[Nota: traduzione a cura di Chiara Orsolini dall’articolo originale di Rebecca Cousins pubblicato su OpenDemocracy il 3 febbraio 2014]
Il crescente dibattito sull’impatto umanitario delle armi nucleari potrebbe sollevarne un altro, sul disarmo, che vada al di là delle differenze politiche tra chi possiede e chi non possiede le armi nucleari e sposti la nostra percezione delle conseguenze oltre gli interessi nazionalistici.
E’ ironico, ma non del tutto sorprendente, che il nostro desiderio per il disarmo nucleare affondi le radici nei medesimi principi che orientano i continui investimenti militari nel nucleare stesso: in entrambi i casi la motivazione è sopratutto la consapevolezza delle disastrose conseguenze umanitarie che deriverebbero da un attacco o da un incidente nucleare. Tali potenziali conseguenze inducono la comunità globale a desiderare un cambiamento di rotta e a impegnarsi per questo. Allo stesso tempo, però, ciò che protegge e rassicura i sostenitori delle armi nucleari è la convinzione nell’efficacia della deterrenza, cioè in quella dottrina che sia proprio la nostra capacità di infliggerci vicendevolmente danni enormi quella che trattiene i nostri nemici dall’attaccarci con armi nucleari.
Il 13 e 14 febbraio, ha avuto luogo una conferenza a Nayarit, Messico con l’obiettivo di discutere dell’impatto umanitario provocato dalle armi nucleari, in un congresso progettato come seguito di quello che si è tenuto in Norvegia poco meno di un anno fa. Il compito della conferenza sarà quello di esplorare l’impatto che l’uso di armi nucleari avrebbe sulla sicurezza pubblica globale, la crescita economica e lo sviluppo sostenibile. Si prenderanno inoltre in considerazione gli effetti di un’esplosione nucleare, compreso l’impulso elettromagnetico (EMP) che ne seguirebbe, che comporta un rischio significativo per una società globalizzata come la nostra, così strettamente dipendente dalla