Si continua a morire al Parco Virunga, in Repubblica Democratica del Congo. L’11 maggio scorso il rapimento di un gruppo di turisti a Nord della città di Goma, turisti liberati dopo un paio di giorni. Purtroppo l’azione ha anche avuto, come conseguenza, l’omicidio delle guardie accompagnatrici. Solo il mese precedente, il 9 aprile si era verificato un altro grave assalto con l’uccisione di 5 ranger (ferito grave un sesto guardaparco) da parte dei MaiMai, lo spietato gruppo di ribelli locali avvezzo al cannibalismo e temutissimo perché ritenuto “immune” ai proiettili dei nemici grazie – dicono – a segrete pratiche di stregoneria.
La sopravvivenza del più antico parco dell’Africa, fondato dai Belgi nel 1925 e considerato come una delle più sbalorditive meraviglie del pianeta, continua ad essere appesa a un filo. Avvicinandosi il momento delle elezioni in Repubblica Democratica del Congo – se effettivamente a dicembre 2018 si andrà alle urne sarà la quarta volta dal 1960 – crescono instabilità e violenza nel Paese, in una situazione che sembra essere sempre più simile a quella della guerra civile vissuta tra il 1997 e il 2003, quando ci furono 5 milioni di morti e per il Virunga la decimazione della propria fauna.
Il Parco, che ospita circa 480 degli 880 gorilla di montagna o “silverback” rimasti al mondo e la metà della biodiversità dell’Africa Sub-Sahariana, tra cui elefanti, leopardi, okapi, bufali, leoni, è costantemente preso di mira da bracconieri e milizie armate: nel 2008, quando Emmanuel De Merode è diventato il nuovo direttore del Parco, avevano quasi messo la parola fine alla sopravvivenza del Virunga.
Ma a minacciare questo paradiso concorrono anche la rapida crescita della popolazione locale e la povertà, che spingono sempre più persone a entrare all’interno dei suoi confini per cacciare, abbattere alberi per farne carbone vegetale o cercare minerali da estrarre (la regione è famosa per la presenza del coltan, ma non solo). Come se non bastasse, il Virunga si è anche trovato ad affrontare l’avidità delle compagnie petrolifere, come ben dimostrato dall’omonimo documentario volto a denunciare il fenomeno, con la britannica Soco impegnata in uno sporco gioco volto a finanziare i guerriglieri e i bracconieri locali per estinguere i gorilla dalla riserva e porre così fine al principale freno allo sfruttamento del petrolio.
Ma se per il Virunga la situazione resta difficile, non se la passano certo meglio gli altri parchi della Repubblica Democratica del Congo, meno conosciuti e quindi più inclini a cadere nell’oblio di un’opinione pubblica distratta e sempre più anestetizzata dai problemi del mondo. Le stesse minacce che incombono sul Virunga – bracconaggio, distruzione dell’habitat, presenza di milizie armate e ricerca di minerali preziosi -,non risparmiano nemmeno il parco Kahuzi-Biega e la riserva Itombwe, habitat degli ultimi 4.000 gorilla orientali di pianura, una sotto-specie di gorilla sempre più prossima all’estinzione.
Sempre nell’Est del Paese, i continui attacchi dei MaiMai all’Okapi Wildlife Reserve, situata all’interno dell’Ituri Forest, centro culturale per gli “ultimi uomini della foresta”, i pigmei Mbuti ed Efe e sede di uno degli animali più bizzarri del mondo, l’okapi, hanno fermato il turismo, una delle poche speranze per frenare la deforestazione, l’estrazione dell’oro, le scorribande di gruppi armati e il bracconaggio all’interno della riserva. Anche per questo animale ci troviamo di fronte a un netto declino, con una popolazione che nel 2013 si stimava essere pari a 15.000 esemplari rispetto ai 35.000 del 1998.
In Congo si trova anche uno dei luoghi più incontaminati al mondo, il Salonga National Park, che con 36.000 kmq è grande quanto Veneto e Lazio messi insieme e rappresenta il più grande parco africano. In questo santuario si trovano specie uniche e a rischio d’estinzione, come l’endemico pavone congolese – se ne stimano dai 2.500 ai 9.000 esemplari – o una convivenza unica al mondo, ovvero quella fra elefante della foresta e bonobo (vi si trova il 40% della popolazione mondiale).
Questo habitat ancora selvaggio è anche l’ultimo luogo nel Paese che ha la capacità, se si riuscirà a contenere il bracconaggio e la deforestazione, di ripristinare la popolazione degli elefanti della foresta, con gli scienziati che ne ipotizzano sempre più prossima l’estinzione, dopo gli ultimi studi che dal 2002 registrano un declino del 60% per questa specie. Oltre al bracconaggio per soddisfare la domanda asiatica di avorio, questa specie è minacciata dalla continua degradazione dell’habitat in cui vive, laddove le cause sono sempre le stesse: l’industria del legname e l’agricoltura, in particolare la “slash-and-burn agriculture”.
Insomma, analizzando la disastrosa situazione ambientale della RDC, pare proprio che non ci siano parchi o riserve naturali la cui situazione non sia peggiorata. Ovunque, la pressione di una popolazione che sta vivendo una crescita esponenziale (da poco più di 15 milioni di congolesi del 1960 siamo passati ai 36 milioni del 1990 e gli oltre 77 milioni del 2014) e la fame di risorse naturali di Europa, Cina e Stati Uniti hanno distrutto la biodiversità del cuore dell’Africa.
Emblematico è il caso della Riserva e Dominio del Bombo Lumene. Creata nel 1968 nel Plateau de Batéké, a circa 150 km a da Kinshasa, aveva come obiettivo quello di preservare una ricca varietà di mammiferi tipici delle savane africane: vi si potevano infatti trovare, tra gli altri, elefanti, bufali, ippopotami, leoni. Ma decenni di caccia indiscriminata – il bacino del fiume Congo è la principale fonte di approvvigionamento di selvaggina o bushmeat – e ricerca del legname per fare il carbone vegetale, ma anche l’avanzata dell’agricoltura, hanno praticamente estinto la ricca fauna di un tempo. Così oggi non rimane che qualche sparuto esemplare di antilope.
Le cause della distruzione di un patrimonio di tutta l’umanità, quale era e in parte rimane l’eccezionale biodiversità del Congo sono diverse, alcune complesse e altre meno, ma sicuramente tutte legate a un modello di società non più sostenibile, laddove il continuo aumento della popolazione e i consumi sfrenati dei Paesi ricchi stanno rendendo sempre più insostenibile anche la miserabile vita del congolese medio.
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