Altra settimana controversa per la Casa Bianca. D’altronde controversie e polemiche sono oramai una costante di questa fase storica statunitense. A partire dalla prevista approvazione anche alla Camera (con 215 voti a favore e 205 contrari, in base alle linee di partito) dell’eliminazione della normativa che imponeva ai provider Internet (ISP) di ottenere il consenso degli utenti (“opt-in”) per poter vendere alle agenzie pubblicitarie i loro dati personali, la cronologia delle ricerche o le app scaricate.
Già avviati i ricorsi legali delle associazioni digitali pro-consumatori, a partire dalla Electronic Frontier Foudation (Eff), che denuncia il rischio di essere controllati in ogni aspetto della nostra vita e la messa a repentaglio della sicurezza informatica. “La Eff continuerà la battaglia per ripristinare il diritto alla privacy su tutti i fronti“, si legge nel comunicato diffuso a caldo, mentre su Twitter abbondano i commenti negativi e la pianificazione delle proteste.
Secondo FreePress si tratta solo della premessa all’abolizione di una norma sacrosanta per la cittadinanza digitale, la Neutralità della Rete (come conferma ora anche il New York Times). E la stessa FreePress è tra i gruppi d’opposizione più attivi su questo fronte, citando tre diversi disegni di legge repressivi e invitando a firmare una lettera diretta al Congresso affinché…
…blocchi quest’attacco contro norme appositamente mirate a tutelare la neutralità di internet, il Primo Emendamento, la sicurezza pubblica e l’ambiente. Queste proposte di legge puntano a stravolgere le norme a favore delle mega-corporation, rendendo sempre più arduo per le agenzie federali, come la Fcc, proteggere il pubblico in futuro.
Oltre a favorire i grandi provider e inserzionisti a danno degli utenti, la risoluzione sugli ISP appare comunque inutile – chiarisce Mark Weinstein, noto giornalista e sostenitore della privacy, in un’analisi sul settimanale The Nation:
questa policy non serve proprio a niente. Non fa nulla per raggiungere il giusto equilibrio tra privacy individuale e sicurezza nazionale. Danneggia la nostra sicurezza e cede a terzi il controllo dei dati personali.
Tra l’altro va notato che questa è la prima legislazione approvata da entrambi i rami del Congresso sotto la nuova Amministrazione, e neppure faceva parte delle riforme portanti del Partito Repubblicano, come quelle sull’immigrazione o sulla sanità (appena fallita). Già, perché a oltre metà dei suoi primi 100 giorni di governo Trump ha emesso solo svariati ordini esecutivi che poi, come nel caso del cosidetto “travel ban” sono stati inficiati dai giudici oppure richiedono specifiche misure normative, come il famigerato muro con il Messico. E suscitando forti critiche da parte dell’opinione pubblica anche per via di queste modalità affrettate, tese a smorzare ulteriormente il dibattito collettivo.
Subito partite le proteste (e il sarcasmo) sui social media, insieme alle puntualizzazioni degli esperti. Fra questi, Jacqueline Patterson, responsabile del NAACP Environmental and Climate Justice Program, rimarca due punti sostanziali: “l’energia a base di carbone è il fattore numero uno dell’effetto serra… [e] dal 1968 in Usa oltre 76.000 lavoratori nelle miniere di carbone sono morti per cancro ai polmoni“.
Una manovra che vuole esplicitamente azzerare il ministero dell’Energia, dove secondo fonti interne è sconsigliato (se non proprio vietato) l’uso di termini quali “cambiamento climatico”, “riduzione delle emissioni” oppure “accordo di Parigi”. Le testate conservatrici insistono invece sulla drastica riduzione di fondi e portata dello stesso Ministero, perché “mette il becco in molte più attività di quanto dovrebbe”, sostiene The Daily Signal.
Neppure va dimenticato che, per aggiungere altre controversie allo scenario attuale, continua a ribollire il “Russiagate”, dove va emergendo un chiaro tentativo di depistaggio. Come rimarcano prestigiose testate, tra cui il settimanale New Yorker, è ormai chiaro che la Casa Bianca e Devin Nunes, responsabile della Commissione sull’Intelligence della Camera, “hanno operato di comune accordo per bloccare quella che finora era stata definita l’approfondita indagine sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali“.
Un quadro poco allegro che trova riscontro nel nuovo sondaggio al ribasso sui rating d’approvazione di Trump: 35 per cento. Secondo un poll della Gallup, è il livello più basso mai registrato da un presidente all’inizio del mandato, inferiore anche a quello di Nixon all’epoca dello scandalo Watergate e di George W. Bush dopo il disastro dell’uragano Katrina. Eppure bisogna chiedersi: i cittadini del Paese più potente e influente al mondo sono davvero interessati a tutto ciò, e quanto? Quali le possibili ripercussioni nei tempi medio-lunghi sulla stessa Presidenza?