24 dicembre 2011 — Rumori folli, odori violenti, caos urlante e infernale.
Ecco il Natale quaggiù. Nel villaggio le celebrazioni significano cerimonie religiose dalle 5 del mattino fino a notte inoltrata. A Gyetiase ci sono sei congregazioni religiose, quindi vi immaginate cosa vuole dire che tutte e sei hanno le loro proprie cerimonie e tutte, più o meno negli stessi orari? La Chiesa di fronte agli headquarters di Ashanti Development – che è la più ricca grazie a fondi di espatriati – ha un impianto di amplificazione e sta mandando musica a tutto volume, ma tutto questo senza mixer quindi il risultato è un bum bum bum che ti spacca i timpani e ti fa saltare il cuore. Mi domanderete: cosa c’entrano le cerimonie religiose e il Natale con la musica di questo tipo? Perchè qui è un tutt’uno. Cantano Gesù e le lodi al Signore a ritmi di reggae e highlife e pregano con i toni di un dialogo tra amici o urlando con tutto il fiato.
Quest’anno volevo scansarmela, avevo programmato di andare qualche giorno sulla West Coast, ma Nicholas – che due giorni fa era a Kumasi mi ha chiamato e ha detto “non partire, ci sono più persone che mezzi di trasporto. Salire su uno di questi è una battaglia e tu non potresti vincerla“. La saggezza ha vinto sullo spirito di avventura. Spero di riuscire a salvarmi per Capodanno (che per loro è un’altra occasione per fare … rumore).
Per scappare dall’inferno in cui in queste ore cade Gyetiase, stamattina sono andata a piedi a Mampong (andare è stato niente ma tornare sotto il sole dell’una…) Due ore circa alla fermata dei tro tro ad aspettare Amoah Opoku (probabile ad entrare nello staff di Voci Globali per il Ghana). Per arrivare da Meduma ha dovuto cambiare sei tro tros. Sali scendi, sali scendi. Benedetta saggezza…
Nel frattempo ho visto di tutto. Una donna che vendeva cibo, riso, carne, pesce, spaghettini (importazione spagnola) e altre cose che proprio non so. Tutto nello stesso piatto (o busta a seconda che si mangi lì o sia da asporto). Quanto? 50 pesewa e giù una certa quantità presa con le mani. Un Ghana Cedi, e giù un po’ di più. E cosi’ via. Cibo valutato con l’occhio – e le dita – esperte della venditrice. Chi mangia lì si siede dove può (vicino a me per esempio che mi sono raggomitolata su una panchetta) e usa un cucchiaio che hanno usato molti altri lavato (?) alla meglio. Si avvicina un vecchietto poverissimo con addosso un giubbino imbottito (?) che più consunto non si può. Porge una pentolina e la venditrice gli da’ un po’ di cibo. Lui non paga e va via in silenzio e lentissimo. Lei neanche sembra vederlo. Eppure… Nessuna parola tra i due. Prima di andar via lui mi guarda con una specie di imbarazzo. (Non so decifrare). Non so cosa vorrei fare. Non faccio niente…
Chi invece ha un po’ di soldi a Natale c’è una cosa che non si fa mancare: una bella capra grassa. Ho visto caricarne una nel bagagliaio del tro tro in mezzo a un mucchio di altra roba. Il bagagliaio non riusciva nemmeno a chudersi, così lo hanno legato con una corda. Non posso pensare come sia stato il viaggio di quella capra, due tre ore soffocanti e con il tro tro che fa la gimcana per sventare i buchi sulla strada. Ma domani per lei sarà anche peggio, perchè sarà uccisa e – mi ha detto Diana – mangiata seduta stante con tutti i parenti. Massimo resisterà fino al 26 dicembre. E mentre io mi disperavo Diana mi guardava con un’aria… e mi ha detto “Mio padre non può permettersela, ma quella carne is very delicious“. E si vedeva che le mancava un sapore sentito poche volte nella vita.
Oggi sto scrivendo troppo, vero? Quello che volevo dire in sostanza è che il Natale non è lo stesso in tutto il mondo. Anche se non ci pensiamo mai.
Vi lascio con questa foto. Un bambino di Adutwam, che in questi giorni non mangia panettone ma arance. Come ogni altro giorno dell’anno. Buon Natale.
[Post ripreso dal blog Ashantide di Antonella Sinopoli.]