Voci Globali

Kordofan, l’alba della terza guerra civile sudanese

Era il 2011 quando la situazione e lo scenario sudanese cambiavano nuovamente. Il Sudan del Sud, dopo anni di conflitti con il Governo centrale, diventava indipendente. I confini però, soprattutto in Africa, non sono mai così netti, quindi scontri e guerre tribali continuano. Oggi raccontiamo cosa accade nel Kordofan e tra le sue maestose montagne, le montagne di Nuba.

 

Beja, gruppo etnico di pastori seminomadi, vestiti con la tradizionale jallabiya. Foto di Angelo Calianno.

Il Kordofan è lo Stato più a sud del Sudan. Una volta geograficamente centrale, ha cambiato posizione e confine dopo l’indipendenza del Sudan del Sud. La parte sud del Kordofan, cioè quella dominata dalle montagne di Nuba, è la terra tra due fuochi, i ribelli del SPLM-N (Sudan People’s Liberation Movement-North) da una parte e le forze armate del SAF (Sudanese Armed Forces) dall’altra.

Fieri e indipendenti, gli abitanti di queste aree non si sono mai sentiti appartenenti a un Stato riconosciuto, si contano quasi 50 diversi gruppi tribali ognuno con un proprio dialetto e capo villaggio, per questo motivo anche un censimento preciso è impossibile da effettuare. Lo Stato sudanese non hai mai visto di buon occhio l’indipendenza di questi luoghi, soprattutto per la presenza di giacimenti petroliferi (un barile su cinque esportati dal Sudan proviene dal Kordofan).

Per ghettizzare ulteriormente questa regione le zone rurali del Nuba sono state estromesse dal diritto di voto nelle ultime elezioni, cosa che ha intensificato ulteriormente gli scontri armati. Sulla scia dell’indipendenza ottenuta dal Sudan del Sud nel 2011 diversi gruppi tribali si stanno quindi riunendo per combattere e rivendicare una propria autonomia, primo obbiettivo da conquistare ovviamente sono i giacimenti petroliferi di Abyei.

Le forze armate sudanesi del SAF cercano di soffocare le ribellioni, negli ultimi 4 anni si sono effettuati bombardamenti indiscriminati creando un numero altissimo di profughi (insieme agli sfollati del Darfur sono quasi 4 milioni) e negli scontri tra ribelli e Governo sono rimasti uccisi e feriti anche diversi operatori umanitari ed è stato distrutto un ospedale di Medici Senza Frontiere.

Alì, uno dei profughi in fuga, racconta:

Sono uno dei tanti che è dovuto scappare. Dopo che i soldati ci hanno bombardato le case per settimane, abbiamo vissuto in alcune caverne nelle montagne del Nuba. Io, i miei amici e i miei fratelli non avevamo più un posto dove andare, molti dei nostri villaggi ora sono luoghi fantasma.

Al Jazeera nel 2012  ha reso pubblico un video nel quale Ahmed Haroun, ex ministro degli Interni e poi governatore del Kordofan, ordinava ai soldati: “uccideteli tutti, non fate prigionieri, non abbiamo posto per loro, mangiateli crudi“.

Ahmed Haroun, già accusato nel 2003 di crimini contro l’umanità per le atrocità commesse in Darfur, nel 2013 venne inviato dal Governo a mediare la pace con i ribelli. Il risultato, come facilmente intuibile, fu un’altra lunga lista di crimini di guerra.

 

Mamma con le figlie nel villaggio di Kadugli, area delle montagne di Nuba, dopo i bombardamenti e gli scontri nei piccoli villaggi molta gente è venuta qui, unico centro più grande. Foto di Angelo Calianno.
Un ragazzo in bicicletta percorre le strade di Suakin, secoli fa uno dei più importanti centri commerciali del mar Rosso, ora una città abbandonata e semi distrutta. Foto di Angelo Calianno.

Oggi il Kordofan è un’area inaccessibile agli osservatori esterni, solo le Nazioni Unite hanno permessi (limitati) per potervi operare, la regione è inoltre proibita alle ONG o alle organizzazioni umanitarie internazionali.

Io sono riuscito ad entrare nella regione solo con qualche stratagemma e servendomi di autobus locali ma dopo qualche villaggio, in direzione sud, sono stato bloccato e trattenuto dalle forze di Intelligence, il pretesto è stato la mia sicurezza ma il vero motivo è che il Governo sudanese ha un “cessate il fuoco” imposto dalle Nazioni Unite che però non sta rispettando. Nessuno quindi vuole occhi esterni a raccontare queste storie. Durante la mia permanenza sono stato scortato e confinato in una casa, teoricamente non avrei potuto parlare con nessuno ma sono riuscito comunque a strappare di nascosto alcune interviste.

Omar, che una volta lavorava come ingegnere, racconta:

Ho mandato tutta la mia famiglia a Khartoum, qui non c’è futuro, sono rimasto da solo con due dei miei figli che mi danno una mano a sopravvivere, la situazione si prospetta peggiore di quella del Darfur, non ricordo qui un periodo pacifico dal 1992.

Gli chiedo: “ma voi da che parte state? Oggi siete tra i ribelli e il Governo, chi secondo voi ha ragione? Se una ragione esiste.

Vedi, la gente qui è sempre stata solo dalla parte del proprio villaggio, penso che tutti questi conflitti siano soltanto per il petrolio nella zona di Abyei, ideologicamente ci sentiamo più fratelli con gli abitanti del Sudan del Sud che con gli ‘arabi’ del Nord, inoltre dopo tutti i bombardamenti molti giovani si sono schierati con i ribelli.

Proprio le rappresaglie del Governo infatti, invece che essere un deterrente stanno diventando il motivo per cui Le file dei ribelli si stanno nutrendo come mai prima d’ora: l’SPLM-N recluta senza distinzione di età, sesso o religione. Molti dei ribelli oggi sono ragazzini di 12 anni che hanno perso tutto e vengono mandati nei campi di addestramento in Kenya ed Etiopia, altri sono veri e propri bambini soldato, alcuni hanno solo 10 anni.

Le ultime dichiarazioni rilasciate dal presidente del Sudan, Omar Hasan Ahmad al-Bashir, a proposito del Kordofan sono state:

I ribelli non si accontentano di avere i diritti nella loro regione ma vogliono avere anche voce nel Governo, loro non vogliono abbandonare la lotta armata. I civili morti?È una guerra e i civili sono parte dei danni collaterali, come in tutte le guerre.

Mentre termino la stesura di questo articolo i check-point duplicano e triplicano, diversi convogli carichi di soldati si preparano a nuovi conflitti, tutto in fretta, tutto al riparo da qualsiasi mezzo di comunicazione e da qualsiasi occhio che possa denunciare l’inizio di quella che da molti è stata preannunciata come la terza guerra civile sudanese.

 

Bambini profughi nel villaggio di Kerma, in gruppo vicino ai banchetti di cibo per strada aspettando che qualcuno gli lasci qualcosa, qui mostrano un panino che gli è stato offerto. Foto di Angelo Calianno.
Mamma e figlio nel centro del villaggio di Dilling, primo centro nella zona più a rischio del Sud Kordofan. Foto di Angelo Calianno.

 

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