[Agenda 19 marzo – 1 aprile 2020. Tenere una finestra aperta sul mondo. In questa prospettiva, la nostra rubrica quindicinale racconta, attraverso cinque notizie, quanto accade nel panorama internazionale, in linea con le tematiche di Voci Globali.]
Africa – Proseguono gli scontri dentro e fuori Tripoli
La Missione di supporto ONU in Libia (UNSMIL), il 19 marzo, ha condannato con forza il bombardamento condotto, la sera precedente, dall’Esercito Nazionale Libico (NLA) nella zona residenziale di Ain Zara – sobborgo a sudest della capitale libica. Nell’attacco armato hanno perso la vita 4 giovani donne e altre 6 persone, tra cui un bambino di 11 anni, sono rimaste ferite. L’UNSMIL si è detta inorridita da un simile azione bellica sferrata poco dopo l’appello internazionale per una tregua, diretta a contenere la diffusione del COVID-19. Il Governo di Accordo Nazionale (GNA) aveva da subito accolto la richiesta di cessate il fuoco mosso, tra l’altro, dalla necessità di rispondere in maniera veloce ed efficace ai rischi derivanti dalla pandemia. Dal canto suo, il generale Haftar si era detto disponibile a una sospensione umanitaria delle ostilità, salvo poi tornare a lanciare missili nei dintorni di Tripoli continuando a provocare la morte di diversi civili. A seguito dei ripetuti attacchi aerei e terrestri, il 26 marzo, il premier Fayez al Sarraj ha fatto sapere di aver ordinato l’operazione militare “Tempesta di pace”. “È una vendetta per le vittime degli atti terroristici compiuti dai mercenari [di Haftar]”, ha precisato il primo ministro. “Non staremo fermi. Risponderemo a qualsiasi aggressione”. La de-escalation del conflitto sembra lontana.
Ambiente – Stati Uniti, frenata alle proteste contro il Keystone XL Pipeline
Il Governatore del South Dakota, Kristi Noem, il 24 marzo, ha firmato il disegno di legge volto a modificare il reato di “sommossa”, introducendo nuove sanzioni penali e civili anche nel caso di incitamento alla stessa. Secondo le forze di opposizione, lo scopo principale della riforma è quello di bloccare le proteste ambientaliste portate avanti da attivisti e Sioux contro la costruzione dell’oleodotto Keystone XL. La pericolosità ambientale dell’infrastruttura – finalizzata a trasportare petrolio dal Canada fino alle raffinerie del Texas – risulta piuttosto controversa tanto che a distanza di oltre 10 anni dalla presentazione del progetto, i lavori sono stati più volte sospesi. Obama, in linea con la sua politica contro i cambiamenti climatici, aveva bocciato l’ampliamento della pipeline sul territorio statunitense. Mentre Trump, all’inizio del 2017, aveva rilanciato il piano ignorando i report che evidenziavano possibili danni per fauna selvatica, acqua e clima. Il percorso dell’oleodotto, di circa 1.900 km, dovrebbe attraversare decine di fiumi e torrenti anche in prossimità di alcune riserve dei nativi americani. Gli indigeni temono che l’impianto possa danneggiare il loro approvvigionamento idrico e profanare i siti sacri. Ora, la loro voce – almeno in questo Stato – potrebbe essere silenziata dalle nuove norme.
Giustizia sociale – Il legame perverso tra Covid-19 e violenza domestica
Con una nota datata 24 marzo, Marceline Naudi – presidente GREVIO del Consiglio d’Europa (CoE) – ha espresso solidarietà “alle donne e ai bambini per i quali la casa è un luogo di paura anzichè di sicurezza“. Il riferimento è alla situazione di isolamento sociale determinata dal COVID-19, che alimenterebbe la violenza domestica. Le restrizioni fissate dai Governi, precisa Naudi, “offrono, a chi esercita violenza, potere e controllo aggiuntivi”. Inoltre, le donne tendono a non denunciare anche per il timore del contagio. L’appello agli Stati parti del CoE è quello di individuare modalità alternative per continuare a garantire un “servizio essenziale” per le donne. In Italia, già dalle scorse settimane, i centri antiviolenza (Cav) hanno iniziato a riorganizzarsi attraverso campagne informative sui social. In una nota congiunta – pubblicata su Facebook il 21 marzo – le associazioni Telefono Rosa, Reama e UDI, chiariscono che i Cav “operano costantemente al telefono fornendo consulenza legale civile e penale, e soprattutto sostegno psicologico”. A loro avviso, tra le altre cose, “sarebbe opportuno far uscire il violento di casa con misure immediate speciali, allontanandolo sino al periodo post Covid-19″, nel rispetto delle condizioni sanitarie necessarie. Per rafforzare la rete di supporto, la polizia di Stato ha aggiornato l’app “Youpol”, così da consentire anche le segnalazioni di violenza domestica.
Diritti umani – Yemen, torture e altri crimini ad opera delle forze saudite
L’ONG Human Rights Watch (HRW), il 25 marzo, ha denunciato le gravi violazioni dei diritti umani perpetrati dall’esercito saudita – a partire da giugno 2019 – nel Governatorato di al-Mahrah, situato nella parte più orientale dello Yemen. Arresti arbitrari, torture, sparizioni forzate, trasferimenti illeciti di detenuti, sarebbero alcuni degli abusi commessi ai danni dei civili yemeniti. “Altri orrori che vanno ad aggiungersi al lungo elenco di condotte illecite messe in atto dalla coalizione a guida saudita” ha dichiarato Micheal Page, vice direttore dell’organizzazione per il Medio Oriente. HRW ha svolto interviste a ex detenuti, familiari di persone scomparse, attivisti e giornalisti. Ha esaminato una serie di documenti “ufficiali” che mostrerebbero la complicità dell’intelligence yemenita. Ha anche visionato un breve video, nel quale un uomo con evidenti segni fisici di maltrattamento descrive il modo in cui è stato trattenuto e torturato all’interno di una prigione aereoportuale. Le testimonianze raccolte hanno più o meno tutte lo stesso tenore e interessano oltre che l’Arabia Saudita anche il Sultanato dell’Oman. Quest’ultimo nega qualsiasi coinvolgimento, definendo le accuse prive di fondamento visto che sul territorio dello Yemen non sono presenti suoi militari Intanto, il Paese è entrato nel sesto anno di guerra (22 marzo) e la crisi umanitaria peggiora di giorno in giorno.
Politica internazionale – Il Venezuela respinge le accuse di narcotraffico contro Maduro
Il Tribunale Supremo di giustizia venezuelano, il 30 marzo, si è espresso in merito alle incriminazioni per narcotraffico e cospirazione allo scopo di esportare cocaina negli USA, formalizzate dal Dipartimento di Giustizia statunitense (26 marzo) nei confronti del presidente Maduro e alcuni alti funzionari governativi. Nel suo comunicato, il Tribunale chiarisce che quella di Washington è l’ennesima interferenza negli affari interni del Venezuela, esercitata con il chiaro intento di sovvertire l’ordine democratico. Un atteggiamento contrario al principio di non ingerenza “sancito dal diritto internazionale”. In questo contesto – scrivono i giudici venezuelani – “è indispensabile allertare i sistemi giudiziali del mondo e le Nazioni Unite affinché deplorino qualsiasi tentativo di abuso contro le istituzioni giudiziarie istituite da leggi e Costituzione“. Le affermazioni del supremo Consesso appaiono piuttosto verosimili, considerando che l’amministrazione Trump, da tempo, ha dichiarato illegittima la presidenza di Maduro, appoggiando apertamente il leader dell’Assemblea Nazionale Guaidò. Peraltro, l’1 aprile, il Segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, ha presentato una proposta volta alla creazione di un governo transitorio fino a nuove elezioni. In cambio, gli Stati Uniti revocheranno le sanzioni imposte contro il Paese latinoamericano. Caracas si è subito opposta al piano.