[Articolo di Marinella Colombo, laurea in Lingue e letterature straniere, Master in Tutela, diritti e protezione dei minori, membro della European Press Federation, responsabile per diverse associazioni dell’ambito delle sottrazioni internazionali e dei rapporti con le istituzioni europee.]
Attualmente si dibatte molto di separazioni e di affido, ma si dimentica purtroppo il diffuso fenomeno delle sottrazioni internazionali, o meglio lo si affronta da un punto di vista unilaterale. Tale punto di vista non può portare a nessuna proposta concretamente risolutiva, proprio perché incompleto.
In altre parole, non si può pensare di risolvere il problema delle sottrazioni internazionali prevedendo solo di inasprire le pene in Italia e omettendo completamente il fatto che gli altri Paesi non hanno ratificato le Convenzioni internazionali nello stesso modo in cui lo ha fatto l’Italia e non hanno neppure i nostri stessi codici di procedura, pertanto potranno legalmente omettere di applicare le condanne comminate in Italia, mentre potranno imporre nel nostro Paese quelle emesse dai tribunali stranieri.
Questo modo di procedere non riporterà a casa i bambini sottratti, al contrario ne impedirà definitivamente il rientro, come illustrato per esempio in questo caso.
Tra i Paesi che non restituiscono i bambini e trattengono anche i figli di coppie italiane non separate va annoverata la Germania, seguita dall’Austria, Paesi con ordinamenti familiari molto simili ed entrambi con la particolare caratteristica di prevedere per ogni bambino sotto la propria giurisdizione (quindi non solo bambini di nazionalità tedesca) un terzo genitore, il genitore di Stato, lo Jugendamt.
È emblematica la vicenda di questa coppia italiana che si sta ancora battendo per riportare a casa il primogenito.
Lo Jugendamt, letteralmente traducibile in lingua italiana come “amministrazione per la gioventù” è assolutamente privo di omologhi: istituito in ogni comune all’inizio del XIX secolo, nel 1939 fu riorganizzato nella sua forma odierna da Heinrich Himmler.
Esso opera nell’ambito delle autonomie municipali e non è sottoposto ad alcun potere amministrativo o giuridico da parte del governo federale, né ad alcun tipo di supervisione: pertanto, si può certamente affermare che detto ente si autocontrolla (si veda ad esempio la petizione n. 0979/2012 denominata “Beistandschaft“). Il suo personale non è tenuto a rispettare alcun codice deontologico né presta alcun tipo di giuramento. Interviene d’ufficio come parte – e non come consulente del giudice – in ogni procedimento in cui sia implicato un minore. Il giudice deve tener conto della “raccomandazione” dello Jugendamt prima di emettere qualsiasi tipo di decisione. Se il giudice non ottempera a quanto gli viene “raccomandato”, lo Jugendamt può presentare reclamo della decisione, cioè può fare ricorso.
Per anni si è tradotto erroneamente il termine “Jugendamt” con “servizio sociale” o “agenzia per la protezione dei minori”, ma è evidente che, dati i suoi poteri e il suo ruolo giuridico, una tale traduzione è assolutamente fuorviante.
La Commissione Petizioni del Parlamento europeo riceve, da almeno tre legislature, centinaia di petizioni di genitori non-tedeschi che denunciano la discriminazione subita nei tribunali d’Oltralpe. Essendo infatti chiaro che, in un Paese a bassa natalità, i bambini rappresentano non solo il futuro, ma una importante fonte di reddito, l’interesse dello Stato tedesco – interesse su cui veglia lo Jugendamt – è quello di trattenere tutti i bambini in Germania e di affidarli al genitore tedesco.
Per questo motivo ogni separazione vede attribuire l’affido al genitore tedesco, indipendentemente dalle sue capacità genitoriali. Una volta escluso il genitore non-tedesco che, per lingua e cultura non sarà mai in grado di educare “alla tedesca” il bambino, se quello tedesco a cui è stato attribuito l’affido non è in grado di occuparsene, il bambino verrà dato a coppie affidatarie tedesche. Queste coppie devono solo agire conformemente a quanto richiesto dallo Jugendamt e vengo reclutate con annunci sui giornali.
Essere una famiglia affidataria significa assicurarsi ingenti fonti di reddito, oltre ad avere agevolazioni per la costruzione della casa e più tardi per la pensione. È così che tutto ciò è diventato un business, in parte finanziato anche da noi, attraverso l’Unione Europea, con i progetti di sostegno a bambini e ragazzi. Quando dunque leggiamo che compito dello Jugendamt è vigilare sulle famiglie e sull’educazione che queste debbono impartire ai bambini, in conformità al Kindeswohl, dobbiamo avere ben chiaro che cosa significhi Kindeswohl.
Ben lungi dall’essere assimilabile al concetto di “interesse o bene superiore del fanciullo”, esso consiste nell’interesse o benessere sul bambino attuato attraverso il bambino, che coincide in definitiva con l’interesse della nazione tedesca o del popolo tedesco, perseguito sul o attraverso il minore (si veda la menzionata petizione n. 0979/2012). Questo concetto è ovviamente privo di definizione normativa, lasciando così spazio ad un assoluto libero arbitrio. Di fatto viene protetta la relazione Stato tedesco – bambino, a spese della relazione genitore – bambino.
Il sistema familiare tedesco prevede molte altre figure e concetti giuridici di cui i nostri ordinamenti sono privi. Per questo motivo anche le traduzioni, per esempio di Verfahrensbeistand o di Beistandschaft, sono generalmente erronee, perché il traduttore cerca un corrispondente in italiano e attribuisce traduzioni che hanno un ben diverso significato giuridico. Così facendo non solo si creano dei dati di fatto assolutamente falsi, ma si denigrano i cittadini italiani vittime di questo sistema che, solo in forza della traduzione, vengono fatti passare per asociali, problematici, in sostanza inidonei.
La maggior parte dei giudici italiani non è purtroppo al corrente di tutto ciò e neppure mostra interesse all’aggiornamento. Soprattutto insiste nell’atteggiamento di sottomissione che li porta a pensare (e di conseguenza ad agire) che tutto ciò che proviene dalla Germania sia perfetto e incontestabile. Così facendo regalano i nostri bambini alla Germania, con essi spostano ingenti capitali dall’Italia alla Germania, riducono sul lastrico i genitori italiani e in primo luogo rovinano l’esistenza dei piccoli che avrebbero dovuto essere il nostro futuro e che invece, a germanizzazione terminata, guarderanno all’Italia con disprezzo e nasconderanno, fino a cancellarla, la metà della loro identità.
La combinazione tra la volontà e le richieste di un Paese “aggressivo”, la Germania, pronto a trattenere con qualsiasi mezzo i bambini sotto la propria giurisdizione e uno che ha l’atteggiamento opposto, l’Italia, pronto a mandare i propri figli ovunque e a condannare su richiesta estera i propri connazionali, produce esiti come questo: