Le forme di violenza contro le donne sono diversificate e vanno dall’abuso fisico a quello sessuale, psicologico, economico, al di là dei confini di età, razza, cultura, ricchezza e geografia. I luoghi in cui si consumano le violenze sono i più disparati: in casa, per le strade, nelle scuole, sul posto di lavoro, in campi profughi durante i conflitti e le crisi. Le donne e le ragazze che vivono in Paesi colpiti da conflitti armati, sono particolarmente a rischio di violenze sessuali, specie durante l’approvvigionamento d’acqua e in questi luoghi, la parità dei sessi rimane un obiettivo non raggiunto.
Tra le varie manifestazioni – da quelle più universalmente diffuse di violenza domestica e sessuale – vi sono anche pratiche irreversibilmente dannose quali, le mutilazioni genitali eseguite su donne e bambine, abusi durante la gravidanza, delitti “d’onore” e altri tipi di femminicidio.
Tra gli Strumenti giuridici internazionali e regionali che hanno chiarito gli obblighi degli Stati di prevenire, eliminare e punire la violenza contro donne e ragazze, va ricordata la “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne”, nota con l’acronimo CEDAW. La Convenzione, ratificata nel 1997 da 160 Paesi (tra questi l’Italia) ha riconosciuto la necessità di intervenire con riforme legislative e sociali e di realizzare il monitoraggio delle azioni implementate nei Paesi aderenti. Essa definisce chiaramente “discriminazione contro le donne”: “ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo”.
Tuttavia, la prevalenza costante della violenza contro le donne fa pensare di essere in presenza di una “pandemia” dalle dimensioni allarmanti: stando a fonti statistiche fornite dall’UNESCO “una donna su tre, al mondo, è stata picchiata, forzata ad avere rapporti sessuali o ha comunque subito abusi almeno una volta nella sua vita”. Questa situazione, in molti contesti risulta aggravata dalla mancanza di sostegno adeguato e da significative barriere culturali e religiose per ammettere, affrontare o anche solo discutere della questione. Per citarne alcuni, si pensi alla scarsa considerazione sociale delle donne in alcune aree dell’Est Europeo e dell’Africa; alla situazione dell’Afghanistan, il Paese al mondo in cui è più pericoloso essere donna; alla più generale mancanza di parità tra uomo e donna nelle dinamiche sociali di diversi gruppi etnici; ai fenomeni di tratta di bambine che sfociano nell’orrore agghiacciante della prostituzione minorile.
La 57° sessione della Commissione sulla situazione delle donne
Si è svolta nei giorni scorsi, dal 4 al 15 marzo, al palazzo di vetro dell’ONU la 57° edizione della Commissione sulla situazione delle donne (Commission on the Status of Women), sul tema prioritario dell’eliminazione e prevenzione di tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze (Elimination and prevention of all forms of violence against women and girls). La “Commissione sulla situazione delle donne” costituisce una commissione funzionale del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e ogni anno i rappresentanti degli Stati membri si riuniscono per valutare i progressi compiuti verso la parità di genere, identificare e stabilire standard globali. Accanto alla tematica delle pratiche preventive, i partecipanti alla 57° edizione ne hanno affrontato un’altra, relativa alla condivisione delle responsabilità tra donne e uomini, compresa l’assistenza medica nel contesto dell’HIV/AIDS (The equal sharing of responsibilities between women and men, including caregiving in the context of HIV/AIDS). Ma, soprattutto, hanno affrontato il tema della violenza sulle donne ad ogni livello, anche in relazione all’alto numero di abusi e femminicidi registrati lo scorso anno.
Le donne continuano a lottare per i loro diritti, tuttavia, oggi più che mai, c’è bisogno di formulare politiche concrete che muovendosi nell’ottica dell’uguaglianza di genere quale diritto inalienabile, facciano compiere quel salto decisivo dal piano delle “buone teorie” a quello delle prassi risolutrici. Forse anche queste decisioni potrebbero cambiare la mentalità che c’è dietro le violenze.
Questo in video è l’appello lanciato da V. Marjon Kamara (Liberia), presidente del gruppo degli Stati africani, all’avvio dei lavori della Commissione.
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Un appello cui i partecipanti all’incontro hanno risposto con l’approvazione (131 i Paesi firmatari) della Carta contro la violenza sulle donne. La sorpresa è venuta dal capo della delegazione egiziana, Mervat Tallawy, che ha ignorato la posizione dei Fratelli musulmani i quali, guidati dal presidente Mohammed Morsi, avevano criticato il testo proponendo un emendamento perché ogni Stato potesse applicarlo secondo le proprie leggi e abitudini. Spiegando la sua scelta ai giornalisti, Tallawy ha detto: “La solidarietà internazionale è necessaria per il sostegno alle donne e per evitare questa tendenza regressiva, sia nei Paesi in via di sviluppo sia in quelli sviluppati, soprattutto in Medioriente“.
Violenza di genere e compromissione di un normale equilibrio psico-fisico
La violenza di genere non costituisce solo una grande questione legata ai diritti umani, ma rappresenta anche un enorme ostacolo per la salvaguardia della salute stessa, impedendo il ruolo cruciale delle donne e delle ragazze in fase di sviluppo.
La violenza contro donne e ragazze ha conseguenze di ampia portata: per le donne e le ragazze dai 16 ai 44 anni, la violenza è una delle principali cause di morte e disabilità. Un’indagine condotta su 1.366 donne sudafricane ha dimostrato che le donne che erano state picchiate dai loro partner avevano il 48% per cento di probabilità in più di essere infettate con l’HIV, rispetto a quelle che non avevano subito maltrattamenti fisici.
Stando a dati dell’OMS, sono stati riconosciuti nelle donne vittime di violenza, sintomi di rilevanza patologica come depressione e tendenza al suicidio; paura, senso di vergogna e colpa; ansia e attacchi di panico; bassa autostima; disfunzioni sessuali, problemi alimentari; disturbi compulsivi-ossessivi; disturbo post-traumatico da stress; abuso di farmaci, alcool e droghe.
Proposta di buone prassi
Porre fine alla violenza contro le donne include affrontare la questione alla sua principale radice: la disuguaglianza di genere. Gli sforzi da compiere dovranno tradursi in campagne di sensibilizzazione, di raccolta dati che facilitino un nuovo apprendimento sullo stato attuale del fenomeno e nella definizione di un quadro giuridico e di specifiche azioni nazionali che generino le condizioni per l’effettiva tutela dell’uguaglianza tra sessi.
Proteggere i diritti e la libertà delle donne, vuol dire garantirne la piena ed equa partecipazione allo sviluppo, promuovendo il loro pieno empowerment in tutto il mondo.