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Dagli ottomani agli Asad, un testo per fare luce sulla Siria

Capire cosa sta realmente succedendo in Siria oggi leggendo la stampa italiana o anche europea non è semplice.  Per questo, il libro di Lorenzo Trombetta, giornalista e ricercatore che da anni vive a Beirut, “Siria. Dagli ottomani agli Asad. E oltre” (Mondadori Università), è uno strumento prezioso per entrare in profondità nella storia moderna e contemporanea siriana.

Uno studio a tutto campo che, abbracciando un ampio periodo temporale, conduce il lettore ad approfondire le cause della rivolta scoppiata nella primavera del 2011, toccando molte questioni. A cominciare da quella dell’informazione.

L’attenzione dei grandi media sulla questione siriana è stata e resta discontinua. Il tuo libro “Siria. Dagli ottomani agli Asad. E oltre” sembra colmare anche un vuoto della ricerca accademica.  Nel tuo libro citi per esempio il giornalista americano Nir Rosen, che ha dichiarato che  “negli ultimi anni pochi conflitti si sono svolti in un enorme blackout mediatico, con così tante voci e così pochi fatti, come la rivolta siriana“. Quali le ragioni di questa lacuna?

La Siria è da decenni lontana dall’attenzione dei grandi media. È considerato un Paese enigmatico e complesso. Sia perché da mezzo secolo non esiste una stampa libera e lavorare come giornalisti stranieri è assai difficile. Sia perché la natura del potere ha di fatto impedito il fiorire di studi accademici approfonditi sulla storia degli ultimi 40 anni. Molti storici, anche italiani, hanno preferito concentrarsi sulle epoche precedenti alla presa del potere di Hafez al Asad nel 1970. E rimangono isolati – seppur preziosi – i testi divulgativi e specialistici sugli ultimi decenni della storia siriana.

 Una delle domande forti a cui cerca di rispondere in maniera documentata il tuo libro è “chi comanda realmente in Siria?”. Quali sono le strade che hai seguito nella tua ricerca per dare una risposta strutturata a un quesito tanto complesso? 

Ho svolto una tesi di dottorato dal 2004 al 2008 discussa alla Sorbona di Parigi in cotutela con La Sapienza di Roma. Interviste sul terreno, attento studio di tutte le fonti secondarie presenti in materia, associata a una lunga esperienza personale e di studio in Siria e nella regione. Non ho l’ambizione di aver raggiunto la verità su molte questioni ma almeno di aver ripreso alcune questioni e metodologie proposte da illustri maestri – come Hanna Batatu – troppo tempo fa. 

Nel tuo libro scrivi che la “Siria naturale” non è mai esistita come entità politica e che dal mandato ad oggi l’autorità centrale non è mai riuscita ad armonizzare le diverse realtà sociali e comunitarie. Quali le ragioni?

A livello politico la Siria naturale o Grande Siria non è mai esistita con forse due eccezioni in epoche a noi lontanissime. È un fatto accertato. Basta studiare la storia. In epoca moderna e in quella contemporanea, le autorità che hanno governato a Damasco non hanno avuto mai interesse ad armonizzare le realtà locali perché conveniva loro tenerle divise e in una costante posizione di competizione. È stata la logica del divide et impera.  

Scrivi anche che l’Ondus è stato per le agenzie di stampa occidentali la principale fonte di notizie alternative ai media del regime. Ma anche che è stato oggetto di pesanti critiche da parte di attivisti siriani anti-regime in patria. Ci spieghi?

L’Ondus lavora dal 2007. Non è certo l’unica piattaforma che si occupa da anni di monitorare le violazioni nel Paese. Il suo lavoro era però conosciuto fino al 2011 solo dagli addetti ai lavori. Quando la questione siriana è diventata di dominio pubblico tre anni fa, in certi circoli  politici italiani ed europei, ci si è accorti che la maggioranza dei media prendevano le notizie dall’Ondus. Molti complottisti favorevoli al regime hanno dunque cercato di delegittimare il lavoro dell’Osservatorio. Opera non impossibile visto che, come tutte le piattaforme gestite da siriani in esilio e da attivisti sul terreno continuamente esposti al pericolo di morte o di arresto, l’Ondus svolge un lavoro perfettibile e di tanto in tanto si imbatte in grossolani errori. Ma l’Osservatorio ha ricevuto critiche anche da parte di attivisti anti-regime che gli hanno imputato di svolgere di fatto un lavoro teso a soffiare sul fuoco delle tensioni confessionali. Forte di un monitoraggio quasi quotidiano del lavoro dell’Ondus, non sono d’accordo su questo punto. Ma in generale considero poco professionale da parte di media autorevoli affidarsi quasi soltanto esclusivamente a una fonte del fronte delle opposizioni. È impressionante, ad esempio, come l’agenzia France Presse, citi quasi sempre soltanto l’Ondus per riportare notizie non provenienti da media del regime. Esistono molte altre fonti sul terreno. 

Le tv panarabe satellitari sono state “uno degli strumenti più temuti dal regime”. In che modo il regime ha controllato le mosse degli attivisti?

Questa è un’affermazione che vale per i primi tempi della rivolta del 2011. Successivamente, la propaganda del regime e dei suoi alleati russo e iraniano è riuscita a bilanciare il flusso informativo di Aljazeera e di al Arabiya. Più in generale, il regime ha controllato le mosse degli attivisti sui social network, ascoltando le telefonate tra loro, monitorando il flusso di email e di tutti gli altri tipi di comunicazione. In alcuni casi, aziende europee hanno venduto al regime siriano sofisticate apparecchiature e sistemi per lo spionaggio del dissenso.

“L’autocensura per un giornalista siriano lavora in modo più efficace della censura governativa”. Qual è la situazione di oggi?

Oggi la situazione è assai peggiorata rispetto a quando nel 2012 scrivevo queste righe. In quel caso poi mi riferivo all’epoca pre-2011 quando per i pochi giornalisti professionisti siriani la questione vera era cosa pubblicare e cosa non pubblicare per evitare di incappare nella rete dei servizi di controllo e repressione. L’autocensura si applica in Italia – per evitare di perdere il posto di lavoro, per fare carriera, per compiacere qualcuno o per evitare di infastidire qualcun altro – figuriamoci se non si applicava nella Siria degli Asad. Oggi la si applica anche nella Siria occupata dalle formazioni qaediste, jihadiste e, in generale, ovunque gli uomini armati pensino di imporre la propria volontà sulla punta delle baionette. 

Attivismo digitale siriano”, “rivoluzione delle telecomunicazioni”: quanto i social network hanno favorito e favoriscono o, viceversa, hanno complicato o complicano, una visione dei fatti aderente alla realtà?

I social network in Siria sono stati come una Ferrari data in mano a chi era abituato a guidare un triciclo. Inizialmente sembravano aver risolto i problemi di comunicazione tra realtà di attivismi distanti e diverse fra loro. Ma successivamente ci si è resi conto della sostanziale incapacità e impreparazione degli attivisti siriani a usare al meglio e in modo efficace le piattaforme di socializzazione su Internet. La quantità di informazioni improvvisamente disponibili è stata ed è enorme ma è difficile filtrare i fatti in una simile giungla, esponendosi così al gioco di chi insiste nel dire che in Siria “tutto è vero e tutto è falso”. Ovviamente non è così, ma per potersi orientare serve una buona dose di esperienza, una fitta rete di contatti sul terreno e, senza dubbio, la conoscenza dell’arabo e dei contesti geografici e sociali siriani. 

Il decreto n. 50 del 2001 ha imposto a editori e giornalisti nuove restrizioni. La legge su Internet del 2010 ha concesso alla polizia segreta un grande potere di controllo. Poi c’è stata la legge sui media del 2011. Come e quanto questa ha inciso sulla libertà di espressione?

Non ha inciso di fatto. Nel senso che il bavaglio è rimasto essenzialmente lo stesso. Cambiano i numeri e i nomi delle leggi ma la sostanza rimane: in Siria la stampa libera non esiste dal 1958.

Il 29 gennaio 2014 sono passati sei mesi da quando Padre Paolo Dall’Oglio è stato rapito nella città di Raqqa. Ci parli di come lo hai conosciuto e della difficoltà della ricerca di un dialogo islamo-cristiano?

Ho conosciuto Padre Paolo a Mar Musa nei primi anni 2000, nel convento da lui restaurato a nord di Damasco. Le difficoltà del suo impegno sono state continue, ma credo che più che di difficoltà si tratti di sfide, normalmente poste da secoli a chiunque si cimenti in un’opera non affatto scontata. È molto più facile e comodo gridare al mondo che cristianesimo e islam appartengono a due mondi che non si possono incontrare.

"Scenari post-elezioni? Non esistono". Foto dell'utente Flickr Syriana2011, rilasciata con licenza CC BY 2.0

Le prossime elezioni presidenziali sono previste a maggio 2014. Quali sono gli scenari possibili del dopo elezioni? Quale il ruolo della comunità internazionale?

Non esistono scenari post-elezioni. Non siamo in Italia. Nella Siria degli Asad, e in particolare nella Siria di Asad-signore-della-guerra-che-controlla-ampie-fette-del-territorio-siriano-ma-che-è-ormai-caduto-in-molti-altri-territori è ridicolo parlare di “elezioni presidenziali” come se fossero delle vere consultazioni elettorali per decidere chi guiderà il Paese per i prossimi sette anni. Chi lo fa vive su Marte. La comunità internazionale – cerchiamo di dare nomi e cognomi a questi attori – si divide tra chi – Usa, Ue – non sanno di fatto come agire; Russia e Iran che tentano finora con successo di puntare al pareggio e di mantenere la loro influenza in certe zone della Siria degli Asad; Arabia Saudita, Qatar e Turchia che, in modo diverso e con agende non sempre concordanti, sperano di ritagliarsi una sfera di influenza scalzando in parte Mosca e Teheran; Israele che ha sempre preferito vedere a Damasco il suo miglior nemico – Asad – piuttosto che farsi venire il mal di testa con altri nuovi inquilini, magari veramente anti-sionisti e non solo sulla carta come il regime siriano.

Come viene vissuto oggi in Siria il sostegno politico, diplomatico, militare, di sicurezza ed economico  di Mosca e Teheran al regime? Quanto è forte il desiderio di democrazia da parte della società civile siriana?

La società siriana è molto composita ed è oggi divisa su molte questioni cruciali. Più che di democrazia, lo spirito delle proteste del 2011 e della conseguente rivolta è stato impregnato dai principi di libertà, uguaglianza, giustizia sociale e dignità. Valori più universali di quello di democrazia. Nonostante il qaidismo e l’asadismo, ampi settori delle società siriane continuano a lavorare giornalmente per promuovere questi principi, non sempre vi riescono, spesso vengono soffocati appunto da fondamentalisti o da filo-regime, due entità che hanno in comune un nemico: l’emergente società siriana libera. Da questi settori, il sostegno russo e iraniano è visto come una vera e propria occupazione di territorio alla stregua dell’ingresso di mercenari stranieri tra le fila di gruppi armati che solo in teoria sono vicini alle opposizioni.

Da Ginevra 2 è emersa una strada per la transizione politica siriana che sembra di fatto mettere all’angolo le opposizioni.  E il governo di Assad ha annunciato di partecipare ai nuovi negoziati a partire da lunedì 10 febbraio.  Cosa ne potrebbe emergere?

Per ora non emerge nulla. Al regime non conviene che emerga qualcosa e la formula negoziale di Ginevra non impone al mediatore Onu di imporre una priorità di discussioni o di raffinare le definizioni. Si discute quindi di lana caprina e nessuno può impedire che ciò accada

“Federalismo” e “unificazione” fra le varie realtà siriane: quanto è ancora lontana secondo te questa prospettiva?

Sono entrambe ancora molto lontane. Bisogna prima cominciare a pacificare qualche teatro di guerra e cercare di allargare questa macchia di pace ad altri territori.

[ Lorenzo Trombetta, giornalista e ricercatore, cura anche il sito www.sirialibano.com]

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