A Nebek i combattimenti della drammatica guerra civile siriana sono finiti. Il conflitto sembra oggi lontano, lasciando in uno stato di apparente calma questa cittadina della Siria, a circa 80 km a nord di Damasco e a sud di Homs. La vita quotidiana è scandita dalla difficoltosa e disperata ricerca di esaudire i bisogni primari per sopravvivere. Una difficoltà presente anche in altre cittadine siriane che si trovano spesso in situazioni ancora più gravi.
Tante e profonde, infatti, sono le ferite lasciate aperte dalla ferocia della guerra che qui si è scatenata nel dicembre 2013. Quando a Nebek sono arrivati gli attacchi, il quartiere cristiano è stato interamente distrutto. Violenza e devastazione si sono abbattute su tutta la popolazione, non solo sulle persone di fede cristiana che qui sono una minoranza (120 famiglie). Sono passati più di tre anni da quei giorni così difficili e la città fatica giorno dopo giorno per ricostruire una seppur debole normalità. Il grande dramma per le persone che subiscono la guerra è proprio quello di riappropriarsi di una vita normale.
“Il quotidiano è il problema più grave oggi qui.” Così racconta Suor Deema, monaca siriana della comunità Deir Mar Musa, dedita soprattutto al dialogo interreligioso tra Cristianesimo e Islam e il cui monastero si trova proprio nella regione desertica di Nebek, a circa 17 km dalla cittadina.
Testimone preziosa della vita siriana di questi tempi, la monaca sottolinea che nei luoghi considerati tranquilli perché non più afflitti dai combattimenti, la povertà e le difficoltà economiche si manifestano in modo drammatico. Dopo gli scontri la maggior parte delle famiglie e dei giovani hanno deciso di continuare a vivere nella loro città, Nebek, dimostrando coraggio e buona volontà. Eppure oggi essi appaiono allo stremo delle forze fisiche, economiche, psicologiche.
Nella Siria attuale, in generale, i beni di prima necessità scarseggiano e per acquistarli spesso l’unica soluzione è affidarsi al mercato nero che offre la merce a prezzi esagerati. La mancanza di beni disponibili nei normali canali di vendita costringe le persone a cedere dinanzi all’attività così ingiusta della borsa nera, che controlla lo scambio di gas per il riscaldamento domestico, di generi alimentari e altro. La forbice tra ricchi e poveri è molto accentuata e tante sono le famiglie che iniziano la giornata con l’angosciante pensiero di trovare cibo per i propri figli.
Anche le cure mediche rappresentano un’emergenza. Le strutture ospedaliere presenti non riescono a fornire adeguata assistenza a tutti i bisognosi di cure, a causa di mancanza di attrezzature e di medicine. I bombardamenti hanno distrutto e bruciato le grandi fabbriche farmaceutiche ad Aleppo, e oggi reperire l’occorrente anche basilare per medicazioni e cure è un’impresa ardua. Tutto il necessario per curarsi costa moltissimo ed è quindi poco accessibile. Intanto, lo stato di salute delle persone coinvolte nella guerra non è affatto rincuorante.
Come racconta Sour Deema, i profughi che arrivano da Homs, se nei primi anni erano colpiti soprattutto da infarti e da problemi cardiaci dovuti forse allo shock dei bombardamenti, ora sono affetti soprattutto dal cancro. La difficoltà di costruire una vita normale e la condanna a vivere alla giornata provocano probabilmente uno stress e una tensione prolungate e laceranti, anche per il fisico.
La povertà materiale non è l’unica emergenza. La guerra e l’atmosfera di terrore che ormai si respira in tutta la Siria hanno avuto e continuano ad avere devastanti conseguenze umane, relazionali, psicologiche. “Come trattare la paura?” Questa è la domanda che Suor Deema si pone, cercando una risposta sentita come urgente nelle varie comunità, come quella di Nebek e non solo, che si sono chiuse in un atteggiamento di diffidenza verso l’altro. La ferocia nelle uccisioni ha ferito il rapporto di fiducia tra le persone, generando un clima di terrore, dove l’altro, anche se vicino di casa, potrebbe trasformarsi in un nemico. E questo è senza dubbio uno degli effetti più tristi che una guerra lunga e logorante come quella siriana provoca sulla società. Ricostruire le relazioni è quindi fondamentale per provare a ripartire nel segno della pace e della solidarietà. A Nebek si sta percorrendo questa strada. Con determinazione e fatica, persone come Suor Deema lavorano incessantemente per una ricostruzione materiale e soprattutto dei rapporti umani.
Piccoli ma preziosi passi verso la convivenza pacifica sono stati già fatti. Collaborando con alcune associazioni, Suor Deema e la sua comunità hanno donato un generatore di corrente all’ospedale di Nebek. Il gesto è stato molto apprezzato da tutta la comunità cittadina cristiano-islamica. In occasione delle festività natalizie, l’ospedale è stato abbellito dalla gente della città con due alberi addobbati rispettivamente secondo le tradizioni cristiana e musulmana. C’è stata una grande festa comunitaria, a testimonianza della possibile convivenza tra le differenze. Suor Deema non si stanca di ripetere che sottolineare questi gesti volontari della gente è importante, perché alimentano la speranza per costruire rapporti solidali duraturi nel quotidiano. “Qui basta una piccola storia negativa per far compiere un passo indietro e far cadere di nuovo nella paura e nella chiusura l’intera città.” La solidarietà civile a volte si manifesta in rari episodi, ma questi sono spiragli per educare alla responsabilità di ognuno verso l’altro, verso la propria comunità, verso la pace.
Quando nel 2013 Nebek è stata assediata, alcune famiglie musulmane hanno protetto i vicini cristiani dinanzi alla minaccia dei militanti, accogliendoli nelle proprie case e salvandoli da una sicura uccisione. Questa è la prova di quanto la percezione dell’altro come confratello o semplicemente come persona con pari dignità possa condizionare in modo costruttivo la realtà.
Aprire gli occhi delle persone è, dunque, la priorità nella ricostruzione secondo Suor Deema. Si può ridare un futuro dignitoso alla Siria innanzitutto convincendo tutti i suoi abitanti, cristiani e musulmani, che ognuno è artefice della pace nel suo piccolo. La fine della guerra è legata indubbiamente alle decisioni politiche a livello nazionale ed internazionale, dove intrecci di interessi e ideologie sono difficili da sciogliere. Eppure, senza relazioni rispettose tra abitanti di uno stesso territorio, la fine del conflitto non porterebbe la pace, ma rancore e violenza.
Il significato di ricostruzione che Suor Deema e tanti collaboratori intendono per Nebek e per il territorio siriano in generale è, quindi, a 360 gradi. A livello materiale, sono state già restaurate case per famiglie cristiane e musulmane secondo un progetto iniziato nella cittadina prima del conflitto, con lo scopo di offrire soluzioni abitative a costi sostenibili per persone cristiane e musulmane. Altri importanti progetti per giovani studenti e lavoratori sono in corso.
Rispondere ai bisogni primari, far ripartire la piccola imprenditoria locale e dare una prospettiva futura agli abitanti, soprattutto alle giovani generazioni, è di vitale importanza affinché la città non sia soffocata da una povertà davvero grave. Sul piano relazionale ed emotivo, la ricostruzione si traduce in incentivi alla solidarietà, fiducia, positività. I bambini, per esempio, sono stati coinvolti in una scuola di musica e in attività estive, per stimolare sentimenti positivi ed educare alla bellezza e spensieratezza necessarie per una crescita infantile sana e senza tensioni.
La parola chiave è fidarsi dell’altro rispettandolo, senza pregiudizi legati all’appartenenza religiosa. È la sfida con maggiori ostacoli, poiché a volte le ferite del lontano passato nella relazione cristiana-islamica riemergono, scatenate dal sentimento di paura verso l’altro, che potrebbe diventare una minaccia.
A Nebek la lunga e difficile strada dell’incontro e della fiducia è iniziata, grazie anche a chi non si arrende alla violenza come Suor Deema. L’ottimismo si fonda sulla convinzione che la pace vera si costruisce prima nei piccoli territori locali, tra la gente, poi attraverso gli accordi tra potenze.