Il 20 giugno, come ogni anno dal 2001, ricorre la Giornata del Rifugiato. Chi la celebra? Chi pensa che serva a qualcosa? Forse quei 19.5 milioni di rifugiati sparsi per il mondo o quel 59.5 milioni di profughi? Per non contare le migliaia e migliaia che continuano ad aggiungersi a causa dei conflitti, delle persecuzioni, della povertà.
Comunque sia è un giorno – e una condizione – da ricordare. Quest’anno la celebrazione si ammanta di vergogna. Quanto sta accadendo nelle stazioni di Roma e Milano e a Ventimiglia, confine con la Francia, danno solo la misura del fallimento. Fallimento delle politiche comunitarie, delle regole di accoglienza, della politica. Fallimento della capacità di questo mondo contemporaneo di agire con criteri civili e umani.
L’Agenzia dell’Onu per i rifugiati per questo 20 giugno ha organizzato in Italia un evento musicale, un happening, una raccolta fondi. Una campagna di più giorni, Casa dolce Casa, bello… E a cosa serviranno i soldi? “A fornire a migliaia di rifugiati e di sfollati in Siria, Iraq, Repubblica Centroafricana e Sud Sudan una tenda per 5 persone, un kit di pentole e una tanica per l’acqua, oggetti essenziali per sentirsi al sicuro in una situazione di emergenza“. A noi piacerebbe vivere nella costante emergenza? Ricevere – a mo’ di elemosina – una pentola, una tanica d’acqua, forse una coperta. Questo è il punto: tamponare, fare i buoni, quasi mai andare a risolvere alla radice. Certo, il soccorso è importante. Dare sollievo è importante. Ed è questa la ragion d’essere dell’UNHCR. Ma… E lasciamo questo ma sospeso.
Nella foto, alcuni bambini si stanno preparando ad andare a scuola. Hanno dormito in una casa putrida, scura, per terra o su qualche cencio sporco e stracciato. La scuola dove vanno spesso non è più accogliente. Vanno a scuola, ma speranze di cambiare questa condizione ne hanno ben poche.
Forse, qualcuno di loro tra qualche anno proverà ad attraversare il Mediterraneo, per farsi poi maltrattare e scacciare alle frontiere europee. Forse.