un membro della famiglia.

Passando alla gestione della giustizia e alle condizioni delle carceri e su violazioni di ogni genere, esercitate anche dalle stesse Istituzioni, molte sono state negli anni le condanne arrivate all’Italia dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo). O sentenze che poi non generano cambiamenti. Anzi. È di qualche anno fa, definita all’epoca una sentenza storica, la condanna dell’Italia da parte della CEDU per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. In sostanza la Corte condannava l’Italia per i respingimenti in Libia dei migranti.

Una sentenza che non ha insegnato, semmai pare avere incattivito certa politica basata sulle paure, le discriminazioni, le esclusioni. Pensiamo solo alla raccapricciante situazione nei lager libici lontano da telecamere e testimoni. Ne disegna un quadro drammatico l’ultimo report delle Nazioni Unite – reso noto il 18 dicembre 2018 – che parla di “inimmaginabili orrori” che vedono vittime rifugiati e migranti. Omicidi, torture, detenzioni arbitrarie, schiavitù, violenze sessuali, lavoro forzato ed estorsioni. Questo è ciò che accade in quei luoghi.

Nonostante ciò, noi in Italia abbiamo approvato il Decreto Sicurezza, i cui effetti si fanno già vedere. Andrebbe meglio definirlo Decreto Disumanità. Domande di asilo drasticamente ridotte, respinte 4 su 5, come conseguenza dell’abolizione della protezione umanitaria, decine e decine di persone buttate letteralmente in strada, perché i centri di accoglienza non possono più tenerli. Homeless dalla pelle scura che si vanno ad aggiungere a quello 0,2% della popolazione di senzatetto italiani (le ultime stime parlano di oltre 51mila persone) e ai 5 milioni di italiani che vivono in povertà assoluta (6,9% delle famiglie) e a quei 3 milioni 171 mila che vivono in stato di povertà relativa (28,9% – dati Istat).

E sono tanti altri gli effetti deleteri che questo decreto andrà a provocare. Non potremmo permettercelo in una società in cui già l’indifferenza e la cattiveria si stanno espandendo. Non potremmo permettercelo, ecco perché qualcuno si è messo da subito a lottare, come padre Alex Zanotelli che ha lanciato una petizione, accompagnata da una lucida analisi sui danni di questo atto di Governo.

Sì, è proprio di questi tempi che bisogna alzare la testa. Diventare protagonisti di un cambiamento. Che, visti i tempi, non sappiamo quando sarà visibile. Di sicuro sono visibili la forza, il coraggio e le capacità di due figure che si ergono come dei giganti nella mediocrità di chi espande il male. Parlo dei due Nobel per la Pace 2018, il dottor Denis Mukwege e la giovane Nadia Murad.

Due attivisti nello stesso campo: l’uso della violenza sessuale come arma di guerra. Non c’è un modo più atroce, lacerante, distruttivo, umiliante per colpire le donne e intere comunità. Atto frequente e che dà la misura di quanto, in questi 70 anni dalla Dichiarazione dei Diritti Umani, si sia dilapidata l’umanità.

Dalla Republica Democratica del Congo – dove il dottor Mukwege cerca di rimettere in piedi, in vita, donne, ragazze, bambine distrutte dalla violenza brutale dei loro violentatori e seviziatori – all’Iraq, dove il popolo yazidi, in particolare le donne, sono state per anni vittime di esclusione e discriminazione e dove nel periodo in cui l’ISIS occupò molte delle città, si svolsero le violenze più incredibili. Rimaste ancora impunite. Da lì viene Nadia Murad, che a 21 venne rapita insieme ad altre ragazze, mentre tutt’attorno avveniva un massacro, e fatta schiava sessuale.

Dal Sudamerica tra il 1976 e il 1986, tempo di dittature, non dimentichiamolo, al Rwanda durante il genocidio del 1994.  E poi la Sierra Leone, la Liberia, la ex Yugoslavia. Ma è anche in tempo di pace che viene perpetrata questa forma di violenza che si richiama a dinamiche di potere e annientamento. Pensiamo alle “missioni di pace” dei Caschi Blu nella Repubblica Centrafricana, tramutatesi in orrore per ragazze e ragazzi abusati o a quelle ad Haiti o in Sud Sudan. Medesimo copione.

Militari in Sud Suda. In questo Paese, tormentato dal conflitto, sono stati compiuti frequenti abusi contro donne e minori, anche da parte di chi aveva il compito di proteggerli. Foto UNMISS, tratta da Flickr e rilasciata in licenza CC

Là dove ci sono conflitti – come si fa a dimenticare, per esempio, che in Yemen dal 2015 sono almeno 85.000 i bambini morti per fame -, là dove c’è sperequazione sociale, abuso di potere, distruzione dei territori e delle popolazioni per seguire l’economia del profitto – come nella foresta amazzonica o il land grabbing in varie parti del mondo – là ci sono violazioni dei diritti. Non esistono luoghi sicuri. Nemmeno più in quest’Europa divisa ed egoista. Non esistono luoghi sicuri, ma sicuramente abbiamo una scelta. Quella di decidere da che parte stare.

Come lo ha deciso Omar Abdel Jabar, un nome che quasi nessuno di noi conosce. Omar è l’uomo che, insieme con la sua famiglia, ha salvato Nadia Murad, le ha dato ospitalità quando è riuscita a fuggire dai suoi violentatori e carcerieri e l’ha aiutata a lasciare il Paese. A discapito della sua sicurezza. “Ho fatto solo quello che era giusto fare” ha dichiarato in seguito. “Chiunque lo avrebbe fatto“. Sì, quello che era giusto fare. Ma non sono convinta che chiunque l’avrebbe fatto. Mancano le prove. Anzi, in questo nostro mondo, ci sono troppe prove del contrario.

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Le lectures tenute da Denis MukwegeNadia Murad in occasione del conferimento del Nobel, sono testimonianze che raccontano tutto il valore di un essere umano, ma anche la sua bruttura, violenza, malvagità. Letture che andrebbero fatte a scuola. Sarebbe importante.

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

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