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In vendita le testimonianze della storia africana

[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Kwame Opoku pubblicato su Pambazuka News]

A Vienna, il 26 maggio 2015, la casa d’aste Dorotheum ha pubblicato un catalogo in cui si annunciava la prossima vendita all’incanto di manufatti culturali provenienti da Africa, Asia e Oceania. Tra i molti oggetti di origine africana messi all’asta, c’erano pezzi provenienti dalla cultura Nok (Nigeria), dal Komaland (Ghana) e molti altri reperti interessanti. La grande varietà di manufatti africani conferma ancora una volta il fatto che è l’Europa a essere in possesso dei reperti di valore africani piuttosto che l’Africa, da dove la maggior parte di questi è stata portata via. Ci sono pochi musei nelle città di Abidjan, Abuja, Accra, Cape Town, Lagos, Luanda o Maputo in grado di mettere insieme una simile collezione di opere d’arte.

Come per tutte le aste annunciate dalla Dorotheum, la provenienza della maggior parte degli oggetti non è molto chiara; vi si legge che provengono da una “collezione privata in Austria“, da una “proprietà privata belga” oppure da una “collezione privata tedesca“. Queste descrizioni non aiutano certo a tracciare la storia di questi manufatti. Alcuni oggetti provengono dalla collezione privata del Dr. Ludwig Leopold, che è stato coinvolto in molti casi di restituzione di opere d’arte rubate dai Nazisti. Un fatto molto sorprendente è stato il caso di un oggetto offerto all’asta per cui si afferma che sia stato acquistato, e che la ricevuta è disponibile per essere esaminata. Le case d’asta dovrebbero essere incoraggiate a presentare tali informazioni e dettagli più precisi sulle opere d’arte oggetto delle aste.

Come sapranno molti lettori, Il Consiglio Internazionale dei Musei (International Council of Museums, ICOM), ha inserito alcuni manufatti africani in una Lista Rossa. Vi si afferma che questi manufatti sono così importanti per comprendere la civiltà e la storia africana che in nessuna circostanza dovrebbero essere esportati al di fuori del loro Paese di origine o essere messi in vendita:

“Il saccheggio di oggetti e la distruzione dei siti archeologici in Africa hanno causato danni irreparabili alla Storia africana e quindi alla Storia di tutto il genere umano. Parti intere della nostra Storia sono state spazzate via e non potranno mai essere ricostituite. Questi oggetti non possono essere compresi se sono stati rimossi dal proprio contesto archeologico e separati da tutto ciò a cui appartengono. Soltanto gli scavi archeologici professionali possono aiutarli a riprendere la propria identità, la loro data e la collocazione, ma fin tanto che ci sarà richiesta di questi oggetti sul mercato dell’arte internazionale, continueranno ad essere rubati e messi in vendita.”

Sulla Lista Rossa ci sono terracotte provenienti dal Burkina Faso, dalla Costa D’Avorio e dal Ghana (Komaland), dal Mali, dal Niger e dalla Nigeria (Nok).


Figure Nok alla Yale Art Gallery, foto di Jeremy Weate su Flickr, licenza CC.

Alcuni lettori potrebbero essere sorpresi dal fatto che le testimonianze storiche della cultura antica di un continente siano messe in vendita sul mercato europeo. Molti commercianti in Europa non sembrano comprendere che è sbagliato vendere i manufatti rubati ad altre persone, e nemmeno i governi sono sempre stati attivi nella prevenzione del saccheggio o della vendita di manufatti culturali di altre popolazioni. Infatti, in passato sono stati proprio i governanti europei a promuovere le spedizioni che razziavano i Paesi, come la cosiddetta Spedizione Punitiva del Benin (1897). Le recenti distruzioni di oggetti culturali hanno risvegliato la discussione riguardo ai modi e ai mezzi per prevenire tali azioni. Questo ha però condotto a una riflessione e a una conclusione più serie riguardo al fatto che non si possano trattare questi atti di barbarie in modo efficace se non vengono condannate le azioni di natura simile condotte in passato. Ad una storia di razzie sarà concesso allungare la propria ombra sugli attuali atti di barbarie senza alcuna contromisura?

E se gli Occidentali non si preoccupano riguardo alla vendita di testimonianze delle antiche civiltà africane, cosa ne pensano gli africani? I responsabili della conservazione degli artefatti culturali, in Paesi come la Nigeria e il Ghana, non sembrano esserne eccessivamente preoccupati, né si esprimono pubblicamente su tali questioni al di fuori dei propri circoli.

Qualche lettore potrebbe ricordarsi della cosiddetta “discussione di Ginevra” (Geneva row) in cui gli accademici svizzeri criticarono apertamente la mostra di terracotte africane rubate, che includevano molti oggetti che si trovano sulla Lista Rossa dell’ICOM. Per quanto ricordo né la Commissione Nazionale sulla Cultura del Ghana né la Commissione Nigeriana sui Musei e sui Monumenti hanno preso pubblicamente una posizione su tale questione. Queste commissioni sembrano essere più impegnate in una diplomazia silenziosa, mentre la popolazione sembra essere esclusa da informazioni sui risultati di tale diplomazia. In Nigeria, per esempio, la popolazione è tratta in inganno da informazioni secondo le quali ci sarebbero state alcune restituzioni di opere d’arte, mentre la verità è che sono stati restituiti oggetti sequestrati dalla dogana e dalla polizia di alcuni Stati occidentali nello svolgimento dei propri compiti. Nessuno dei famosi bronzi del Benin è stato restituito in conseguenza all’azione diplomatica.

È interessante notare che, mentre gli Occidentali stanno urlando ai quattro venti la loro determinazione a non restituire i nostri manufatti rubati, i rappresentanti africani sembrano appena sussurrare nei propri salotti il loro desiderio di riaverli. Le persone che si occupano della conservazione dei manufatti africani hanno accettato tacitamente il furto e la vendita dei nostri tesori nazionali? Sembrano esserci rapporti cordiali tra questi africani e le loro controparti nei Paesi occidentali, ma chi sarà a trarre il maggior beneficio da questo rapporto?

Sicuramente i lettori si ricorderanno delle controversie sorte tra l’Associazione degli Archeologi nigeriana e i ricercatori dell’Università di Francoforte, in Germania, a cui è stato permesso di effettuare scavi nelle aree della cultura Nok. I nigeriani hanno accusato i tedeschi di portare in Germania oggetti della cultura Nok, e questi ultimi hanno risposto che portavano via gli oggetti per ulteriori studi. La successiva mostra delle sculture Nok avvenuta in Germania piuttosto che in Nigeria ha scioccato molti osservatori. La Commissione Nazionale sui Musei e Monumenti non è emersa da questa controversia in maniera positiva.

La mancanza di interesse di molte nazioni africane nel reclamare i propri artefatti rubati è stata spiegata da un ex direttore del Museo Etnologico di Stoccolma, che si è riferito alla Nigeria nel modo seguente:

“Ci sono molti modi di sviluppare i rapporti, a prescindere dalla restituzione degli oggetti dei musei. Sembra che per i musei nigeriani siano più importanti i diversi tipi di collaborazione attualmente in corso, e ciò potrebbe spiegare il perché la Nigeria non ha registrato nessuna richiesta formale per la restituzione della collezione del Benin, ma che abbia preferito dialogare e cooperare con i musei che ne sono in possesso. Sembra che la Nigeria sia restia a portare avanti la questione. In che altro modo si può spiegare il fatto che il Museo Nazionale nigeriano aveva l’intenzione di prestare la propria collezione di opere d’arte al British Museum per una mostra speciale nel 2010 senza richiedere niente in cambio?”

Per quel che ne so, non c’è stato alcun commento su questa affermazione del professor Wilhelm Ostberg, ex direttore del Museo Nazionale Etnologico di Stoccolma, che senza subbio sapeva di cosa stesse parlando. Questa diplomazia silenziosa si estende anche alle vendite delle testimonianza della storia africana come descritto nella Lista Rossa dell’ICOM?

Il continuo furto e la vendita dei manufatti delle culture africane senza alcun commento o reazione da parte dei custodi della cultura africana può solamente incoraggiare ulteriori razzie.

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