La riedizione dei “Quaderni Ucraini” del fumettista italiano Igort, usciti per la prima volta nel 2010, è l’occasione per fare qualche domanda a chi ha scelto di raccontare un Paese con le storie della gente comune attraverso lo strumento del graphic journalism, formula con cui si indica l’insieme di fumetto, letteratura e giornalismo.
Igort, come è cambiata oggi la sua percezione dell’Ucraina?
L’Ucraina è un paese sovrano, decide il proprio destino da sola. Ci ho vissuto per circa due anni. Gli ucraini sono alla fame, la politica degli oligarchi, qualche volta dei pupi del Cremlino come nel caso di Yanukovich, non ha portato a grandi risultati se non alla rovina. Io conosco le condizioni disumane in cui le persone vivono. Stipendi di 90 euro, il costo della vita che sale ai livelli europei. Oggi in Ucraina se non hai un orto muori di fame. Se non hai i danari per comprare il carbone muori di freddo. C’è esasperazione. E’ questo che ha portato al tentativo disperato di piazza Maidan, il desiderio di provare a cambiare. Non so se questo cambiamento potrà salvarli. So che hanno il diritto di provarci. La Russia è anacronistica nella sua visione di politica estera. Un monumento fatiscente di quello che fu. Grosso e ingombrante, lentissimo e corrotto, un Paese in cui la libertà di espressione è punita con il carcere duro, la Siberia, o, come nel caso dei tanti giornalisti assassinati, con la morte. La macchina militare oggi ha invaso un Paese straniero come l’Ucraina. Sotto gli occhi di tutti noi. I ragazzi russi muoiono sul campo di battaglia. A centinaia. I loro corpi abbandonati in terra straniera. Le madri russe in rivolta a causa di questo. E il fatto che noi facciamo finta di niente, oggi che i media permettono la circolazione della notizie in tempo reale, evidenzia l’ipocrisia dell’occidente. Noi sappiamo benissimo, solo che preferiamo voltare la testa dall’altra parte. Come per la Cecenia qualche anno fa, o come per la Nigeria in questi giorni.
Quaderni Ucraini è un lavoro sullo sterminio operato da Stalin nel ’32-’33 in Ucraina nei confronti dei kulaki. In che modo ha intrecciato la storia di ieri a quella di oggi?
In effetti Stalin, dopo lo sterminio degli ucraini, aveva bisogno che il raccolto di quello che era considerato
Che ne pensa della considerazione del politologo Sergej Mikheev: “I russi sono delusi dall’Occidente (…). I russi hanno distrutto l’Urss e si aspettavano maggiore riconoscenza. Invece l’Occidente si è comportato come se avesse vinto la guerra fredda, come se noi fossimo un paese sconfitto, i cui interessi nazionali non andavano tenuti in alcun conto” ?
Mi pare molto tipico della mentalità russa, che è spesso una mentalità imperialista nascosta. I politologi francesi hanno sottolineato come la politica estera russa si sia preoccupata di fragilizzare le ex repubbliche federali sovietiche per mantenerle sotto la sua egida. E’ una questione molto semplice. Sotto gli occhi di tutti.
Il viaggio che ha dato vita a “Quaderni ucraini” è partito inizialmente dall’idea di fare un lavoro su Cechov narrato attraverso le sue dimore.“I pregiudizi e tutte le brutture della vita sono utili perché con il tempo si trasformano in qualcosa di utile, come il letame in humus”, diceva Cechov. In che modo è riuscito a trasformare in qualcosa di “utile” le esperienze dolorose raccontate nei suoi “Quaderni ucraini”, da poco aggiornati?
E’ il sogno di ogni narratore, essere utile. Sta al lettore definire se questo sogno si avvera o meno. Io posso dirle che quando mi trovavo in Ucraina ho cominciato a fermare le persone per la strada, persone che non conoscevo, per chiedere loro di raccontarmi come avevano vissuto. Il sogno comunista, è stato chiaro, fu per le persone che intervistato un vero incubo. E presto mi resi conto che quelli che avevo di fronte a me non erano dei testimoni ma dei sopravvissuti. Stalin, per punire le spinte indipendentiste, in soli due anni, tra il ’32 e il ’33 fece morire di fare da 7 a 10 milioni di ucraini. Un olocausto di cui si parla pochissimo e che gli ucraini hanno chiamato “Holodomor”, letteralmente, condanna a morte per inedia.
E’ vero che la spinta ad integrare i suoi “Quaderni ucraini” è venuta da Art Spiegelman? Ci racconta come è andata?
Siamo amici da tanti anni. Quest’estate, in un festival a Barolo ci siamo incontrati. Parliamo continuamente di libri, disegni, e progetti. E lui, sapendo che i miei quaderni ucraini e russi stanno per essere pubblicati in America mi ha detto, ma quello che sta succedendo oggi, le tensioni con le parti russofone in Ucraina, sono il frutto delle cose che tu hai raccontato nei tuoi libri. Forse dovresti fare un post scriptum disegnato”.
Il suo documentario a fumetti racconta un Paese attraverso le storie di gente comune. Cosa vorrebbe ancora approfondire?
Il mio metodo è semplice, io credo che la Storia, quella degli eroi, che studiamo a scuola, non sia nulla, se non si immerge nella vita di tutti i giorni, nella vita delle persone comuni. Io parto dal basso, voglio raccontare queste persone, dare vita a chi di solito non ha voce. Durante questi ultimi mesi sono stato in contatto quotidiano con amici molto vicini che abitano nelle zone interessate dal conflitto, e vedevo come le storie che i giornali riportavano non erano sempre coincidenti con i racconti, quasi gogoliani, che io ascoltavo nelle mie conversazioni. Ho preso appunti e ho chiesto di approfondire. C’è la storia di una divisione militare dimenticata nella steppa, senza cibo e benzina, che viene adottata dalla popolazione. Che saranno dunque i presunti insorti, i nemici. La realtà è molto più sfumata, umana e poetica. A me interessa questo, forse è un minuscolo gesto etico, il mio, ridare le sfumature, che a volte, sommate, fanno la differenza.