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Donne e attivismo politico in Egitto

C’è una voce egiziana, quella della giornalista e commentatrice politica Randa Achmawi, che da Londra, in un articolo per Capo Sud, ci rimanda piccoli ritratti di giovani attiviste partecipi delle rivolte egiziane del gennaio scorso, quelle che hanno rovesciato il regime di Hosni Mubarak. Ma ci ricorda anche un altro esempio di attivismo femminile del passato.

Non è da ieri che le donne fanno la loro parte nella vita politica egiziana, soprattutto con il loro attivismo nelle rivolte contro la tirannia e l’ingiustizia. Guidate dalla leggendaria Huda Shaarawi le donne in Egitto avevano già manifestato in pubblico accanto agli uomini durante la Rivoluzione del 1919, scendendo in piazza contro il potere coloniale britannico. Allora sfidavano tradizioni conservatrici e restrizioni per la prima volta, restrizioni imposte dalle società arabo-musulmane dove si suole ritenere che alle donne lo spazio pubblico non appartenga. Nel 1923 costituirono l’Union Féministe Egyptienne, per rivendicare i loro diritti, lavorando parallelamente in seno al movimento nazionale di liberazione.

Donne che protestano al Cairo

Da un secolo all’altro, quasi cent’anni dopo, le donne egiziane a gennaio si sono di nuovo unite in massa alle manifestazioni di piazza Tahrir. Questa volta per protestare contro l’ingiustizia, la tirannia e la corruzione del regime di Mubarak. In proporzione erano molte di più rispetto al 1919, ma a tutt’oggi è difficile quantificare con esattezza la loro presenza. Le opinioni in merito sono discordi. C’è chi dice che rappresentino non meno della metà dei manifestanti. Altri invece parlano di una percentuale fra il trenta e il quaranta per cento del totale. Una cosa però è certa: sono state percepite come molto presenti e attive. E tutti, all’interno del Paese come all’estero, concordano nel dire che questa Rivoluzione appartiene alle donne tanto quanto agli uomini. Si sono battute e c’è fra loro anche chi ha sacrificato la vita per la libertà dell’Egitto.

A noi che la rivolta l’abbiamo vissuta da lontano non è sfuggita la cospicua presenza femminile e neanche la varietà delle persone coinvolte. Randa Achmawi lo conferma

[…] In piazza Tahrir si è visto un mosaico affascinante, molto rappresentativo dell’altra metà del popolo egiziano. Fra la folla si distinguevano bene donne provenienti da tutte le categorie sociali. Ricche e povere, giovani e meno giovani, istruite e non istruite, nubili, maritate e madri di famiglia: nessuna ha voluto mancare l’occasione di scendere in piazza a difendere il proprio ideale di libertà. Poco importa se indossassero il velo o il niqab, o se, prive di velo, camminando in jeans con la sigaretta in bocca, o baciandosi in pubblico con un ragazzo, avessero l’aria più libertaria.

Ecco i primi due ritratti con cui la Achmawi ha voluto rendere omaggio alle donne che hanno partecipato alle rivolte del gennaio scorso.

Sally Zahran, traduttrice ventitreenne […] è caduta il 28 gennaio a Sohag, nell’alto Egitto, dove abitava con la famiglia, nel corso di uno scontro dei manifestanti per la democrazia con le forze dell’ordine e gli squadristi pro-governativi. […] Oltre che con le forze dell’ordine Sally si è dovuta anche misurare con il forte conservatorismo della società egiziana e della sua famiglia, dove non vedevano di buon occhio la partecipazione femminile alle manifestazioni di piazza. Una tragica perdita, che ha ispirato un ingegnere egiziano impiegato alla NASA. Ha proposto che fosse dato il nome della giovane a una navicella spaziale destinata a Marte e l’agenzia spaziale americana ha ben accolto l’iniziativa.

Asmaa Mahfouz. Fra le fondatrici del movimento 6 Aprile è oggi membro della così detta ‘Coalition des Jeunes Révolutionnaires du 25 Janvier’. Asmaa, giovane attivista ventiseienne che indossa il velo, è stata senz’altro una delle voci più possenti e coraggiose della rivolta […].  Qualche giorno prima del 25 gennaio –  data del previsto avvio delle proteste contro Mubarak – Asmaa aveva caricato su Youtube un video nel quale, rischiando moltissimo, […] aveva [esortato la gente a scendere in piazza]: “Non credo che nessuno di noi possa sentirsi al sicuro. Ormai siamo tutti minacciati. Perciò venite con noi a rivendicare i vostri diritti, i miei diritti, quelli della vostra famiglia. Il 25 gennaio, scenderò in piazza per dire ‘no’ alla corruzione e ‘no’ a questo regime.” […]

L’articolo prosegue con una storia di qualche anno fa, quella di Israa Abdel Fattah e poi, ancora, con quella di Mona Seif .

[…] Nel 2008 [Israa] fonda con altre attiviste il movimento 6 Avril, che esordisce come semplice gruppo Facebook, per poi diventare movimento politico. Allora Israa si limitava a lanciare su Facebook inviti a manifestazioni di solidarietà con gli operai di Mahalla Al Koubra, da cui ha poi preso il nome il movimento. Per questo Israa, che allora aveva 27 anni, venne arrestata, mentre si trovava seduta a un bar insieme ad amici e compagni. La ragazza fu liberata solo dopo l’appello della madre rivolto alla moglie del presidente della repubblica […]. Fu rilasciata a condizione che non tornasse all’attivismo politico. Una minaccia che invece non sembra averla spaventata […]

Il primo contatto con Mona Seif l’ho avuto quando ho sentito la sua voce nel corso di un’intervista telefonica concessa ad Al Jazeera in inglese, la notte del 2 febbraio, dopo l’assalto dei pro-governativi, a cavallo e in sella ai cammelli, in piazza Tahrir. “Quella sera sapevamo che gli squadristi stavano attaccando i manifestanti, e avrebbero usato qualsiasi metodo pur di cacciarli dalla piazza. Dall’emittente Al Jazeera giungeva chiara la voce di Mona; la potenza delle sue convinzioni è riuscita a persuadere il pianeta intero che, per nulla al mondo, i manifestanti avrebbero abbandonato con la forza le postazioni conquistate”.  […] Quella giovane ventiquattrenne dall’espressione candida  di certo aveva in sé un’immane forza morale quando al telefono diceva al mondo: « Siamo pronti a morire in piazza Tahrir ». Mona, il cui attivismo politico è cresciuto in famiglia, è figlia di un attivista politico che peraltro era in carcere il giorno in cui lei è venuta al mondo. Qualche giorno dopo l’infame attacco ai manifestanti, così raccontava: «la notte della battaglia dei cammelli, quando abbiamo visto i pro-governativi attaccarci ero terrorizzata. Ho pensato che ci avrebbero uccisi tutti. Ma la svolta per me è arrivata nel momento in cui ho compreso che la gente era pronta a morire per ciò in cui credeva.»

Infine, Randa Achmawi rende omaggio anche alla più celebrata Gigi Ibrahim

[…] Attivista politica ventiquattrenne, della rivolta egiziana che ha rovesciato Mubarak è stata senza dubbio la prima donna, sulla stampa internazionale. […] inglese impeccabile, appreso negli anni trascorsi con la famiglia in California dove si è diplomata, ha saputo conquistare tutti i giornalisti stranieri presenti in piazza Tahrir per seguire gli eventi. Dai servizi di Times Magazine al Daily Show negli Stati Uniti, passando per Elle Magazine, ha fatto il giro delle testate e delle televisioni di tutto il mondo. […]

“Durante le lunghe ore, notti e giornate trascorse lì, nella piazza, ho pensato che dovessimo mettere al corrente il mondo e dare informazioni precise su quanto stava accadendo. Così ho cercato di fare il possibile per verificare le informazioni presso i contatti che avevo, e che magari si trovavano in luoghi o postazioni diverse dalla mia. Dopo di che le lanciavo su Twitter e Facebook con il mio Blackberry, mentre stavo in piazza seduta sull’erba o sul marciapiede” […]

***

Non tutti, tuttavia, hanno apprezzato il clamore con cui la stampa internazionale ha raccontato Gigi Ibrahim, e c’è chi non nasconde che avrebbe preferito meno riferimenti alla sua ‘cultura’ americana, e anche meno protagonismo. Difficile non rilevare queste spaccature, ma per cercare di comprenderle serve forse andare oltre il racconto della rivolta che ribalta un regime. Se da un lato viene sempre il sospetto che una giovane donna che emerge in una società tradizionale sia inevitabilmente additata come una che userà la visibilità per fini propri, dall’altro può convenire filtrare l’entusiasmo per il ‘fenomeno’ femminile, non già per escludere le donne dall’analisi dei fattori di cambiamento, ma per interrogarsi meglio, intanto, sul senso della rivoluzione, e in particolare sull’avanzamento reale che le donne riusciranno a compiere in una società comunque tradizionalista.

L’ostilità nei confronti delle donne che volevano dimostrare pacificamente in piazza Tahrir, nella  Giornata Internazionale della Donna, e un generale fastidio per le questioni femminili – spesso associate dal mondo tradizionale egiziano al mondo occidentale e al vecchio regime – autorizzano a nutrire più di qualche timore.

Un primo banco di prova, perlomeno per saggiare le reazioni, potrebbero essere le prossime elezioni presidenziali, visto che una donna, l’ex-giornalista televisiva Buthayna Kamel, ha deciso di candidarsi. Malgrado la rivolta di liberazione, Buthayma Kamel, che crede nella trasparenza e si definisce social democratica, non ha mai nascosto il timore che a un certo punto, alle donne che volessero farsi avanti in politica venisse detto: Tante grazie per aver collaborato a rovesciare il regime, ma adesso è ora di tornare a casa. Lei non ne ha alcuna intenzione. Una decisione – come spiega lei stessa in un’intervista rilasciata a The Daily Beast – ispirata dalla casuale conversazione con un anziano signore che le aveva detto: “Sa cosa farebbe bene all’Egitto? Una donna presidente. Perché le donne si preoccupano per il futuro.”

Questo l’articolo integrale in lingua francese di cui sono stati tradotti alcuni stralciLee femmes et l’activisme politique en Egypte, di Randa Achmawi. Ripreso da Capo Sud. Traduzione di Tamara Nigi.

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