Il 20 settembre 2013 i ministri della Costa d’Avorio hanno votato contro l’estradizione alla Corte Penale Internazionale di Simone Gbagbo moglie dell’ex presidente della Repubblica della Costa d’Avorio, accusata di crimini contro l’umanità. Gli stessi ministri hanno respinto il mandato d’arresto della Corte nei confronti della signora Gbagbo assicurando che essa verrà processata in patria.
Nel suo Paese, l’ex First Lady era già stata incriminata per genocidio e crimini economici legati alla guerra civile nella quale piombò il Paese negli anni 2010-2011. Questa notizia riaccende l’attenzione sull’ex presidente Laurent Gbagbo, comparso lo scorso febbraio alla Corte dell’Aja per la formalizzazione dei capi di imputazione a suo carico.
Primo presidente posto agli arresti dalla CPI, Gbagbo è accusato di crimini contro l’umanità per omicidi e stupri commessi nel periodo relativo al conflitto. Un conflitto che ha provocato la morte di 4.000 persone. In maniera drammatica la Costa d’Avorio è scivolata lentamente in una guerra civile, a seguito delle elezioni elettorali del 28 novembre 2010 quando la vittoria viene assegnata ad Alassane Ouattara ma lo sconfitto Gbagbo decide di non riconoscerla. In tutto il Paese si attivano manifestazioni di protesta da parte di sostenitori di “entrambi i presidenti”, spaccando letteralmente la Costa d’Avorio in due fazioni.
Nella capitale economica Abidjan, si incontrano incendi e macerie mentre vengono saccheggiati e bruciati negozi ed automobili lungo le strade. Compaiono i primi cadaveri e si impone il coprifuoco. Dopo due settimane, mentre il deposto presidente si ritira nel suo quartier generale, alcuni mezzi blindati, ai suoi ordini, entrano nel quartiere più popoloso della città e a colpi di mortaio uccidono circa 30 persone. È guerra civile. Nonostante il tentativo di mediazione (fallito) delle diplomazie della Francia e dei Paesi Africani e all’impotente presenza delle forze ONU già sul territorio.
Si aggrava la situazione umanitaria e sopraggiunge la paralisi economica. L’ordine pubblico degenera in tutto il Paese da Nord a Sud. Molti cittadini fuggono dalla capitale economica spostandosi soprattutto nel Sud-Est della Liberia, il Paese maggiormente coinvolto dall’esodo dei civili ivoriani e la fuga dai combattenti. In quest’area la Caritas arriva ad assistere 120.000 persone. Cibo, acqua e generi di prima necessità scarseggiano. Mentre all’inizio erano solo donne e bambini a chiedere ospitalità, arrivano sempre un maggior numero di uomini feriti, anche a colpi di machete. Quando vi giungono sono traumatizzati. Hanno subìto violenze o hanno visto uccidere i familiari.
Le barbarie emergono ben presto: il Comitato Internazionale della Croce Rossa durante un sopralluogo a Duekoue, una città al confine con la Liberia, conta più di 800 persone uccise. Altre fosse comuni affiorano come fossero pozzi d’acqua soprattutto in prossimità dei campi profughi liberiani. Importanti città portuali, luoghi nevralgici per l’economia nazionale quali San Pedro, vengono conquistate e saccheggiate dalle forze repubblicane di Alassane Ouattara. Si calcola che un milione di perdsone abbia lasciato il Paese in quel periodo entrando a far parte così della “categoria profughi”.
Nell’aprile del 2011 Laurent Gbabo è stato catturato dalle forze francesi e da quelle di Ouattara, a seguito del mandato ONU n.1975. I suoi dirigenti sono quasi tutti in carcere o in esilio. Fra un paio d’anni ci saranno nuove elezioni. La speranza è che chiudano definitivamente quanto avvenuto in quegli anni. Una sorta di test elettorale delle prossime prossime consultazioni si è avuto con le amministrative dell’aprile scorso.
Il Paese vive tuttora in un clima politico-sociale instabile. Praticamente un’economia di sussistenza. Ho visitato più volte la Costa d’Avorio, l’ultima nell’ottobre del 2010. Chi ha sempre accompagnato negli spostamenti all’interno del Paese, Roland Poda, è rimasto vittima di un attacco nella città di Abidjan. Dal 2001 ad oggi continuano i costanti contatti con Padre Dario Dozio, missionario in prima linea da 40 anni nella “sua terra africana”.