Voci Globali

Quando la psicologia va a difendere i diritti dei bambini

Il piccolo Mothasem ha scolpito con la creta una bocca per poter parlare al padre, che non poteva vedere da 6 anni perchè intrappolato nell’assedio di Gaza.

Alif racconta – da una foto che lo ritrae mentre salta per prendere un pallone – di spiccare il volo e di visitare il mare, e poi andare negli Stati Uniti e chiedere al presidente di liberare il suo popolo.

Due esempi fra i tanti presi dai campi estivi che fino al 2011 l’Associazione Psychologists for human rights ha tenuto a Tulkarem in Palestina (in quella regione ha lavorato con più di 400 bambini).

E in cui l’arte ha un ruolo centrale, intesa come  “puro gioco, divertimento libera espressione che permette di pensare e anche di mettere mano a delle aree di sofferenza”, spiega a Voci Globali Guido Veronese, uno dei responsabili dell’Associazione  nata per promuovere – come si legge nel sito ufficiale “un processo volto a garantire un valido aiuto in situazioni particolarmente complesse e conflittuali” .

Foto tratta dal sito web di Psychologists for Human Rights

Il lavoro si svolge in collaborazione con un’altra associazione Italiana, Amal, con la quale vengono gestiti i summer camp estivi: “inviamo volontari per stage formativi, interventi educativi e psico-sociali – continua Veronese – A Jericho lavoriamo, nello stesso modo, con un’associazione di social workers locali. Il target sono bambini poveri e vittime dell’occupazione, circa 150 ogni anno”.

Comune è la filosofia che ispira le due associazioni. “Amal – spiega Veronese – è un gruppo di amici, molto attivi e con una filosofia uguale alla nostra, cooperazione sostenibile che metta al centro le scelte dei palestinesi e rifugga il più possibile le logiche dei finanziamenti di matrice neo-coloniale. Abbiamo iniziato formando dei loro volontari, partecipando a eventi culturali come relatori, discussant, a mangiare e bere insieme un buon chai ma nana, tè alla menta palestinese, e quindi a decidere di unire le forze e gli sforzi”.

A Gaza l’Associazione collabora con una Ong locale, Remedial Education Center, che gestisce una scuola primaria e un asilo, Salaam School (con circa 250 bambini). L’obiettivo è sempre lo stesso: training agli insegnanti, promozione di progetti educativi e psico-sociali.

In questo momento stiamo organizzando un progetto di emergenza in collaborazione con TRC (Trauma Rehabilitation Center) di Ramallah e il Dulwich Center di Adelaide. Stiamo anche proponendo una raccolta fondi, in collaborazione con ARCI Puglia, e il Comitato Salaam di Milano per l’intervento”.

Alle spalle Psychologists for human rights ha una solida esperienza: fino al 2012 ha collaborato in Iraq con il Kirkuk Center for Victims of Trauma (oggi Jyyan foundation), formando alla terapia familiare circa 50 professionisti, ad Erbil e Sulymania. E poi tanto training anche a Gaza, diretti a psicologi e social workers. “E’ una grande fatica – ammette Veronese – dal momento che l’associazione è volontaria ma il bilancio e più che positivo… con tanta strada ancora da fare”.

Fra le criticità elencate da Veronese la continua lotta per i finanziamenti, i tentativi di appropriarsi del lavoro di anni da parte di squali della cooperazione, “le interferenze a volte brutali della sicurezza israeliana e la guerra, che distrugge in un secondo ciò che abbiamo costruito in anni”. Ma non mancano parole di speranza: “l’ottimismo e il sorriso dei nostri bimbi ci spingono ad andare avanti”.

Tanto che i due SummerCamp estivi previsti a Betlemme e Gerico, anche se sospesi, sono stati rimandati a periodo invernale (WinterCamp). “Abbiamo atteso fino a fine luglio, e avevamo previsto in quei giorni una verifica delle condizioni di sicurezza a Betlemme e Gerico – spiega Veronese – I nostri partner erano molto scossi dagli eventi luttuosi e dai massacri quotidiani in Gaza, ci chiedevano di valutare l’opportunità di un rinvio“. Ma le uccisioni da parte dell’esercito israeliano nel campo profughi di Aida (Betlemme) e il blocco per alcuni giorni dell’ areporto di Tel Aviv per rischi dovuti al lancio di razzi Qassam hanno spinto gli organizzatori a rinviare, in accordo con i partner. “Andremo a dicembre, con rinnovato vigore”.

Chi fosse interessato ad aderire al WinterCamp può contattare l’Associazione (anche per partire in futuro o per contribuire con una donazione). “Abbiamo molti giovani volontari che formiamo in loco e qui da noi con stage intensivi prima degli interventi, dopo e durante” – spiega Veronese – “Ci sono poi volontari senior, esperti, che dedicano il loro tempo libero con altruismo al lavoro con i bambini e gli operatori palestinesi”.

Per i volontari junior è prevista una selezione motivazionale, per i senior viene invece richiesta professionalità in campo educativo, psicologico, medico e artistico (con attenzione alle arti-terapie e al lavoro educativo con l’arte).

Infine, l’Associazione si occupa anche dell’attività di divulgazione di lavori documentaristici e di ricerca. “Abbiamo ricerche scientifiche pubblicate in collaborazione con l’Università Bicocca di Milano e report che verranno a breve pubblicati sul sito con un documentario girato da una film maker di valore, Paola Piacenza, curatrice della sessione sociale del Milano Film Festival e che possiamo rilasciare su richiesta”.

L’ultimo lavoro di ricerca risale al 2013, Ideas of Education, una ricerca sulla percezione delle famiglie sull’educazione dei figli a Gaza.

Veronese ricorda anche i SummerCamp iniziati nel 2008 e l’esperienza nella periferia di Jabalia. “Jabalia è un campo profughi molto povero, sovraffollato, le persone vivono fino a 20/25 in una stanza, nutrendosi di pane e acqua distribuiti da UNRWA, l’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite. Ci si aspetterebbe di trovare bambini e persone annichilite e senza speranza. Tutt’altro. I nostri bambini hanno una vitalità, un ottimismo e una voglia di vivere che dovrebbe essere di esempio a tutti i bambini e agli adulti di questo mondo”.

La felicità è inseguita nelle piccole cose: “alzare un aquilone, rincorrersi tra le macerie e la sporcizia accumulata nella strada”. Ma di Jabalya – puntualizza amaro Veronese – oggi resta ben poco, è sotto costante bombardamento. La stima dei bambini uccisi dall’offensiva protective Edge sfiora le cinquecento unità:  “dei nostri bambini sappiamo che 174 con le loro famiglie hanno abbandonato le case per rifugiarsi nelle scuole delll’UNRWA e scampare a un massacro sicuro, non sappiamo se siano tutti vivi, si vedrà quando questo orrore senza senso sarà finito”.

 

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