[Traduzione a cura di Anna Corsanello dall’articolo originale di pubblicato su The Conversation]
Negli ultimi anni la Russia ha difeso le minoranze russe all’estero e protetto la lingua russa con aggressività. Ogni volta che un Paese si muove in una direzione che può essere interpretata come intesa a sopprimere o emarginare chi parla russo, il Cremlino è pronto a rispondere nel tono più stridente.
Nell’ottobre 2017, quando il Governo della Lettonia ha scelto il lettone come lingua ufficiale dell’istruzione, Sergey Zheleznyak, rappresentante della Commissione per gli affari internazionali della Duma di Stato della Russia, non si è trattenuto. “La decisione di passare alla lingua lettone per l’insegnamento alle minoranze linguistiche nelle scuole della Lettonia è in violazione del quadro giuridico dell’Unione Europea e assomiglia a un genocidio linguistico,” ha affermato.
Tuttavia, solo tre mesi prima della furiosa affermazione di Zheleznyak, la Russia stessa aveva abolito l’insegnamento obbligatorio delle lingue minoritarie nelle scuole delle proprie “Repubbliche etniche” – un’iniziativa parte di un progetto molto più ampio che ha lo scopo di rivedere il modo in cui la Russia funziona e di allontanarsi dal multiculturalismo relativamente stabile che la Russia ha mantenuto per decenni. Considerato il suo mettersi in mostra riguardo ai diritti dei russi residenti all’estero, la pressione che il Cremlino pone sulle minoranze etniche in casa sembra pura ipocrisia.
Da quando è salito al potere 18 anni fa, Vladimir Putin ha diretto una trasformazione radicale del “federalismo etnico” della Russia, dove la maggioranza dei gruppi etnici ha la propria autonomia territoriale. Questo include l’effettiva eliminazione di uno degli ultimi elementi del vero federalismo russo, vale a dire la condizione delle lingue minoritarie nelle repubbliche etniche come seconda lingua ufficiale con uno status uguale alla lingua russa.
l Cremlino sta perseguendo con sempre maggiore impegno un programma di omogeneizzazione culturale che rimuove gradualmente il sostegno all’istruzione nelle lingue minoritarie, ai programmi didattici con componenti etnico-regionali e alle altre iniziative culturali provenienti dalle minoranze etniche. Allo stesso tempo tutte le attività politiche progettate per sostenere le identità minoritarie sono sotto pressione.
E come previsto, il Governo russo ha da poco approvato nuovi emendamenti a una legge sull’istruzione che renderanno facoltative le lezioni nelle lingue minoritarie nelle repubbliche etniche e che limiteranno il loro insegnamento ad un massimo di due ore la settimana. Queste misure accelereranno soltanto la scomparsa di queste lingue e assicureranno che la lingua russa rimanga preminente in tutto il Paese.
Sotto pressione
Fino all’estate del 2017, le lingue di minoranza erano materie obbligatorie nelle scuole nella maggior parte delle regioni etniche della Federazione Russa. A seconda della regione, il loro rilievo in classe variava da un’ora a settimana nella scuola primaria a parità di condizioni con la lingua russa per tutto il programma di studi.
Nel luglio scorso [luglio 2017,NdT], tuttavia, Putin ha tenuto un discorso alla riunione del Consiglio per le relazioni interetniche nella Repubblica dei Mari, una delle repubbliche etniche della Russia. In quell’occasione ha sottolineato come la lingua russa “non possa essere sostituita con qualsiasi cosa” e insegnare le lingue delle minoranze etniche sarebbe diventato facoltativo, per evitare la possibilità di “costringere qualcuno a imparare una lingua che non è la sua lingua nativa”. Nel settembre dello stesso anno, un ordine presidenziale speciale ha inviato la Procura generale a controllare le scuole nelle repubbliche etniche per verificare se lo studio delle lingue minoritarie fosse volontario o obbligatorio.
I primi controlli hanno avuto luogo in Baschiria e Tatarstan. Gli ispettori hanno scoperto che le lingue di minoranza in entrambe le repubbliche venivano insegnate su base obbligatoria. Di conseguenza, gli insegnanti sono stati licenziati in massa e l’insegnamento delle lingue delle minoranze etniche si è trasformato in una questione politica altamente sensibile.
Le proteste sono iniziate durante l’autunno nelle regioni etniche dove è avvenuto l’esame di procedibilità. Alcune delle prime dimostrazioni si sono verificate in Baschiria, dove più di 2.000 persone sono andate a protestare nella piazza principale della città di Ufa, anche se le autorità locali non avevano concesso loro l’autorizzazione. Quando la polizia ha cercato di porre fine alla manifestazione arrestando i principali attivisti, i manifestanti li hanno difesi con energia. Tuttavia, molte persone sono state arrestate.
Nel frattempo, gli attivisti tatari si sono visti rifiutare più volte il permesso per una manifestazione a Kazan, la capitale della Repubblica del Tatarstan. Numerosi attivisti hanno invece organizzato picchetti di una sola persona, l’unico modo per protestare in Russia senza previa autorizzazione da parte delle autorità. Alcuni di loro sono stati comunque arrestati dalla polizia. Altri hanno organizzato flashmob; in un’occasione un gruppo si è riunito di fronte al Consiglio di Stato Repubblicano a Kazan appena prima di una sessione speciale sulla questione della lingua. Hanno distribuito libri di testo con l’alfabeto tataro ai deputati che stavano andando alla sessione. Uno di loro si è commosso talmente per il regalo che ha cominciato a cantare una canzone in Tataro; la folla lo ha seguito.
Dopo questo evento, i partecipanti hanno ricevuto un avvertimento dai servizi di sicurezza circa l’inammissibilità di attività estremiste. Tutti gli studenti che si erano uniti al raduno sono stati minacciati di espulsione dalle loro università.
In Tatarstan e in diverse altre repubbliche etniche, ci sono stati altri tentativi di resistenza alle mosse dello Stato contro le lingue minoritarie, ma tutti questi tentativi si sono scontrati con le azioni preventive dei servizi di sicurezza o dei funzionari locali nominati da Mosca.
Ritorno di fiamma
Le restrizioni sulle proteste pubbliche e la distanza tra le varie regioni etniche hanno costretto gli attivisti provenienti da tutta la Russia a unirsi online, dove stanno facendo di tutto, dal presentare petizioni online congiunte a Putin al consultarsi a vicenda sui modi per combattere la pressione legale da parte delle autorità.
L’attivismo online è cresciuto rapidamente, con sempre più minoranze etniche che si uniscono. Infine, nel giugno 2018 è stata creata un’organizzazione ufficiale per promuovere il multiculturalismo e il federalismo, il Congresso democratico dei popoli della Federazione Russa.
La cosa più importante è che la resistenza online si sta diffondendo tra la gente comune. Molti hanno iniziato a condividere diversi meme e opinioni sulle questioni linguistiche; alcuni hanno iniziato a utilizzare di più le loro lingue native nella comunicazione online, sia come atto simbolico, sia come mezzo per eludere i servizi di sicurezza, i quali si pensa lavorino solo in russo.
Una campagna particolarmente influente ha visto l’immagine qui accanto, accreditata a Radik Musin e Ivan Pivovarov, ampiamente condivisa con l’hashtag #StopLanguageGenocide, riferendosi a tutte le lingue di minoranza della Federazione Russa. È stata seguita da altre campagne online in diverse repubbliche, ciascuno a difesa della propria lingua.
In un Paese vasto e diversificato come la Russia, l’assimilazione dall’alto verso il basso è un modo mediocre di sostenere lo spirito di unità nazionale. Le politiche di assimilazione incontreranno sempre una certa resistenza, e la fortificheranno persino; in questo caso, il risultato è un accavallarsi di iniziative della gente comune contro i piani del Governo. Sembra che gli sforzi di quest’ultimo per omogeneizzare la Russia da Est a Ovest stiano rafforzando esattamente il tipo di identità che avrebbero dovuto emarginare.