Oltre 6 miliardi di dollari nel 2013, 16.2 miliardi nel 2014 e una stima di circa 35 miliardi per il 2015. Parliamo del crowdfunding, una vera e propria industria della raccolta fondi. Un aumento vertiginoso di denaro raccolto attraverso le piattaforme online e il tam tam tra amici e conoscenti.
Al finanziamento collettivo si fa ormai ricorso per i più svariati motivi: dalla produzione di film e documentari alla realizzazione di un disco; dalla costruzione di un asilo in un villaggio africano al sostegno di ricerche scientifiche e finanche al finanziamento del proprio matrimonio.
Secondo i dati del Crowdfunding Industry Report – che ha analizzato 1250 piattaforme online di crowdfunding – il Nord America fa la parte del leone con un totale di 9.46 miliardi di dollari raccolti e una crescita del 145% nel 2014; l’Europa rappresenta la seconda grande area con una raccolta di 3.6 miliardi di dollari, ma è il continente asiatico ad essere cresciuto maggiormente con una crescita del volume di fondi raccolti (3.4 miliardi di dollari) del 320%.
Eppure le sorprese maggiori arrivano dall’Africa. Pochi giorni fa la compagnia telefonica francese Orange ha lanciato la prima piattaforma in Africa di crowdfunding che opererà al 100% attraverso smartphone. La piattaforma, che sarà funzionante in Costa d’Avorio, è possibile grazie alla partnership con HelloAsso, anch’essa francese e rivolta alla raccolta fondi per charities.
Nell’Africa subsahariana, dove solo il 34% della popolazione ha un conto in banca ma oltre l’85% possiede un telefonino il futuro dei servizi finanziari e del trasferimento di denaro passa proprio attraverso la telefonia mobile. Anche quando si parla di sostenere progetti sociali. Tenendo conto che la regione ha la più alta percentuale al mondo di conti mobili (mobile money account): il 12% contro il 2% del resto del mondo. L’industria del crowdfunding comincia quindi ad elaborare strategie che incontrino le abitudini delle singole regioni del mondo.
A parte le innovazioni dovute all’utilizzo degli smartphone, anche le piattaforme di crowdfunding online dedicate al continente africano hanno cominciato a dare risultati e a mostrare una loro propria identità specifica. Del resto, la stessa Banca Mondiale considera il crowdfunding “un grande potenziale per le economie dei Paesi in via di sviluppo”.
Piattaforme come Jump Start Africa, Venture Capital 4 Africa, LelapaFund o Slicebiz non si rivolgono principalmente a potenziali finanziatori interni, ma mirano ad attirare e coinvolgere la diaspora africana, soprattutto per progetti di start-up o addirittura investimenti strutturali, come per Homestrings che opera in partnership con USAID. In questo caso non sono piccoli progetti o idee di singoli intraprendenti ad essere finanziati ma addirittura settori come l’immobiliare o le telecomunicazioni. Tanto che si comincia a sperare che il coinvolgimento collettivo nello sviluppo del continente possa significare un minore bisogno di aiuti della comunità e dei fondi internazionali.
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Difficile prevedere lo sviluppo e la buona riuscita di queste piattaforme. Sicuramente, come fa notare Elizabeth Howard, co-fondatrice di LelapaFund: “I migliori investitori in Africa sono gli stessi africani. Vogliamo che la diaspora africana sia in grado di investire il proprio capitale e le proprie competenze nei loro Paesi di origine“.
Non si tratta solo di fare una donazione – piccola o grande che sia – si tratta di credere nelle forze e potenzialità del continente, nei giovani che lanciano idee e start-up. Soprattutto si tratta di evitare il rischio che queste piattaforme diventino un mezzo riservato solo alle élite, mirato a fare cassa in modo sfacciatamente imprenditoriale.
Ben vengano allora iniziative come quella di Orange e HelloAsso che possono contribuire, invece, ad accrescerne e diffondere lo spirito di democraticità e di comunità che dovrebbero stare alla base della partecipazione a iniziative di crowdfunding. Anche nel continente africano, dove a volte si fa fatica a immaginare servizi, progetti e idee che possano contare su forze interne – o, appunto, sulla diaspora – anziché sui soliti aiuti esterni, una grande percentuale dei quali si perde in tasche improprie.