Peace Day should be devoted to commemorating and strengthening the ideals of peace both within and among all nations and peoples…This day will serve as a reminder to all peoples that our organization, with all its limitations, is a living instrument in the service of peace and should serve all of us here within the organization as a constantly pealing bell reminding us that our permanent commitment, above all interests or differences of any kind, is to peace.
Il Giorno della Pace ha lo scopo di commemorare e rafforzare gli ideali di pace tra le Nazioni e i popoli… Questo giorno servirà a ricordare a tutti che la nostra organizzazione, pur con tutti i suoi limiti è lo strumento – oggi a nostra disposizione – al servizio della pace. Questa giornata dovrebbe servire a tutti noi che operiamo all’interno di questa organizzazione come un continuo richiamo per ricordarci che il nostro impegno costante, al di sopra di interessi o differenze di ogni sorta, è rivolto alla pace.
Eppure quanti conflitti, quanti stermini l’Onu non è riuscito ad evitare. La Bosnia e il massacro di Srebrenica; la guerra in Somalia e l’inutilità della missione Restore Hope; il genocidio in Rwanda nel ’94 sotto gli occhi dell’UNAMIR. E ora la Siria. Missioni fallite a causa delle particolari regole di ingaggio dei peacekeeping e la reiterata questione: “possono i caschi blu usare la forza?“; a causa del potere di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: USA, Cina, Regno Unito, Francia, Russia; a causa di equilibri e alleanze che incidono sulle scelte dei Grandi e sul destino delle persone.
È per questo che tante missioni di pace si sono rivelate un disastro. Ed è per questo che ricordare la pace in un giorno speciale dell’anno potrebbe apparire come la commemorazione di un defunto. Decine sono i conflitti in corso nel mondo, conflitti che coinvolgono 59 Stati e 360 tra milizie-guerriglieri, gruppi separatisti e gruppi anarchici. Un impatto devastante sulle vite umane, ma anche sull’ambiente, gli animali, le risorse naturali. Del resto, perché si dovrebbe fare la pace se produrre e vendere armi è così redditizio? “Il commercio internazionale degli armamenti è valutato annualmente oltre i 350 miliardi di dollari e causa, con le sole armi leggere, più di 300.000 morti all’anno“.
Ma nonostante questo e le numerose campagne organizzate a favore del disarmo, si è concluso con un nulla di fatto la Conferenza delle Nazioni Unite per il Trattato sul commercio di armi. Le spese militari, secondo le analisi del SIPRI, ammontano a 1.630 miliardi all’anno, contro i 44 miliardi impegnati per i Paesi nelle aree in via di sviluppo, i 2.7 miliardi spesi dall’ONU per la pace, la sicurezza, lo sviluppo, questioni umanitarie, diritti umani e il rispetto delle leggi internazionali e soltanto 0.67 miliardi per il disarmo e la non proliferazione. E mentre scriviamo, parliamo, ci indignamo, la cifra della spesa militare aumenta di secondo in secondo.
Per fortuna ogni realtà contiene in sé tremila aspetti, e anche la speranza. Nonostante gli “insuccessi” e le forti contraddizioni dell’ONU, non va comunque sottovalutato il valore di missioni ancora in corso, non deleterie come quelle ricordate sopra. O almeno ancora da valutare nel loro complesso. Ma soprattutto non va sottovalutato l’altro messaggio lanciato in occasione dell’International Peace of Day. “Questa – si legge nella nota di presentazione – è anche la giornata del Cessate il Fuoco. Un cessate il fuoco personale e politico“.
Un invito a fare la pace all’interno delle proprie relazioni quotidiane e a riflettere sul valore della pace e su cosa questa significherebbe non solo il 21 di settembre e non solo nella nostra vita, ma nei giorni dell’umanità. Tutti i giorni. Un’utopia che non può stancarci.