Domani 26 febbraio, in Senegal sono previste le elezioni presidenziali. E il clima non è affatto sereno, come sarebbe invece auspicabile in una Repubblica democratica semipresidenziale. Ciò soprattutto perché ai cittadini è stato negato il diritto a manifestare contro la candidatura di Wade per un terzo mandato, considerata anti-costituzionale. Le proteste, svoltesi comunque nei giorni scorsi a Dakar, hanno poi portato a cariche della polizia, gas lacrimogeni, morti e feriti (sotto, una giornalista soccorsa).
@Irwandan: Se Abdoulaye #Wade vince le elezioni tutta la democrazia africana sarà perduta.
Né mancano certo i dubbi sulla trasparenza delle elezioni – come segnala Murray:
@managedpellets : Il movimento senegalese del 23 giugno (M23) avvisa che le elezioni non potrebbero essere né trasparenti, né libere e né tantomeno pacifiche.
Le proteste non si fermano e su Twitter spuntano anche comunicati su manifestazioni di sole donne. Azad Essa, giornalista di Al Jazeera, rilancia:
@azadessa: Circa duecento donne marciano per le strade di Dakar vestite di bianco, invocando la pace.
E poi aggiunge:
@azadessa: le donne in marcia danzano cantando “Dafa Doy Dafa Doy” (Ne abbiamo abbastanza, in Wolof).
Sénégal 2012 scrive riguardo a Wade:
@changesenegal: Wade è responsabile della violenza della polizia, dei 15 morti e dei 539 feriti e del clima di insicurezza generale.
Le manifestazioni non si limitano al Senegal, oggi sabato 25 febbraio ne è prevista una anche a Parigi. RT scrive:
@mymaluydealbi: Un raduno è organizzato per questo sabato 25 febbraio a partire dalle 14 a piazza della Bastiglia a Parigi.
La foto-emblema della rabbia senegalese
The Stream, web community in onda su Al Jazeera, intervista in contemporanea il musicista Didier Awadi e il responsabile dell’Istituto di Studi africani presso la Columbia University, Mamadou Diof. Il musicista dichiara senza mezzi termini::
non aspetterò che vengano a salvarci Obama o Sarkozy.
Il professor Mamadou Diof, in una panoramica storico-politica del Senegal afferma che Wade ha distrutto la tradizione che lui stesso aveva creato:
I senegalesi sono riusciti a costruire un sistema pluralistico chiamato anche contratto sociale, formato da diverse prospettive, idee, religioni. In questo contesto la gente è stata capace di impedire la nascita di una dittatura. Il Senegal ha avuto un brevissimo periodo con un sistema monopartitico, dal 1966 al 1974. Persino in questo breve periodo i senegalesi avevano il diritto di esprimere il loro punto di vista politico, esistevano giornali di movimenti politici e la gente poteva avere un contatto con Senghor.
Wade è invece l’uomo che ha costruito realmente un’opposizione potente e credibile e ha realizzato un grande sistema democratico, che però non esiste più per due ragioni. In primo luogo a causa del modo in cui ha manipolato la Costituzione e conseguentemente il periodo lunghissimo in cui è stato in carica. In secondo luogo per il tentativo degli ultimi cinque anni di far entrare suo figlio in Parlamento.
Online continua il flusso di rilanci e commenti, video da YouTube e appelli dalla comunità senegalese (e non solo). Qui di seguito il video e la traduzione dell’appello di Emile Niocke alla comunità internazionale:
In Senegal abbiamo una lunga tradizione democratica che fra pochi giorni si trasformerà in dittatura. La comunità internazionale deve fermare Abdoulaye Wade perché non ascolta la sua gente. Tutto ciò è molto triste in quanto siamo gente pacifica. Mi chiamo Emile Niocke e sono di Dakar, Senegal.
Christoph Koettl, di Amnesty International, dice:
Sono Christoph Koettl, di Amnesty International USA e vi parlo da Washington D.C. Sto seguendo attentamente la campagna elettorale per le elezioni in Senegal di questo weekend. Le proteste continueranno sicuramente. Sono molto preoccupato per la violenza e perché i poliziotti che non hanno rispettato i diritti umani rimarranno impuniti.
La vicenda è seguita anche in Italia. Questo uno stralcio dal report di tre giorni fa sul blog di Garderie Unautremonde — progetto avviato da UnAltroMondo Onlus che gestisce un’asilo che ospita gratuitamente 38 bambini provenienti da una baraccopoli del quartiere di Medina e 42 bambini di estrazione sociale più abbiente del quartiere di Gibraltar 2 di Dakar, che versano un contributo mensile di circa 15 euro:
Il sistema scolastico è in agitazione a causa dei 3 mesi di sciopero ad oltranza dei professori delle scuole e delle università: questa situazione ha spinto gli studenti dei licei del Senegal a scioperare per spingere le autorità a negoziare con gli insegnanti per salvare questo anno scolastico dato che la minaccia di un anno “bianco” (perso) è molto grave. Da oltre 3 giorni si segnalano manifestazioni continue in tutti i quartieri della capitale con ripercussioni nell’economia senegalese; da Sandaga a Tilene, includendo tutti i piccoli ristoranti, tutte le attività commerciali sono danneggiate. […] Ma la cosa peggiore di tutta questa situazione agitata da evidenziare è l’insensibilità del presidente uscente della repubblica, perché con tutti i morti registrati da una parte e dall’altra si è pronunciato una sola volta solamente per dichiarare che è solo una brezza che non può cambiare nulla.
Il destino del Senegal è dunque nelle mani dei social media? Il blog the nextweb si chiede se questi ultimi riusciranno davvero a influenzare l’esito elettorale. L’autore del post è riuscito ad avere dei dati sui sistemi di informazione dall’Osservatorio Osiris.sn. La rete fissa rappresenta meno del 3% mentre la rete mobile l’80%. Il 5% della popolazione senegalese è su Facebook, ovvero il 70% delle persone che usano internet. Questo Osservatorio rappresenta un prodigio di neutralità e informazione in Africa, in quanto è la fonte più completa sulle tendenze delle tecnologie informatiche nell’intero continente. Secondo l’Osservatorio, i social media sono una fonte di informazione secondaria rispetto alla stampa, ma riescono a coinvolgere direttamente la gente. E per questo, rappresentano un ottimo alleato per il cambiamento, come dimostrato altrove.
La situazione è chiaramente complessa. A preoccupare i senegalesi in piazza, non sono tanto i cavilli giuridici o il cosiddetto “coup d’État constitutionnel”, ma soprattutto la persona in sé la quale potrebbe investire di nuovo la carica di Presidente. Abdoulaye Wade ha ufficialmente 85 anni, ma molti pensano ne abbia almeno 90, se venisse rieletto governerebbe fino al 2019 quando compierà più di 90 anni. Considerando che è in carica dal 2000 è chiaro l’eccesso, l’abuso di potere. A far preoccupare l’opinione pubblica sono anche le sue dichiarazioni. In un’intervista esclusiva concessa a daraktu.com dichiara di conoscere molto bene la Costituzione, perché redatta da lui stesso, di avere una missione da compiere e che, in base all’articolo che stabilisce un mandato settenale per il Presidente, potrebbe ricandidarsi anche per il 2019. Invece, rispetto alla sua dichiarazione del 2007, ovvero che non si sarebbe più potuto ricandidare, risponde che certe affermazioni non hanno alcun valore giuridico. “E’ la Costituzione a parlare”.
Questo il video della dichiarazione di Wade del 2007:
Molti anche i dubbi sull’imparzialità dei giudici del Consiglio costituzionale che hanno accolto la candidatura, i quali avrebbero ricevuto regali, limousine e qualche migliaio di dollari da parte di Wade. Un altro timore è che Wade potrebbe poi proporre suo figlio Karim alla presidenza, dando così vita a una rivoluzione monarchica, già tentata e fallita nel 2009 e il 23 giugno 2011.
Infine, non c’è dubbio che i senegalesi vogliono che la democrazia continui a governare la propria terra. Tante le immagini che continuano a testimoniare questa volontà. Fra queste, Paouz (sotto), aggredito dalla polizia, è stato ribattezzato “eroe del giorno”. E nei prossimi giorni si vedrà se e come tale volontà verrà rispettata.
[ Articolo originale apparso su LaStampa.it – ripreso con licenza Creative Commons ]