Questo bambino è un mio giovanissimo cliente. Viene qui e compra il mio pane. Lo paga 50 pesewas (tra i 15 e i 25 centesimi di euro). Per lui sono tanti, una somma da non sprecare. Per me erano niente e ora sono tanti. Una somma da non sprecare.
Vivo in un villaggio in Ghana e vendo pane. E non ci guadagno nulla. Sono in perdita per ora.
Però ho trovato una strada per conoscere e cercare di capire il mondo della povertà da dentro. Uno degli innumerevoli e sconosciuti mondi della povertà. Che sono qui in Africa e che sono lì in USA e che sono lì a Calcutta e che sono lì in Italia.
Io ho scelto questo mondo qui e da questo mondo vi auguro – e vi auguriamo, io e chi compra il mio pane – di trascorrere feste felici. E di provare sempre una gioiosa gratitudine alla vita.
[Antonella Sinopoli]
In un contesto di crisi feroce qual è quella che da anni sta attanagliando l’economia italiana, parlare di bellezza della povertà – o meglio, della sobrietà – può apparire incomprensibile, forse snob o persino indecente. Tuttavia, se una rivista come l’Economist ha inteso premiare come Paese dell’anno l’Uruguay di José Mujica, delle riflessioni dobbiamo farle. E ripensare a noi stessi, alle nostre scelte di vita e ai nostri valori. Per non apparire retorici, ci appoggiamo ad alcune famose parole dello stesso Mujica, che non ci stanchiamo mai di ripetere a noi stessi:
Mi chiamano il presidente più povero, ma io non mi sento povero. I poveri sono coloro che lavorano solo per cercare di mantenere uno stile di vita costoso, e vogliono sempre di più. E’ una questione di libertà. Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare per tutta la vita come uno schiavo per sostenerli, e si ha più tempo per sé stessi.
E grazie, Antonella, per i messaggi e gli stimoli che ci invii da laggiù. Ricambiamo i nostri auguri di gioiose Feste a te e al tuo “cliente”.
[Davide Galati]