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Il coltan e le vittime della nostra ricchezza

Miners in Luwowo Coltan mine.

[Quelle che pubblichiamo in questa pagina sono alcune foto di un ampio reportage di Stefano Stranges, fotografo indipendente italiano. Specializzatosi nel 2012 con un Masterclass della Magnum Photo, i suoi lavori sono focalizzati sulla reportagistica sociale, principalmente attraverso collaborazioni con organizzazioni umanitarie e riviste del settore. Attualmente è impegnato in un lungo reportage sulla filiera del coltan, dal quale nasce la mostra itinerante “The victims of our wealth“, finalista al Sifest Premio Pesaresi 2016]

Minatori al lavoro presso la miniera di coltan di Luwowo.

Il coltan è un minerale che ognuno di noi porta in tasca, oggetto di una lunga catena commerciale che implica pesanti conseguenze sui diritti umani e ambientali.

Utilizzato nella produzione di svariati materiali di alta tecnologia, questo minerale è soprattutto fondamentale per la realizzazione degli smartphone. Il consumo compulsivo e il rinnovo costante di questi oggetti, alimentato dal bombardamento mediatico delle campagne pubblicitarie, ha fatto sì che dalla fine degli anni ’90 il commercio del coltan sia cresciuto in modo esponenziale.

Da qui gli sfruttamenti da parte delle grandi multinazionali e le conseguenze catastrofiche nei confronti delle popolazioni di territori come la Repubblica Democratica del Congo, che di questo minerale è una delle più grandi riserve al mondo.

L’area del Masisi, in Nord Kivu, è a prima vista una landa paradisiaca, dai verdi prati ricchi di pascoli e di terreni acquistati per lo più dai ricchi politici e imprenditori del Paese. Al suo interno però il paesaggio è interrotto da migliaia di tende di plastica bianche dei campi profughi affollati di famiglie che scappano dai vicini villaggi in un contesto caratterizzato dalla presenza di gruppi ribelli mossi dalla sete di potere.

La mancanza sostanziale di alternative per sopravvivere e lo scarsissimo livello di scolarizzazione costringe la popolazione di tutto il territorio ad essere schiava all’interno delle loro terre e a lavorare come minatori, con livelli di sicurezza pari a zero.

I villaggi a ridosso delle miniere, come ad esempio Rubaya, sono abitati da centinaia di famiglie spezzate, dove una vedova o una madre spesso non possono nemmeno piangere il corpo del proprio caro, sepolto e abbandonato dentro le voragini della montagna. I diritti e i sostegni di queste donne da parte delle compagnie minerarie sono inesistenti; gli aiuti per sopravvivere arrivano soltanto dalle ONG che operano sul campo.

Questa prima parte di un più ampio reportage è stata realizzata grazie al supporto logistico della Onlus “Tumaini – Un ponte di solidarietà” e della ONG/Onlus “Incontro fra i popoli“.

Nel maggio 2016, una selezione delle immagini è stata proiettata presso il Palazzo della Regione Friuli Venezia Giulia a Udine grazie al supporto dell’ONG “ACRA” e presentata insieme all’attivista congolese John Mpaliza, da anni impegnato in attività volte a sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni sui sanguinosi conflitti e le ingiustizie sociali che affliggono la RDC.

Il supporto di “Incontro fra i popoli” ha inoltre consentito la produzione di una mostra fotografica, presentata in diverse sedi italiane e tutt’ora itinerante.

Attualmente la mostra è ospitata negli spazi dell’Ex Fornace Carotta a Padova, fino al 16 dicembre.

Il 10 febbraio 2017 sarà invece inaugurata all’Urban Center di Rovereto, in quest’occasione – il 22 febbraio – si potranno incontrare l’autore delle foto e John Mpaliza.

[A questo link la galleria fotografica del lavoro e gli aggiornamenti sul progetto.]

Feresita vive nel Campo rifugiati di Rubaya. Lei è stata ferita al volto, suo marito invece è stato ucciso durante la guerra.
Minatori al lavoro presso la miniera di coltan di Luwowo.
Minatore presso la miniera di coltan di Luwowo. L’attività richiede di scavare nelle profondità della montagna per 10-15 metri, dove si trova il minerale più puro.
Vedova di un minatore a Rubaya. Senza alcun diritto, e senza assistenza dalle compagnie minerarie, alcune donne hanno perso sia il marito che i figli, sepolti dalla montagna.
Cartellone pubblicitario sulla strada di Bukavu.
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