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Marocco, bambini figli della strada

Quello dei bambini e ragazzi di strada è un fenomeno che non accenna a diminuire. Anzi, oggi assume nuovi aspetti legati all’incessante urbanizzazione e fuga – nei Paesi più poveri – dai piccoli centri e dai villaggi. È per questo che il Rapporto dell’Unicef del 2012 sulla condizione dell’infanzia nel mondo portava un significativo sottotitolo: “Figli delle città“.

Ma è anche ai bambini che vivono in condizioni di povertà urbana che è destinata la vasta gamma di diritti civili, politici, sociali, culturali ed economici riconosciuti dagli strumenti  internazionali per i diritti umani. Il più rapidamente e ampiamente ratificato di questi strumenti è la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Tra i diritti riconosciuti in questo Documento figurano la sopravvivenza, il pieno sviluppo, la protezione dagli abusi, dallo sfruttamento e dalla discriminazione nonché la piena partecipazione alla vita familiare, culturale e sociale.

Per citare qualche norma: l’articolo 19 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza impegna gli Stati parti a prendere “ogni musura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il bambino contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale”. L’articolo 32 riconosce il diritto del bambino ad essere protetto dallo sfruttamento economico e dal lavoro pericoloso. L’articolo 34 affronta il problema dello sfruttamento sessuale, e il 35 il traffico di minori.

Il Marocco ha ratificato la Convenzione il 12 giugno 1993. Eppure 20 anni più tardi – secondo vari osservatori e ONG, tra cui SOS villages des enfant – la situazione dei diritti dei bambini resta molto preoccupante.

Come in altri paesi, in Marocco i bambini di strada si muovono e vivono il contesto urbano esclusivamente per sfruttarne le risorse necessarie alla sopravvivenza ma rendendosi invisibili agli occhi della società. Basta fare un giro per il centro di Casablanca e in altri quartieri della città per vedere così tanti bambini di strada che non si può capire il motivo dell’indifferenza al fenomeno da parte delle autorità locali. Non si può far finta di non vederli ai semafori intenti a vendere fazzoletti, braccialetti ed altro. Bambini che mendicano, lustrano scarpe, frugano fra i cassonetti dell’immondizia, si drogano e altri che per farsi dare dei soldi cercano di essere il più affettuosi possibile, distribuendo baci qua e là. Ciò che personalmente mi colpisce è il fatto che molti hanno non più di 6 anni e sono lasciati completamente a se stessi, senza alcun tipo di educazione o cura. I bambini di strada portano sul proprio corpo i segni della disperazione. Cicatrici profonde. Come testimoniato da questo documentario girato un paio di anni fa.

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E sono trascorsi 20 anni anche dalla ratifica del CDE “Collectif associatif pour le droit de l’enfant à la protection familiale”. Ma anche il piano d’azione PANE 2006- 2015, intitolato “Un Maroc digne de ses enfants”, che avrebbe dovuto fondare una politica  globale e integrata a favore dei bambini, ispirato prorpio al CDE, si è rivelato inefficace.

I bambini di strada, si sa, sono fragili e soggetti ad ogni tipo di sfruttamento e abuso. Per esempio, si stima che, in tutto il mondo, 2,5 milioni siano state le vittime del traffico di esseri umani costrette al lavoro forzato e una percentuale compresa tra il 22% e il 50% delle vittime di questi traffici è composta da bambini. Spesso i datori di lavoro di cui questi bambini cadono vittime, non hanno alcun scrupolo, e il loro unico intento è quello di utilizzare manodopera a costo zero approfittando dell’invisibilità di questi minori e dei controlli carenti da parte delle autorità.

Si calcola che in Marocco lavorano 177.000 bambini al di sotto dei 15 anni, 60.000 dei quali come domestici. Questo, ripeto, sebbene il Paese aderisca alla Convenzione Onu, che pone precise restrizioni per l’impiego di minori sui luoghi di lavoro. Molte inchieste e articoli sono stati pubblicati per portare alla luce la questione e storie che altrimenti rimarrebbero sconosciute, come quella di Noura, una bambina che è arrivata a tentare il suicidio per evitare le violenze subite dai datori di lavoro

In Marocco esistono centri di accoglienza primaria capaci di fronteggiare, per un numero limitato di bambini, i bisogni primari seguiti al primo contatto in strada ma mancano strutture capaci di seguire il percorso di reinserimento sociale dei beneficiari.

Ho avuto il piacere di collaborare con un’associazione locale “Wilidat lkhir” con sede a Casablanca, nata da circa un anno, i cui volontari raccolgono fondi con i quali acquistano alimenti, abbigliamento e beni di prima necessità che poi vengono distribuiti presso gli ospedali a gente bisognosa e in quartieri in cui vi è un’alta percentuale di bambini di strada.

È proprio durante questo mese di Ramadan che le donazioni sono più frequenti e le occasioni da parte delle associazioni locali di organizzare iftar (pasti) collettivi con attività ludico- ricreative si fanno più numerose.

Ma è una goccia nel grande mare delle necessità di questi bambini.

 

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