È iniziato l’anno scolastico e tra i banchi fa capolino un oggetto ormai immancabile tra i più giovani: lo smartphone. Recentemente il neo-ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha spiegato nel corso di un’intervista che l’uso dei telefonini in classe sarà permesso, addirittura incentivato. Scalza così la normativa vigente, emessa nel 2007, che ne vietava categoricamente l’utilizzo. Secondo la vecchia circolare dello stesso Ministero, infatti, l’uso del cellulare in aula insieme a quello di altri dispositivi elettronici “rappresenta un elemento di distrazione sia per chi lo usa che per i compagni, oltre che una grave mancanza di rispetto per il docente”.
Ha cambiato radicalmente rotta Fedeli che, ribaltando le indicazioni della citata circolare ministeriale, ha dichiarato: “[Lo smartphone] è uno strumento che facilita l’apprendimento, una straordinaria opportunità che deve essere governata. […] Quello che autorizzeremo non sarà un telefono con cui gli studenti si faranno i fatti loro, sarà un nuovo strumento didattico”.
Il ministro non ha ancora fornito una risposta concreta a chi si interroga su quali saranno le linee guida per un uso appropriato delle nuove tecnologie tra le mura scolastiche. Sarà una commissione speciale del Ministero che stabilirà regole ben definite e le comunicherà “entro breve tempo” a tutti gli istituti scolastici.
In controtendenza con la proposta del ministro Fedeli, il suo omologo francese Jean-Michel Blanquer, ha come obbiettivo il divieto dello smartphone a scuola al fine di proteggere gli alunni dalle distrazioni che questi dispositivi generano. “Nel Consiglio dei Ministri deponiamo i telefonini negli armadietti prima di riunirci. Credo ciò sia possibile per ogni gruppo umano, classi comprese“, ha dichiarato il ministro in una recente intervista pubblicata sul settimanale L’Express.
Questa inaugurazione “millennial” dell’anno scolastico in Italia non ha tardato a scatenare polemiche da parte di insegnanti, genitori, associazioni e degli stessi studenti. Si schiera tra le file degli scettici il professor Marco Lodoli, scrittore e insegnante, ospite al Tg3, che ha dichiarato:”Io sinceramente eviterei. Le scuole ormai sono dotate di computer, tablet, LIM (le lavagne elettroniche) quindi è possibile avere tutte le informazioni dal mondo Internet. Invece lo smartphone, purtroppo, è legato per i ragazzi a un mondo di distrazioni, di deconcentrazione, ti porta in un “altrove”… […] Mi sembra che a scuola lo smartphone non possa portare nulla di buono“.
D’altra parte, chi pure accoglie positivamente questa novità, lamenta comunque una grossa lacuna, ovvero la mancanza di criteri precisi per un uso corretto degli smartphone a scuola. Condizione imprescindibile è infatti l’idonea preparazione di docenti e alunni al fine di un’integrazione fruttuosa e soprattutto sicura degli smartphone in aula.
“Reputo che debba esserci un’educazione all’utilizzo di tutti questi dispositivi perché il pericolo di fare una bravata, per esempio fare una foto al professore durante una lezione al fine di dileggiarlo, è forte. Molti ragazzi non sono neanche consapevoli che commettono un reato” spiega a Voci Globali Maria Assunta Urru, docente di Storia e Filosofia e laureata in Pedagogia. Nel suo istituto strumenti come WhatsApp vengono da tempo utilizzati a scopi didattici, ad esempio per veicolare contenuti, indicazioni e comunicazioni tra professori e alunni.
La vera pecca è proprio il non avere una preparazione appropriata, online o con esperti all’interno delle singole scuole, lamenta Urru. “Personale istituzionale, come la Polizia Postale ci dà spesso la disponibilità per educare i ragazzini, per conoscere e affrontare il cyberbullismo; tuttavia questi eventi sono sporadici“.
Aggirare il problema, limitandosi a sequestrare i telefonini e ignorando il fatto che questi siano diventati parte integrante della vita dei ragazzi, non sembra essere la soluzione. I numeri, peraltro, parlano chiaro.
Al giorno d’oggi la maggior parte dei minori, e quindi di bambini e ragazzi in età scolare, possiede almeno un dispositivo elettronico, quali appunto smartphone, tablet e computer portatili che facilitano l’uso, talvolta l’abuso, delle piattaforme sociali. Tra queste primeggiano Facebook, Twitter, Instagram e YouTube. Secondo un recente Rapporto condotto da IPSOS per “Save the Children”, l’età media in cui i bambini in Italia ricevono il loro primo smartphone è sempre più bassa – attualmente si attesta intorno ai 12 anni e mezzo.
In uno Studio del 2014, il progetto europeo “Net Children Go Mobile” ha raccolto dati significativi sull’utilizzo di Internet e delle tecnologie “smart” tra 500 bambini e ragazzi di età compresa tra i 9 e i 16 anni, provenienti da sette diversi Paesi (Regno Unito, Danimarca, Italia, Romania, Irlanda, Portogallo e Belgio). È interessante notare che il 46% del campione analizzato possiede un proprio smartphone che non condivide con nessun altro membro della famiglia – con la diretta conseguenza di un uso intensivo durante tutto il giorno. I bambini italiani sono tra i primi ad avere questo tipo di accesso esclusivo. Un uso eccessivo può indubbiamente portare a ricadute nel profitto scolastico, poiché viene meno il tempo da dedicare allo studio.
Lo studio chiarisce, inoltre, che l’incremento di attività online legate all’utilizzo di programmi social e di messaggistica istantanea è stato favorito soprattutto dal fatto che i bambini e ragazzi li associano a un potenziale miglioramento della comunicazione con i propri coetanei e, automaticamente, ad una maggior qualità della vita sociale.
In realtà, talvolta lo smartphone “diventa uno strumento per bypassare la comunicazione diretta, e sta prendendo piede la necessità di comunicare esclusivamente attraverso il dispositivo”, spiega Urru, che sempre più spesso vede i suoi studenti parlare tra di loro tramite messaggi pur essendo nella stessa aula, o isolarsi con il telefonino durante la ricreazione.
“Da una parte è uno strumento validissimo, sia per scopi didattici che per la socializzazione. D’altra parte bisogna stare attenti che non infici la loro capacità relazionale. C’è quasi una socializzazione virtuale che impedisce poi loro di gestire la frustrazione reale. Si costruiscono questo mondo, in cui ci si limita al testo scritto o all’immagine… diventa poi difficile decriptare nel vissuto quotidiano tutti gli altri elementi della comunicazione, per esempio quelli non verbali – lo sguardo, il gesto, il tono di voce – che non vengono veicolati con lo smartphone”. In questo bambini e ragazzi andrebbero guidati, educati a fare un uso corretto delle nuove tecnologie e incentivando la socializzazione reale, senza demonizzare lo strumento in sé.
La facilità di accesso alla connessione Internet con questi dispositivi ha contribuito ad aumentare dipendenza di bambini e ragazzi; questi danno per scontato il contatto costante con famiglia e amici, si abituano a riempire i tempi altrimenti considerati “morti” scorrendo il feed sui social, evitando così di annoiarsi.
I dati iniziali di uno Studio ancora in corso dell’Università di Amsterdam sui bambini olandesi, mostrano che il 5% di loro soffrirebbe di “dipendenza da social”, con possibili ripercussioni psicologiche e comportamentali, spiega a Generazioni Connesse la professoressa Patti Valkenburg, a capo della ricerca. Succede che siano gli stessi genitori a usare i telefonini come una sorta di “guinzaglio digitale”, e si aspettano che i figli siano sempre raggiungibili. Dal punto di vista psicologico, questa assuefazione a smartphone e social media crea un notevole stato di stress generato dalla necessità (e aspettativa) di essere sempre connessi e pronti a rispondere agli stimoli. Vi è poi un’ampia possibilità di incorrere nei contenuti offensivi dell’hate speech, nelle provocazioni infondate del trolling, e nelle cosiddette fake news, le bufale.
Il rischio che i giovani cadano in questo vortice di pericoli è alto se non guidati correttamente da genitori e insegnanti. Quello che spesso viene visto esclusivamente come una minaccia o un intralcio allo svolgimento delle attività didattiche può rivelarsi una risorsa. Un esempio, sono le attività di laboratorio, in cui i ragazzi apprendono, con l’aiuto dei docenti, a fare ricerche e utilizzare contenuti adeguati, spiega Urru attingendo dalla sua quotidiana esperienza. Gli stessi docenti possono fare tesoro delle competenze digitali dei propri alunni.
“Molti ragazzi hanno a disposizione tantissimi contenuti però non hanno né la motivazione né la consapevolezza per avere le risposte attraverso internet. Se non siamo noi ad educarli saranno loro ad arrivarci attraverso i propri errori”.
Per cui, ben vengano le nuove tecnologie nelle scuole e, con queste, un puntuale programma di educazione e un codice di comportamento.
Social network e minori: come funziona la legge in Europa?
“Dal punto di vista legale, in quasi tutti i Paesi europei non vi sono al momento legislazioni specifiche in termini di limiti d’età per iscriversi ai social e ci si attiene perciò alla regolamentazione statunitense, il Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA)“, spiega a Voci Globali l’avvocato Bruno Saetta, esperto in privacy e protezione dei dati.
È necessario avere almeno 13 anni per creare un account, fatta eccezione per la Spagna, in cui l’età minima è 14. Infatti, l’Autorità garante spagnola ha applicato la normativa nazionale specifica – assente negli altri Stati, inclusa l’Italia – che prevede che al di sotto dei 14 anni il minore non possa diffondere i propri dati personali. Ha perciò invitato Facebook e le altre piattaforme sociali americane a modificare la loro policy e ad aderire alle regole nazionali.
Dopo aver ignorato la questione per tutti questi anni, l’Europa si è mossa per modificare gli standard delle piattaforme sociali americane con il nuovo regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), approvato nel 2016 e che entrerà in vigore a partire da maggio 2018.
Tale regolamento vieterà ai minori di 16 anni l’accesso a social network e a servizi di messaggistica istantanea, con la possibilità di iscriversi soltanto con il consenso dei genitori o dei tutori. Questi parametri non saranno però tassativi ovunque in Europa: infatti, la Commissione Europea permetterà a ciascun Paese membro di applicare una propria legge, purché l’età minima non scenda al di sotto dei 13 anni. Su questo fronte saranno i garanti e legislatori nazionali a stabilire i limiti, sebbene sia più probabile che si discuterà in sede europea per fissare un limite unico in tutta Europa.
“È difficile dire se il limite europeo verrà tenuto ai 16 anni o abbassato” afferma Saetta “Da una parte c’è la Commissione Europea che vorrebbe tenere questo limite, dall’altra ci sono le grande aziende americane che perderebbero parecchi utenti“. Qualunque sarà la decisione, Facebook e i restanti colossi social americani dovranno attenersi alle leggi europee in materia di protezione dei dati personali per tutti gli utenti cittadini dell’Unione Europea.
Linee guida di Facebook per i genitori (in inglese).
Linee guida di Instagram per i genitori (in italiano).