2 Novembre 2024

al-qaida

Iraq 20 anni dopo: solo spreco di vite umane, ISIS più forte che mai

Iniziata esattamente vent’anni fa, l’operazione militare “Iraqi Freedom” fu concepita dall’amministrazione Bush come strategia per isolare il ben più temuto Iran e, nonostante il definitivo ritiro delle truppe nel 2011, è tutt’altro che finita. Dopo anni di massiccio dispiegamento di uomini e mezzi, centinaia di migliaia di vittime soprattutto tra i civili iracheni nonostante l’utilizzo di droni e “bombe intelligenti”, i gruppi islamisti paramilitari continuano a riorganizzarsi e radicarsi nel Paese stesso e in altri Stati del Medio Oriente e dell’Africa, in particolare nella regione del Sahel.

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La crisi in Afghanistan, quali scenari si aprono per il Medio Oriente

Il ritorno al potere dei talebani in territorio afghano sta scuotendo il mondo. Sebbene l’avanzata stesse proseguendo da qualche tempo, la presa di Kabul si è consumata nel giro di poche ore lasciando alle autorità statunitensi – presenti nel Paese da 20 lunghi anni – solo la possibilità di una fuga precipitosa. E lasciando ai cittadini ben poche, e disperate, possibilità di salvezza. Tutto questo si sta consumando all’interno di un quadro politico ed economico complesso che coinvolge l’intera regione mediorientale. Gli interessi in gioco sono molteplici e le conseguenze, per lo più nefaste, sono visibili all’orizzonte.

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Sud del mondo: conflitti, terrorismo islamico e diseguaglianze

I territori e le comunità segnate dalle diseguaglianze socio-economiche rappresentano un terreno fertile per i gruppi militanti islamici, che vi attecchiscono per poi mettere in atto le loro rivolte. Nonostante le numerose dichiarazioni circa la fine della guerra al terrorismo, in questi ultimi anni ci sono stati vari esempi dell’infondatezza di tale affermazione. Il più recente si è verificato in Mozambico, con la presa della città di Palma da parte di al-Shabaab. Con la pandemia da Covid-19 che minaccia la vita e il sostentamento di milioni di persone in condizioni di povertà, i gruppi terroristici continuano ad aprire conflitti sanguinosi.

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L’IS può colpire ancora, la minaccia pesa su un mondo distratto

Minacce silenziose ma potenti crescono nascoste dall’emergenza pandemia. Lo Stato Islamico, per esempio, non sarebbe affatto indebolito, con un alto rischio di una sua violenta ricomparsa. Governi distratti dalla lotta al Covid-19 e con scarsa disponibilità a rimettere in moto risorse contro i jihadisti potrebbero avere come risultato il rafforzamento dei gruppi terroristici islamici. L’articolo offre una rassegna di parallelismi tra oggi e la situazione del 2013-14: lo scopo è spingere il mondo ad agire, prima che il terrore torni a colpire come questa analisi ritiene possibile.

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Siria, nessuno sta vincendo una guerra destinata a continuare

Mentre il conflitto sta per entrare nell’ottavo anno molti commentatori, tra cui leader di governo, vogliono far passare il messaggio che la guerra stia volgendo al termine. Queste indicazioni sono fuorvianti. La guerra in Siria – di fatto – continua, nonostante la sconfitta territoriale dello Stato Islamico. Centinaia di migliaia di persone continuano a subire la fame e la guerra e la situazione di questa nazione divisa sembra essere bloccata in una sanguinosa violenza che probabilmente andrà avanti anche nel 2018. Più la situazione cambia più sembra rimanere la stessa.

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Somalia: il dilemma di al-Shabaab, con al-Qaida o con l’ISIS?

A prima vista, le differenze tra al-Shabaab, il gruppo militante estremista che ha base in Somalia, e lo Stato Islamico potrebbero sembrare irrilevanti. Entrambi i gruppi prosperano sfruttando le diverse sensibilità religiose e le tensioni socio-politiche per giustificare le atrocità commesse. La recente uccisione di membri di al-Shabaab considerati favorevoli all’ISIS ha tuttavia dimostrato che le convinzioni e le tattiche condivise non sono sufficienti a impedire che i militanti jihadisti si combattano l’uno contro l’altro. Anche per le più storiche relazioni tra al-Shabaab e al-Qaida.

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