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Oltre il Medio Oriente, l’avanzata dell’estremismo islamico in Africa

Dopo la caotica ritirata delle forze armate americane da Kabul ad agosto dello scorso anno e l’inizio della guerra in Ucraina, i riflettori sull’avanzata dell’estremismo islamico si sono spenti. Eppure, la presenza di tali gruppi è sempre più forte in tutto il Sahel e lungo la costa orientale africana, dalla Somalia fino al Mozambico. La loro diffusione infatti è favorita da problemi presenti nei Paesi africani come il malgoverno e i pessimi rapporti tra Stato e popolazione locale. Tuttavia, l’incremento dell’attività paramilitare islamica costituisce una minaccia per le economie e la sicurezza del Sud del mondo, con un numero sempre maggiore di giovani disposti ad arruolarsi e imbracciare le armi.

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Yazidi, a sette anni dal genocidio, tra fuga in Europa e giustizia

Questo popolo, minoranza religiosa irachena oggetto della brutale campagna condotta dal gruppo islamista Daesh nel 2014 (riconosciuta come genocida dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU nel 2016), vive ancora oggi enormi e drammatiche difficoltà. Voci Globali ha affrontato il tema con due professionisti che – condividendo la propria esperienza umana, professionale, di attivismo – hanno fatto luce sulla situazione attuale, dai campi profughi alle migrazioni, dalla (difficile) ricostruzione in Sinjar alla giustizia nei tribunali.

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Turchia accusata di usare armi chimiche sui curdi. E il mondo tace

Numerose testimonianze da parte di civili curdi hanno portato il PKK a rivolgersi alla comunità internazionale perché vengano avviate indagini ufficiali sull’utilizzo da parte della Turchia di armi non convenzionali. Una serie di rapporti hanno provato a dimostrare l’uso di armi chimiche come causa della morte delle vittime, ma spesso le autorità turche hanno impedito lo svolgimento delle indagini. L’UE e gli Stati Uniti sembrano reticenti a intervenire contro la Turchia, a differenza della Siria contro cui agirono duramente nel 2012 – a dimostrazione del diverso peso sullo scacchiere politico ed economico dei due Paesi.

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Fuori la guerra dalla Storia, donne e movimenti per la pace globale

La guerra ci riguarda, nonostante una parte di mondo non sembri esserne toccata: la cultura militare plasma le strutture sociali e l’educazione, entra nelle spese nazionali e ne sostiene l’economia attraverso la produzione di armi e sistemi militari. I conflitti nel mondo sono ancora tanti e portano con sé violenza e distruzione. In occasione della Giornata Internazionale per la Pace – 21 settembre – Voci Globali ricorda i movimenti di resistenza contro la guerra e per una cultura di pace e solidarietà, condotti da donne nei territori bellici e in tutto il mondo.

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La crisi in Afghanistan, quali scenari si aprono per il Medio Oriente

Il ritorno al potere dei talebani in territorio afghano sta scuotendo il mondo. Sebbene l’avanzata stesse proseguendo da qualche tempo, la presa di Kabul si è consumata nel giro di poche ore lasciando alle autorità statunitensi – presenti nel Paese da 20 lunghi anni – solo la possibilità di una fuga precipitosa. E lasciando ai cittadini ben poche, e disperate, possibilità di salvezza. Tutto questo si sta consumando all’interno di un quadro politico ed economico complesso che coinvolge l’intera regione mediorientale. Gli interessi in gioco sono molteplici e le conseguenze, per lo più nefaste, sono visibili all’orizzonte.

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Sud del mondo: conflitti, terrorismo islamico e diseguaglianze

I territori e le comunità segnate dalle diseguaglianze socio-economiche rappresentano un terreno fertile per i gruppi militanti islamici, che vi attecchiscono per poi mettere in atto le loro rivolte. Nonostante le numerose dichiarazioni circa la fine della guerra al terrorismo, in questi ultimi anni ci sono stati vari esempi dell’infondatezza di tale affermazione. Il più recente si è verificato in Mozambico, con la presa della città di Palma da parte di al-Shabaab. Con la pandemia da Covid-19 che minaccia la vita e il sostentamento di milioni di persone in condizioni di povertà, i gruppi terroristici continuano ad aprire conflitti sanguinosi.

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Mine anti-uomo, dai pappagalli verdi a quelle costruite in casa

“Ho visto intere famiglie distrutte dalle mine, rovinate da amputazioni di gambe e braccia operate al fine di salvare vite”. Con queste parole Emanuele Nannini – Director Emergency and Development Area di Emergency – ci ha introdotto alla sua lunga esperienza sul campo in Paesi martoriati dalle presenza di mine anti-uomo. Ordigni utilizzati ancora oggi in aree del mondo coinvolte in conflitti interminabili o disseminati in un passato di violenza. Esistono le armi – e le mine – perché esiste la guerra, la guerra va ripudiata come strumento di risoluzione delle controversie. Perché la guerra – per dirla con Erasmo da Rotterdam – “piace solo a chi non la conosce”.

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Vendere organi per sopravvivere, storie di traffici illeciti e abusi

Un rene in cambio di soldi per affrontare povertà e disperazione: è la vergognosa pratica del commercio illegale di organi radicata soprattutto in Medio Oriente e nel Nord Africa. Egitto, Yemen, Libia, Turchia, Iraq sono ormai considerati centri attivi del cosiddetto “commercio rosso”. A cadere nella rete dei questi traffici illeciti e brutali sono spesso migranti in lotta per la sopravvivenza e in cerca di un viaggio verso l’Europa. Vittime su più fronti: di operazioni chirurgiche dolorose e senza sicurezza, dell’inganno dei broker, del mancato guadagno dopo la vendita dell’organo. E di una legislazione carente nel punire il crimine.

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Siria, giochi di potere all’ONU sull’accesso degli aiuti umanitari

Dopo un acceso dibattito, il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato il trasporto delle forniture salvavita in Siria attraverso un unico valico di frontiera turco. Amnesty International ha chiesto al Sudan giustizia per le violenze perpetrate dalle milizie armate in Nord Darfur. I leader religiosi iracheni si sono detti pronti a supportare le vittime dell’ISIS per contribuire al processo di riconciliazione nazionale. Intanto, la Malesia ha scoperto un traffico illecito di rifiuti tossici provenienti dalla Romania. E in Uganda, l’attuale capo di Stato Yoweri Museveni ha annunciato la sua sesta candidatura alle elezioni presidenziali del 2021.

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L’IS può colpire ancora, la minaccia pesa su un mondo distratto

Minacce silenziose ma potenti crescono nascoste dall’emergenza pandemia. Lo Stato Islamico, per esempio, non sarebbe affatto indebolito, con un alto rischio di una sua violenta ricomparsa. Governi distratti dalla lotta al Covid-19 e con scarsa disponibilità a rimettere in moto risorse contro i jihadisti potrebbero avere come risultato il rafforzamento dei gruppi terroristici islamici. L’articolo offre una rassegna di parallelismi tra oggi e la situazione del 2013-14: lo scopo è spingere il mondo ad agire, prima che il terrore torni a colpire come questa analisi ritiene possibile.

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