Benvenuti al Capodanno 2050 è il titolo dell’ambizioso convegno internazionale che si è svolto il 10 e 11 novembre scorsi presso le Bolle Nardini a Bassano del Grappa, primo appuntamento di una serie di iniziative che si collocano nella fase costitutiva della nascente Fondazione Nardini, sotto la guida del politologo Moisés Naím.
Il demografo Jack Goldstone, il presidente dell’Istat Enrico Giovannini, Bill Emmott, lo storico Miguel Gotor, Francesco Billari, Guido Barilla e l’architetto Luca Molinari hanno analizzato in un’ottica multidisciplinare questioni assai complesse relativamente agli scenari demografici, socioeconomici, geopolitici e culturali da qui ai prossimi quarant’anni. In questa sede è impossibile riportare con esaustività l’ampio dibattito svoltosi (rimandiamo al sito ufficiale per approfondimenti): come esposto da Jack Goldstone, se oggi possiamo avanzare con buona approssimazione un’ipotesi su quanti saremo nel 2050, è molto più problematico ipotizzare come sarà il mondo per quella data: come prevedere se la popolazione sarà istruita, produttiva, efficiente nell’interazione con l’ambiente e se le città dove vivremo saranno piacevoli e prospere o piuttosto luoghi pericolosi? Quanto sarà sicuro il mondo nel 2050, e quali sono i rischi e le sfide che dobbiamo affrontare?
Nel seguito una rapida carrellata su alcuni degli argomenti discussi.
Nuovo mondo e periferie
Moisés Naím sottolinea come “nel nuovo mondo la periferia sarà il centro”, e quelli che noi oggi chiamiamo Paesi in via di sviluppo diverranno i nuovi motori dell’economia -e delle sfide- globali. Ciò non può che alimentare anche delle preoccupazioni, dato l’attuale grado di instabilità di questi Paesi. In proposito Goldstone scrive:
90% of the youth under 15 years old in the world today are growing up in developing nations – they are the future world labor force, the future consumers, the standard-setters for the lifestyles and innovations of the next half-century. Yet most of them are growing up in countries with weak or unstable governments, where they lack access to the education, capital, and opportunities that will make them productive.
Se il cuore del mondo sarà nelle periferie, gran parte dei rischi sono legati alle modalità di sviluppo di queste regioni. Naím elenca dieci macro-temi cruciali da qui al 2050, ne riportiamo alcuni: quale sarà il modello sociale dominante, quello indiano-democratico o quello cinese-autoritario? Come evolverà la crisi ambientale, e da quali fonti trarremo l’energia? Internet sarà una forza per il bene o per il male? Entreremo nell’epoca dell’implosione degli Stati (si pensi ad esempio, dopo la Somalia, al Pakistan)? I Paesi emergenti saranno potenze orientate alla pace o al conflitto, e quali i rischi legati alle guerre, al terrorismo, al narcotraffico, alla proliferazione nucleare? Come gestire le migrazioni?
Con l’aumentare del grado di globalizzazione, i problemi non potranno che crescere: secondo Naím, solo una collaborazione a livello globale, per il global public good, potrà consentire di affrontare e risolvere tutte queste sfide.
Vecchio mondo e migrazioni
Rivolgendo uno sguardo all’Europa, due temi cruciali sono quelli correlati dell’invecchiamento e dell’immigrazione: come esposto da Enrico Giovannini, la Germania e l’Italia saranno i Paesi con la maggior quota di anziani sul totale della popolazione. Allora è ‘flessibilità’ la parola chiave per l’adattamento a un mondo che cambia molto velocemente: come si può considerare sostenibile un percorso di sviluppo nel quale la quota degli ultrasessantacinquenni salirà -in Italia- dall’attuale 20% al 32,7%? E che senza stranieri salirebbe fino al 38%? E come pensare sostenibile la spesa per le pensioni senza l’avvio di una riforma del sistema pensionistico?
I migranti diventano elemento fondamentale per rovesciare il trend, ma bisogna anche chiedersi, come fa Goldstone: l’educazione di queste persone va sviluppata nei paesi d’arrivo o piuttosto nei paesi di origine, trasferendo conoscenza e facendo crescere lì il fattore di sviluppo umano più importante?
Sul tema delle migrazioni, Roberto Saviano ha affermato quanto segue in una video-intervista presentata al convegno:
Oggi per capire il mondo bisogna andare a Città del Messico e a Lagos, molto di più che andare a Roma o a Madrid o New York. Le nuove generazioni, quelle più colte che riescono ad accedere alla conoscenza, comprendono il movimento dei mercati, comprendono i talenti, comprendono le nuove idee con più velocità di un americano, di un italiano, di un francese. Come sempre, laddove c’è la maggior sofferenza, lì nasce il talento per affrontarla se non per risolverla. E quindi io immagino enormi movimenti di uomini il cui destino sarà o nelle mani della criminalità oppure nelle mani di un grande, come dire, sogno di collaborazione.
E allora, rispetto al “fenomeno delle grandi migrazioni nel mondo che verrà”, dobbiamo dimostrarci sempre più capaci di accoglienza e di integrazione. Cosa accadrà in Italia? Castelvolturno avrà il primo sindaco africano d’Europa – e i migranti diventeranno una vera risorsa? O i flussi di uomini diverranno sempre più “petrolio per il motore criminale”?
Il Pil e la felicità
Oggi è molto intensa la ricerca sugli indicatori di benessere, nella prospettiva di una società del dopo-Pil, e in molti si chiedono come si possa evolvere dalla società del ben-avere a quella del ben-essere, dall’economia del Pil a quella della felicità. Queste possono essere chiavi per incamminarsi entro un sentiero di sviluppo sostenibile a livello globale, e rappresentano terreno d’indagine per Enrico Giovannini (si legga ad esempio questo articolo) e Francesco Billari, prorettore allo sviluppo presso l’Università Bocconi. Abbiamo chiesto a Billari come si sia sviluppata la ricerca rispetto al tradizionale Indice di Sviluppo Umano (HDI) dell’ONU basato su Pil, durata della vita e istruzione. Oltre all’HDI, ci ha risposto,
cerchiamo di lavorare sulla felicità a due livelli, uno di “happiness” standard basato su indagini campionarie in cui si chiede la soddisfazione globale sulla vita, e uno collegato a domini specifici, per esempio qual’è la felicità collegata con la prospettiva di avere un figlio. (…) La ricerca sui temi del benessere oggettivo e soggettivo è vivissima, anche perchè in un’era in cui il reddito è sempre più volatile si deve chiaramente andare a valutare indicatori che sul lungo periodo possano assicurare più stabilità e prospettiva verso il futuro.
Negli ultimi anni le evidenze rivelano come si sia rovesciata l’equazione maggior sviluppo = meno figli: nei Paesi più avanzati i figli tornano ad essere un mezzo per raggiungere la realizzazione personale, la felicità individuale va di pari passo con il crescere del numero dei figli. Billari conclude nel testo del suo intervento come “nel nuovo millennio, la migliore politica familiare è lo sviluppo socioeconomico”.
Le misure di benessere di un Paese possono in realtà appoggiarsi a molteplici variabili e recentemente sono stati definiti diversi indicatori alternativi al Pil: uno di questi è il Bcfn Index, proposto dal Barilla Center for Food & Nutrition e presentato da Jean-Paul Fitoussi, il quale si basa -tra gli altri fattori- sugli stili di vita, le scelte alimentari, l’accesso alla tecnologia, il livello di partecipazione politica, il welfare. Il nostro auspicio è che la ricerca si spinga sempre di più in questa direzione, e che i governi comincino effettivamente ad adottare questi indicatori nelle scelte di policy.
Guido Barilla, del cui intervento proponiamo sotto uno stralcio, conserva tuttavia uno sguardo molto prudente sul futuro globale; anche chi scrive confessa la propria difficoltà nell’adottare una visione improntata all’ottimismo.
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