2 Novembre 2024

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Gaza, il giornalismo di guerra solleva nuove questioni etiche

La copertura giornalistica del conflitto israelo-palestinese implica, per reporter e fotografi, un enorme rischio per l’incolumità e anche l’attuazione di scelte etiche. Se ormai da tempo la cosidetta aggregazione dei giornalisti alle truppe costituisce una tradizione consolidata per la comunicazione rapida delle notizie dal fronte, in questo momento storico le cose sono diverse. Anche le maggiori agenzie di stampa non impiegano più giornalisti come dipendenti, ma assumono freelance di cui spesso non conoscono a fondo le attività e i contatti, che possono poi rivelarsi discutibili se non pericolosi.

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Israele-Gaza, il dramma dei profughi in un contesto così disperato

Dopo l’attacco di Hamas, Tel Aviv ha risposto con pesanti bombardamenti sulla Striscia: le vittime della guerra sono migliaia, sia da parte palestinese che israeliana, ma a ciò si aggiunge il dramma degli sfollati in un’area tra le più complesse e povere al mondo. Al già altissimo numero di rifugiati presenti nella Striscia si aggiungono anche coloro che scappano dalle bombe ma non riescono a trovare un passaggio che li porti lontano dalla guerra. Intanto, salgono le tensioni anche in Cisgiordania, area in cui gli scontri tra palestinesi e coloni avevano toccato un picco già nell’anno passato.

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Israele è sull’orlo dell’autoritarismo, tra devastazioni e impunità

Le ultime settimane nello Stato Ebraico sono state le più convulse e tese della sua storia recente. Centinaia di migliaia di manifestanti hanno paralizzato il Paese portando allo stop della riforma promossa dall’esecutivo di Netanyahu. Al contempo, nei Territori Palestinesi continua l’espansione delle colonie illegali. Protetti dal Governo, i coloni stanno portando avanti una campagna di terrore e violenze a danno della popolazione palestinese. Spinti da una politica xenofoba ed estremista e sostenuti dall’esercito, danneggiano proprietà e risorse senza il rischio di incorrere in sanzioni.

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Giovani che resistono: palestinesi e israeliani contro l’apartheid

Le recenti tensioni nella Cisgiordania hanno riportato la questione palestinese al centro dei dibattiti sulla stampa internazionale. A partire dagli anni Novanta, l’espansione delle colonie israeliane e l’aumento della pressione militare hanno causato l’aggravarsi delle condizioni di vita per i palestinesi. Per contro, la risposta della popolazione e delle nuove generazioni offre spunti di analisi rilevanti. Attraverso l’intervista all’attivista palestinese Sami Hussein Huraini dell’associazione Youth of Sumud, Voci Globali riporta uno spaccato della realtà quotidiana nei territori sotto occupazione israeliana.

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Moschea al-Aqsa, testimonianza dalla Gerusalemme divisa in due

L’autore di questo articolo, ricercatore presso la Lancaster University, si è recato a Gerusalemme per osservare i rapporti tra israeliani e palestinesi in città. Si è trovato a essere testimone diretto dei recenti episodi che sono poi rimbalzati sui media e sui social di tutto il mondo. Nel suo resoconto, sono evidenti da un lato le pressioni e provocazioni delle autorità israeliane durante il mese del Ramadan, dall’altro le proteste pacifiche e creative dei giovani attivisti palestinesi durate fino al cessate il fuoco tra Israele e Hamas, dichiarato il 21 maggio e compromesso poche ore dopo.

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Palestina, l’interminabile vicolo cieco delle nuove elezioni

A distanza di ben 15 anni dall’ultimo voto, lo scorso gennaio la Commissione Centrale Elettorale palestinese ha annunciato le elezioni legislative e presidenziali, entrambe fissate per quest’anno. In un contesto sociale, politico e geografico caratterizzato dalla polarizzazione fra Hamas e Fatah e da una profonda sfiducia nei confronti di un sistema istituzionale debole e corrotto, gli esiti appaiono più incerti che mai. E la fine dell’occupazione sembra ancora più lontana. Voci Globali ne ha parlato con due attivisti palestinesi rispettivamente residenti a Gaza e nella West Bank.

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Quando i libri diventano strumento di resistenza durante i conflitti

Leggere può essere talvolta uno strumento terapeutico. Oppure può portare la mente a esplorare mondi fantastici, ma che nondimeno riescono a parlare all’uomo a confronto con le domande e gli interrogativi di sempre. Ma cosa significa leggere quando la nostra sopravvivenza fisica è a rischio? E’ possibile riuscire ad essere trasportati in mondi “altri” attraverso la parola, sfidando la paura e un tremendo senso di precarietà che minaccia persino la propria incolumità? Ecco alcune storie di “letture resistenti” dalla Siria, da Gaza e dall’Iraq.

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Quando la psicologia va a difendere i diritti dei bambini

L’esperienza di Psychologists for Human Rights a Gaza e altre zone di crisi con gli strumenti dell’arte, del gioco e della creatività “espressioni che permettono di pensare e anche di mettere mano a delle aree di sofferenza”, spiega a Voci Globali Guido Veronese. Le attività previste si sono però dovute fermare e sono state rinviate a causa delle terribile offensiva militare sul territorio. I bambini – soprattutto quelli dei campi profughi – ne fanno le spese, ma anche i genitori che partecipavano alle terapie familiari.

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Siria e Gaza, una falsa equivalenza

Nelle ultime settimane gli aggiornamenti sui social media dalla Siria e da Gaza sono diventati quasi indistinguibili. Entrambi contengono immagini e video raccapriccianti di civili uccisi o mutilati dai bombardamenti aerei ed entrambi espongono espressioni di frustrazione e rabbia della gente comune. Tuttavia, a differenza della questione siriana, gli Stati occidentali possono adottare misure relativamente semplici per porre fine alla guerra a Gaza. A noi la responsabilità di fare appello ai nostri governi per intervenire.

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