[Traduzione di Giorgio Guzzetta, dell’articolo originale di Charles K. Armstrong per openDemocracy.net]
La morte di Kim Jong-il, sessantanovenne leader della Repubblica democratica della Corea del Nord, il 17 dicembre scorso, ci spinge a dare un giudizio sul suo ruolo nella storia moderna della Corea del Nord e su ciò che lascia in eredità al suo successore e al Paese.
Kim Jong-il è salito al potere nel 1994, dopo la morte di suo padre Kim Il-Sung, nel momento di massima tensione con gli Stati Uniti a causa del programma nucleare di Pyongyang, e subito prima di una devastante carestia che mise il paese in ginocchio. Non il periodo migliore per diventare il leader supremo della Corea del Nord.
Il giovane Kim aveva allora 42 anni, e si era preparato a succedere al padre fin da quando ne aveva 20. Dopo la laurea alla Kim Il-Sung University nel 1964, Kim fece carriera nel Partito Comunista Coreano, allora al potere, occupandosi di cultura e di propaganda. Gli piacevano il cinema e l’arte in generale, la buona cucina, la bella vita insomma – ad un congresso di lavoratori del partito nel 1996 ammise candidamente che l’economia non era mai stata il suo forte. Malgrado non avesse il carisma e la personalità del padre, non era tuttavia l’instabile e vuoto playboy della propaganda sudcoreana; leader stranieri che lo hanno incontrato – tra gli altri il presidente sudcoreano Kim Dae-Jung, il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi, e il segretario di Stato americano Madeleine Albright – lo descrivono intelligente, ben informato, affascinante.
Allo stesso tempo, molti aspetti del governo di Kim Jong-il – una serie di scontri con gli Stati Uniti e la comunità internazionale per gli esperimenti nucleari della Corea, e il passare da una crisi economica all’altra – hanno finito con l’accrescere la reputazione di Paese imprevedibile e provocatore. La Corea del Nord ha condotto due esperimenti nucleari, nel 2006 e nel 2009, sfidando la condanna internazionale e le sanzioni ONU; nel 2010, l’artiglieria nordcoreana ha sparato su un’isola sudcoreana in occasione di una controversia riguardante esercitazioni militari sudcoreane, un incidente che ha portato le due Coree sull’orlo di una guerra aperta.
Malgrado il fatto che il mondo esterno veda Kim Jong-il come una persona ambigua e un criminale, la sua reputazione all’interno della Corea del Nord è più difficile da definire. Ovviamente la propaganda nordcoreana lo ha presentato – come avvenne anche per il padre che è ancora molto rispettato – come un eroe con poteri sovrumani, venerato da tutti i suoi compatrioti. Ma alcuni dissidenti sostengono che, nel Paese, il giudizio su Kim non è a senso unico. Kim Jong-il è spesso associato al trauma della carestia e alla crisi dei tardi anni novanta, e ai timidi e insufficienti passi verso una riforma economica all’inizio del duemila, passi che sono stati poi abbandonati.
Un giudizio più approfondito dipenderà in gran parte da ciò che avverrà in Corea del Nord nel prossimo futuro. Se la Corea del Nord sopravviverà e le sue condizioni miglioreranno – magari sotto Kim Jong-Un, figlio dell’ex-leader – Kim potrebbe essere ricordato come colui che ha guidato il Paese durante la peggiore crisi del dopoguerra e che ha aperto la strada alle riforme. Se le cose si metteranno male, invece, sarà visto come colui che ha disfatto il sistema creato da suo padre e come l’incarnazione del fallimento di un comunismo dinastico.
Charles K. Armstrong è professore associato di Studi Coreani alla Columbia University, specialista di storia moderna coreana, asiatica e internazionale. Ha pubblicato The North Korean Revolution, 1945-50 (Cornell University Press, 2003) e Korean Society: Civil Society, Democracy, and the State (Routledge, 2nd edition; 2006) e curato The Koreas (Routledge, 2006)